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La parabola di Massimo Fini: non abbiamo bisogno di ribelli, ma di rivoluzionari

by La Redazione
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massimo fini

Lo scrittore Massimo Fini

Riceviamo e pubblichiamo questo articolo del nostro collaboratore Matteo Rovatti. Gran parte delle posizioni espresse ricalcano la linea editoriale del nostro quotidiano, anche se il giudizio drastico su Massimo Fini è indubbiamente ingeneroso. Lo pubblichiamo ugualmente come contributo al dibattito, invitando i lettori a guardare la luna e non il dito – IPN.

Roma, 16 dic – Esiste un tipo di nemico che al “sistema” solitamente piace moltissimo, ed è il ribelle, cioè colui che, rinunciato a qualunque prospettiva rivoluzionaria (ovvero al sovvertimento violento del sistema medesimo), si “ritirano nel bosco” per condurre una propria solipsistica, sterile ed egotica battaglia contro la “corruzione del mondo”.

Il massimo rappresentante nazionale del ribellismo onanistico è ovviamente l’ineffabile Massimo Fini, il ribelle per antonomasia, di cui ci siamo già occupati in passato per le sue sparate sui pensionati ed i dipendenti pubblici.

Certo, Fini non è nuovo a spararla grossa per grattare la pancia al proprio lettore medio (un grillino con le toppe sulle maniche della giacca e il baffo alla Dalì): dal sostegno parolaio all’Isis all’elogio sperticato che fa in ogni possibile occasione agli stupratori di bambini talebani ed in particolare al defunto Omar, mostrando viceversa odio e risentimento per l’eroe laico Massud, dall’adesione alle più grottesche dottrine decresciste fino all’europeismo.

Questa volta però, nella sua insaziabile ricerca di originalità letteraria il nostro eroe ha, come si dice, pisciato fuori dal vaso.

Ora, abbiamo capito che per l’establishment radical-chic Putin è nientepopodimeno che il novello Hitler che vuole conquistare il mondo per rinchiudere gli omosessuali nei gulag, ma ci vuole una bella faccia tosta a stravolgere così il senso del messaggio di Putin, soprattutto in un mondo che ha visto solo gli Usa usare la bomba atomica contro un nemico peraltro già sconfitto, ed Israele minacciare l’ ”opzione sansone” (rappresaglia nucleare indiscriminata) se fosse stato abbandonato dall’occidente nella guerra contro gli arabi.

Il punto ovviamente non è fare gli avvocati del diavolo (cioè di Putin), ed in realtà non è nemmeno Massimo Fini. Diciamocelo: non ce ne frega assolutamente nulla dei paraguru grillini, meno che mai quelli particolarmente velenosi come Fini, che ha il pregio di scrivere magnificamente e per questo è ancor più insidioso.

Massimo Fini è solo un esempio che vogliamo porre di come il ribelle ed il rivoluzionario siano figure incompatibili ed antitetiche. Il ribelle è un individualista che considera se stesso come il ricettacolo ultimo della purezza in un mondo, il rivoluzionario è colui che si sporca volentieri le mani con il mondo medesimo, in particolare con la politica che, come ammoniva un grande politico d’altri tempi, non è altro che sangue e merda.

Il ribellismo è un atteggiamento intrinsecamente nichilistico che concepisce il mondo come una cloaca sopra cui defecare il proprio astio verboso, contrapposto al “sé” per definizione superiore al volgo. Lo dimostra l’incredibile numero di autobiografie o comunque lavori semi-autobiografici che Fini ha sfornato, che sembrano quasi sottendere l’idea che la sua vita sia molto più interessante di quella altrui.

Il punto è che il ribellismo si accompagna necessariamente all’ineffettualità politica, e la politica è l’unica cosa che conti per chi abbia una visione del mondo sana ed europea. Per questo, il ribelle piace molto al potere, che non gli disdegna carriere e prebende. Questo perché una sana analisi della realtà richiederebbe di calarcisi in mezzo e fare la fatica di studiare anche cose noiose (come per esempio l’economia o la storia) ma questo comporterebbe l’implicita ammissione del valore di quello che esiste all’infuori di sé, e questo non è ovviamente possibile.

