I fondi Ue si divino in determinati programmi sessennali, nella quale ogni Stato membro dell’Unione riceve un determinato budget da spendere per la realizzazione degli obiettivi imposti dal programma in questione. L’attuale programma si divide in un arco di anni che parte dal 2014 e finisce fra tre anni, quindi nel 2020. L’ultimo programma europeo risale al periodo 2007-2013, nel quale il governo Berlusconi è stato messo fortemente in discussione per l’inefficace utilizzo di questi fondi che, nel 2013, vennero sprecati per un totale di 5,5 miliardi. Questo perché se il budget non viene utilizzato interamente entro la scadenza del periodo, il rimanente viene restituito. La questione che ci si pone è, perché non vengono utilizzati interamente questi fondi “gratuiti”? Andando a guardare i dati che ci fornisce il sito della commissione europea, troviamo tutti i budget distribuiti ai vari membri dell’UE. Per quanto riguarda l’Italia, il budget totale è di 73.624.430.700€, suddiviso in budget diretto 42.667.897.430€ ed indiretto: 30.956.533.270€.
“Il Budget diretto”, che ammonta a più della metà del budget destinato all’Italia, è gestito appunto direttamente dall’Unione Europea, che attua così una politica economia, sociale e finanziaria del tutto autonoma e a sua indiscrezione nel nostro Paese, rivolgendosi alle varie imprese nazionali, tramite bandi e appalti, per attuare i progetti che ritengono più idonei. Diversamente, il budget indiretto viene dato in gestione direttamente allo Stato Italiano che poi lo distribuisce alle Regioni. Queste ultime ovviamente non sono libere di spendere il denaro a propria discrezione, ma devono attenersi a determinati parametri imposti dalla Commissione Europea. Non viene quindi attuato un programma del tutto autonomo, ma almeno la gestione di questi fondi viene affidata a enti nazionali in grado di scegliere quale progetto finanziare e quale scartare.
Il budget messo a disposizione per l’Italia dall’Unione Europea è riportato nei seguenti parametri:
- Pianificazione: È il budget totale suddiviso, quindi pianificato, secondo i vari settori di destinazione riportati dal programma europeo 2014-2020 (es. Fondo Sociale Europeo, Programma Rete Rurale, ect.);
- Decisione: È il budget stanziato, assegnato e quindi deciso per finanziare i vari progetti presentati e selezionati e che sono dunque in attesa di ricevere i fondi. I fondi sono suddivisi per i settori precedentemente nominati, e i progetti vincenti sono stati scelti, tramite un sistema di punteggio, nel corso di un bando promosso dall’UE (se diretto) o dalla Regione (se indiretto);
- Spesa: Il totale del budget speso nel finanziare i progetti che hanno vinto il bando e che quindi hanno ricevuto i soldi per realizzare i propri progetti;
Le somme pianificate corrispondono al budget totale assegnato alla nostra nazione, che quindi comporta un totale di 73,6 miliardi. I fondi che invece sono stati assegnati ai progetti, che quindi attendono il finanziamento, risultano pari a 18,6 miliardi di euro (il 25,3% del budget totale), ma di questi solo 880 milioni sono stati effettivamente elargiti alle imprese vincitrici. Quindi i fondi spesi nel 2014-2020 sono pari all’1,2% del budget totale. Facendo un rapido calcolo percentuale, che consiste nel rapporto del budget assegnato ai progetti e il budget effettivamente finanziato, solo il 4,7% dei progetti vincitori è stato finanziati. Facendo un paragone con le altre nazioni europee più rilevanti, si scopre che l’Italia è la nazione che ha sfruttato di meno questi fondi Ue in rapporto al budget totale a disposizione, quindi se noi abbiamo speso l’1,2% del budget, la Germania ha speso il 5,6%, la Francia il 3,2%, la Grecia il 7,6% e la Spagna l’1,5% . Quest’ultima percentuale è da calcolare su un fronte di 11,5% dei fondi spagnoli assegnati ai progetti vinti, contro il nostro 25,3%, quindi i progetti spagnoli finanziati sono pari al 13%, mentre in Italia, come abbiamo visto, solo il 4,7% dei progetti sono stati finanziati.
