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Altro che lobby delle armi: così i media Usa speculano sulla strage in Florida

by Alice Battaglia
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Washington, 22 feb – A partire dalla strage di Parkland in Florida, dove il 19enne Nikolas Cruz ha sparato sugli studenti nel liceo della cittadina uccidendo 17 persone e ferendone decine, i media statunitensi (ma non solo) si sono dedicati a intervistare gruppi di studenti che esprimono con veemenza la propria disapprovazione per il Secondo Emendamento. Un atteggiamento comprensibile nel clamore del momento, se non fosse che gli stessi media si sono rifiutati categoricamente di dare voce, anche nei giorni successivi, a tutti coloro che – pur essendo stati coinvolti in questa o in altre tragedie simili – hanno l’ardire di professarsi a favore della legale detenzione delle armi da fuoco o addirittura della presidenza Trump: gli spazi televisivi sono concessi solo a chi segue la narrativa liberal obbligatoria.
Patrick Neville, per esempio, che nel 1997 sopravvisse alla strage di Columbine e oggi è parlamentare della Camera del Colorado, è stato praticamente ignorato dalle maggiori testate televisive. Neville si è pronunciato a favore della detenzione di armi da fuoco sottolineando come la maggior parte delle stragi scolastiche avvenga proprio nelle cosiddette “gun-free” zone (dove cioè è vietato introdurre armi) proprio perché al loro interno nessuno è in condizione di fermare con le armi un aggressore armato. Da qui è scaturita una vasta polemica, in particolare sui social network (tipicamente meno “a senso unico” rispetto ad altri mezzi di comunicazione), e in molti hanno interpretato il comportamento dei giornalisti come una strumentalizzazione dei ragazzi, sconvolti dopo una simile tragedia e utilizzati per dare una spinta a una legiferazione più restrittiva sulle armi da fuoco. A fronte di quest’unica opinione proposta dai mass-media, alcune sigle indipendenti hanno cominciato a indagare sul grande numero di attivisti di sinistra presenti sul luogo del massacro. A partire dal fatto che alcuni tra essi appartengono apparentemente al medesimo gruppo teatrale, si è arrivati a trarre bizzarre conclusioni cospirazioniste che vedono in questi giovanissimi attivisti il braccio mediatico della propaganda “pro-ban”.
Quel che sembra confermato da diverse fonti, aldilà delle più o meno plausibili teorie del complotto, è che uno dei leader in prima linea, sia nella battaglia contro le armi che nelle presenze davanti alle telecamere, sarebbe David Hogg, 17 anni, figlio di un ex agente Fbi. Hogg ha rilasciato in data 21 febbraio un’intervista alla Cnn per mettere a tacere le crescenti voci che descrivono il suo primo intervento in video, registrato sempre dalla Cnn subito dopo la sparatoria, come una messa in scena.
Quello che invece è un dato certo è che nei negozi di armi come Shoot Center a Cape Coral, nella vicina contea, la clientela si mette in coda. Il proprietario, il signor Aaron Forum, ha detto che la vendita dell’AR-15, lo stesso fucile utilizzato dall’assassino di Parkland, è aumentata del 30%. Forum spiega che la massiccia crescita nelle vendite dopo l’attacco è da imputare a una combinazione di fattori: da una parte le persone stanno diventando più consapevoli dei pericoli nella loro comunità e vogliono proteggersi, dall’altra temono che la legislazione possa limitare l’acquisto di determinate armi.
Persino George Orwell, da sempre osannato della sinistra a stelle e strisce, asseriva fortemente la necessità per ogni individuo di possedere armi da fuoco: “Quel fucile sul muro della capanna del lavoratore o della classe operaia è il simbolo della democrazia. È nostro compito fare in modo che rimanga lì”, scriveva l’autore di 1984.
Alice Battaglia

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blackwater 22 Febbraio 2018 - 3:10

quella della facilità all’acquisto (nemmeno poi tanto vera) di armi sembra essere la causa primaria
degli assassinati statunitensi; poi verifichi i dati ufficiali UNODC e negli USA (325 milioni di abitanti) i morti ammazzati sono circa 15.600 all’anno. In Brasile (ove acquistare e detenere armi da parte del privato è praticamente impossibile) a fronte di una popolazione di circa 200 milioni di abitanti (quindi 125 milioni in meno degli USA) i morti ammazzati sono la impressionante cifra di + 55.000 all’anno (praticamente uguale al numero dei soldati americani morti durante i 10 anni di guerra in Viet Nam); quindi nel Brasile “disarmato” si uccide circa tre volte e mezzo di più che non nella Patria dei “pistoleros” gli USA.
ovviamente il problema non è affatto costituito dalle armi da fuoco,ma dal tipo di società che si è voluto costruire; ed è facile notare che uno dei problemi endogeni tipici delle società multietniche si chiama violenza; in Giappone (fortunatamente per loro, forse il Paese più omogeneo etnicamente di tutto il Pianeta con un buon numero di abitanti e pochissima immigrazione) il numero di omicidi all’anno
è di apena circa 395 a fronte di una popolazione di 127 milioni di abitanti…credo sia inutile quindi sottolineare che non sono affatto le armi da fuoco il problema, quanto invece il substrato sociale ed etnico di un Paese:
– BRASILE 207 ML abitanti = 55.000 omicidi all’anno
– USA 323 ML abitanti = 15.600 omicidi all’anno
– GIAPPONE 127 ML abitanti = 395 omicidi all’anno
da aggiungere come motivo di riflessione: in Italia il tasso di omicidi è 0,78; in Francia 1,58; in Belgio 1,95…qualcuno riesce a trovare una differenza nel tessuto sociale di questi tre Paesi ?
(fonte dati United Nations Office on Drugs and Crime UNODC)

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Tony 22 Febbraio 2018 - 9:39

…AR 15 arma SEMIAUTOMATICA….comunque meglio le armi della Russia: hanno dimostrato, sul campo, affidabilità, resistenza molto superiori…

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Gianfranco Mergoni 26 Febbraio 2018 - 8:32

Dove le armi sono fuorilegge… Soltanto i fuorilegge hanno le armi!… E, aggiungo io, la fanno sa padroni su cittadini ridotti ad essere indifesi come un gregge, avendo contro anche la “legge”!!!

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