Prendiamo il saggio più sopravvalutato di fini, quel “Sudditi” che si scaglia con veemenza contro la democrazia liberale rappresentativa. Lungi da noi seguaci di Machiavelli difendere la farsa liberaldemocratica, ma tutto quello che c’era da dire lo ha già scritto Pareto, al massimo si poteva tentare di elaborare un modello diverso. Ed invece cosa ti va a trovare il buon Fini, se non l’elogio di una qualche tribù africana che vive in una “ordinata anarchia”?

Qui c’è tutto: mito del buon selvaggio, terzomondismo, decrescismo, snobismo antipolitico (e quindi impolitico) e tutto l’armamentario di quelli che benpensano.

Oppure prendiamo “Il denaro sterco del demonio”: anziché parlare del capitalismo come concreto sistema di rapporti di forza economici e sociali, si fa una strana disamina sul danaro, visto pauperisticamente come origine di tutti i mali. Tipico esempio di critica talmente vasta, generica ed astratta da essere in fondo innocua, perché esime dal pensare concretamente ai problemi che si pongono nella cronaca. Tante pagine sul denaro, e nulla sulla sovranità monetaria o sul controllo pubblico delle banche, tanto per dirne una.

Il rivoluzionario viceversa studia la realtà concreta, sacrifica il proprio ego alla causa (qualunque essa sia, non stiamo parlando di questo) e si confronta con il nemico reale dopo averlo correttamente individuato.

Al potere, quello vero, farebbe comodo avere un popolo di 60 milioni di ribelli, tutti impegnati ad esaltare la propria inutile e superflua individualità con provocazioni esteriori e piagnistei da primadonna. Un po’ come la moda dei tatuaggi, il modo più conformista di mostrare il proprio anticonformismo, o come il veganesimo, l’idea della corruzione del mondo che raggiunge i livelli patologici del rifiuto del sangue.

È per questo che il ribelle piace e scrive sull’Eco del Manettaro, dopo aver girato per la quasi totalità dei giornali italiani a partire da quell’organo del Psi su cui poi vomiterà peste e corna. Piace perché è innocuo, come un pavone che mostra la sua coda altezzoso.

Nessuno al mondo ha paura di un pavone, nemmeno un bambino.

Matteo Rovatti

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10 comments

Barbo Burnybrain 16 Dicembre 2015 - 2:33

Vi seguo da parecchio tempo e condivido molti vostri articoli;
il più delle volte scrivete cose interessantissime, trattate i temi con assoluta accuratezza e con posizioni fuori dal coro e davvero autenticamente razionali e non ideologizzate.
I vostri articoli sono davvero fonte di ispirazione e conoscenza proprio per il vostro razionalismo nel raccontare gli eventi e per il vostro non scadere mai nell’ideologizzazione forzata (come invece fanno purtroppo tante altre webzine sia di stampo Socialista Nazionale che di stampo Comunista / Nazional Comunista).
Ma questo articolo su Fini, anzi pardon, sul GRANDE MASSIMO FINI, non mi è andato proprio giù.
Non c’è niente di Razionale e la sua figura non è spiegata…. è solo una serie di insulti senza se e senza ma contro un uomo che invece c’è solo da stimare proprio per la sua capacità di poter spaziare dai convegni del Pci a quelli di Casa Pound e al contempo essere ben visto e accettato da tutti perchè la sua personalità è realmente RossoBruna e Socialista Patriottica.
Devo ammettere che mi ha molto deluso questo articolo.
pazienza……

Saluti.
Barbo Burnybrain

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Matteo Rovatti 16 Dicembre 2015 - 6:31

Mi indicherebbe per cortesia gli insulti gratuiti, così posso chiedere venia.
Perchè sa, detta così, sembra semplicemente la reazione risentita del seguace di turno, come pare indicare il maiuscolo usato per enfatizzare il nome dell’eccellentissimo.

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teo sansepolcrino 16 Dicembre 2015 - 8:24

eccellente articolo e critica intelligente!!
bravo Rovatti

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flores 16 Dicembre 2015 - 8:39

Ho sempre letto Fini, quindi l’ho sempre apprezzato come scrittore polemista e per il suo magnifico libro su Nietzsche. Però alla fin fine ha ragione Rovatti, che davvero ha colto le contraddizioni di Fini senza offenderlo per niente.