È facile pensare che la causa di questi dati sconfortati, per la nostra Nazione, sia da ricercare nel ben noto fenomeno di corruzione, di speculazione e/o di inettitudine da parte della classe dirigente, politica ed economica, ma questo avviene se si pensa che i 73,5 miliardi che l’Unione Europa ci ha messo a disposizione siano effettivamente reali e tangibili. In realtà questi fondi hanno un valore puramente nominale, dunque l’Europa mette a disposizione 73,5 miliardi di euro all’Italia solo nominalmente per il periodo 2014-2020, ma l’accredito effettivo (ovvero il “rimborso” ma è improprio definirlo così), in realtà, è decisamente minore. Automaticamente, quando si verifica un accredito minore dei soldi versati, il paese che subisce questo passivo si chiama “contribuente” nei confronti dell’Unione Europea. Per vedere quanto l’Italia è effettivamente contribuente dell’Ue, bisogna andare a leggere ed analizzare i dati rilasciati dalla Corte dei Conti che vengono pubblicati in una relazione annuale dei “rapporti finanziari con l’Unione europea e l’utilizzazione dei Fondi comunitari”. L’ultima relazione, che risale all’anno 2016, si occupa dell’utilizzo dei fondi Ue nel periodo che parte dal 2009 al 2015. I dati, purtroppo, ci rivelano un’amara realtà. Citando testualmente: “L’analisi dei flussi finanziari intercorsi nell’esercizio 2015 conferma il consistente apporto italiano al finanziamento del bilancio dell’Unione (15.914,1 miliardi nel 2015, una variazione percentuale di +0,2% rispetto al 2014)”. Quindi l’Italia ha contribuito al bilancio dell’Unione Europea dello 0,2% in più rispetto al 2014, per un totale di 32 milioni aggiuntivi, ma non finisce qui. “Tale incremento ha comportato un miglioramento della posizione di contributore netto (propria degli Stati membri che ottengono accrediti di entità inferiore rispetto alle contribuzioni che versano al bilancio comunitario), nella quale il nostro Paese si trova ormai da molti anni”. Ovvero, l’Italia contribuisce finanziariamente al bilancio dell’UE da molti anni in quanto gli accrediti che riceve per compensare i costi che comportano i progetti e gli appalti dell’Unione Europea sono inferiori ai suddetti costi effettivi. Quindi se l’Europa mette a disposizione, per esempio, 17 miliardi per il “miglioramento della coesione sociale e del benessere economico” (conosciuto anche come “Fondo Sociale Europeo”), ipotizzando che l’Italia ne spenda 10 e l’Europa gliene accredita 5, automaticamente l’Italia diventa contribuente netto per 5 miliardi di euro nei confronti dell’UE. È lecito dunque chiamare “fondi Ue” dei soldi che provengono dalle tasche dei cittadini italiani e che sono europei solo nominalmente?
Il saldo netto italiano dovuto ai costi della programmazione europea nel settennio 2009-2015, ammonta a -37,7 miliardi, ai quali si aggiungono 880 milioni di euro dovuti all’entrata in vigore (il 1° ottobre 2016) della decisione 2014/335/UE che, in parole povere, modifica l’apporto del contributo dei paesi membri dell’Unione Europea. In pratica, non solo siamo contribuenti di fondi che non ci appartengono e che ci dicono come spendere i nostri soldi, solo parzialmente rimborsati, ma la nuova decisione ci ha obbligato ad aumentare questo saldo negativo di 880 milioni. Quindi il saldo netto aumenta ad un totale di -38,6 miliardi complessivi che l’Italia ha perso per finanziare i progetti europei non accreditati, progetti di cui l’Italia ha un controllo solamente parziale (totalmente nullo per più della metà dei fondi Ue, quelli diretti), nelle modalità, termini e destinazione dei fondi. Siamo in pratica uno stato vassallo che non solo non può emanare una propria moneta autonomamente, ma non può nemmeno gestirla a proprio piacimento. La relazione della Corte dei Conti conclude quasi ironicamente dichiarando che “continuano a destare preoccupazione anche nel 2015, per la potenziale incidenza finanziaria sul bilancio nazionale, i dati relativi al contenzioso tra UE e Italia per violazione della normativa europea (in particolare per quanto concerne la mancata o incorretta trasposizione delle direttive e il recupero degli aiuti di Stato).”. Insomma, già l’Europa non accredita alla nostra nazione quanto gli spetta, inoltre decide come spendere i soldi dei cittadini italiani, ma in più ha anche il coraggio di multare il nostro Paese per la violazione delle normative europee.
Essere contribuenti può essere un onore, non per forza un onere, e sicuramente è positivo nei paesi nelle quali le problematiche sociali sono quasi del tutto inesistenti, come la Germania che infatti risulta essere contribuente per 97 miliardi, ma in un paese dove i dati Istat non sanno più come dire che i tassi di disoccupazione, inattività, occupazione precaria e reddito sono preoccupanti, in un paese dove all’aumentare del PIL (la ricchezza della nazione) diminuisce il reddito pro capite (la ricchezza del singolo cittadino), tutto ciò è quantomeno assurdo. Questo infatti non avviene nei paesi più in difficoltà, spolpati da anni di inettitudine di governo o dai salassi dell’Ue, dove gli accrediti sono maggiori dei versamenti, come in Spagna o in Grecia, che registrano rispettivamente un saldo positivo di 19,8 e 30,6 miliardi, ovvero nel loro caso, l’accredito supera il costo.
Ad aver capito quella che è una vera e propria truffa finanziaria è la Gran Bretagna che, nel settennio preso in considerazione, ha registrato un passivo di 54,5 miliardi di euro totali di contributi. Non ci deve stupire infatti se tutto questo ha portato il popolo inglese a votare a favore della Brexit. Ma non solo, dei 27.285.617.345€ messi a disposizione “nominalmente” per il periodo 2014-2020 alla Gran Bretagna, solo 355 milioni sono stati effettivamente spesi. Mica scemi gli inglesi che registrano un dato peggiore dell’Italia per quanto riguarda il budget nominale deciso e speso, ma solamente in funzione del fatto che loro non vogliono più essere contribuenti Ue, mentre il nostro paese non può economicamente sostenere una politica del genere ma non può nemmeno affrancarsene, visto che vive in una dittatura politica dal volto “democratico” ormai da sei anni, con una legge elettorale inefficiente e la maggior parte dei partiti e della classe dirigente politica del tutto fuori dalla realtà economica e sociale che sta vivendo la nostra Nazione, interessata solo a fare gli interessi dell’Unione Europea, che ci considera come una mera provincia tributaria.
Davide D’Anselmi