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Dario 16 Dicembre 2015 - 11:17

Nella produzione di Fini c’è molto di buono, a mio avviso, infatti lo leggo sempre con piacere ed interesse, ciò nonostante quel che dice Rovatti non lo trovo privo di fondamento e le sue considerazioni mi sembrano abbiano basi abbastanza solide. Un bel pezzo insomma con buoni spunti per riflettere, anche per il soggetto.

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Andrea 17 Dicembre 2015 - 1:37

Questo articolo a mio modesto parere commette semplicemente l’errore di dimenticare l’uomo

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Matteo Rovatti 17 Dicembre 2015 - 9:24

No, perchè si sta parlando di politica, non è una confessione.
Lo stesso Fini ha considerato altro in Craxi, prima di scriverne peste e corna?
No,e giustamente, perchè stava portando avanti una battaglia politica.
Che poi è ora di finirla con questo elogio insopportabile dell’esistenza individuale. Se io dico una bischerata non è diverso che se la dica chiunque altro, fosse anche un eroe di guerra.
Mai essere seguaci di nessuno, fosse anche il Cristo redivivo.

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Andrea 17 Dicembre 2015 - 11:31

Mi sono espresso male, non parlavo dell’uomo Massimo Fini ma dell’uomo in generale. Sicuramente nell’articolo sono sviluppati ragionamenti addirittura incontestabili e svolte considerazioni più che condivisibili. Tuttavia al termine della lettura dell’ultimo libro di Massimo Fini sono stato preda di sentimenti contrastanti. Anche io non ne ho condiviso molto ma nel bene e nel male il riassunto del libro si può trovare nelle ultime pagine: un uomo tutt’altro che cinico che per tutta la durata della vita ha cercato un Senso non riuscendo mai a trovarlo. è naturale che in particolar modo ad una certa età si veda la propria vita come una storia generazionale, uno scontro di lance con molte persone a cui adesso non si può negare l’umana pietà (anche su Craxi cambia prospettiva). A chi non trova un senso a cui consacrare la propria esistenza è preclusa la strada del rivoluzionario, o peggio se percorsa risulta in malafede e contronatura. Per quanto non appartengano neanche a me molte scelte “di vita” (e non solo) di Massimo Fini, nell’era del nichilismo finale non credo possiamo giudicare tutti i liberi pensatori con la lente dell’enfasi rivoluzionaria e della prassi trasformatrice, ma credo invece che dovremmo ricordarci che dietro il rivoluzionario o il ribelle c’è pur sempre l’uomo.

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Franco 22 Settembre 2017 - 9:18

Secondo me Massimo Fini con i suoi lavori ti porta a mettere in dubbio ed a relativizzare ogni “indiscutibile” capisaldo, spronando così il proprio lettore ad un interiore ragionamento.In questo, secondo me sta la sua forza,far ragionare il proprio lettore inducendolo a non accettare tutto passivamente.

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Emanuele 17 Settembre 2019 - 1:44

L’articolo è vecchio, ma il commento lo lascio ugualmente; in sintesi, stia calmino rovatti. Fini parla e straparla dall’alto di una visione ideologica preconcetta, esattamente come lei. Sotto quest’ aspetto una differenza abissale tra di voi non esiste affatto, anche se lei prova a tracciarla imbarcandosi in distinzioni bizantine (rivoluzionario/ribelle) e giudizi “psicologici” di dubbia competenza. Se parliamo di temi prettamente economici, la differenza, del tutto ovvia, è che lei ha di questi temi una contezza tecnica sconosciuta al fini, le cui osservazioni, in effetti, sono a volte semplicistiche al limite del ridicolo. Ma l’immaginare, il riferirsi o addirittura l’ammirare sistemi di relazioni economico-sociali del tutto alternativi a quello capitalista (come fa fini), e l’analisi “tecnica” delle dinamiche socio/economiche capitaliste, non sono affatto – mi pare- approcci incompatibili. Quanto al relativismo culturale del fini, il discorso è più complesso: ma lei lo affronta in maniera del tutto superficiale, limitandosi ad accennare ai talebani “stupratori di bambini” e poi provando ad etichettare schematicamente il pensiero del fini, in base alle sue preconcezioni ideologiche (“radical chic”, terzomondismo, etc..). Insomma, come capita spesso a fini, lei pecca di semplicismo.

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