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Immigrazione: le fake news delle agenzie Onu sui “lager libici”

by Francesca Totolo
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Roma, 22 gen – Partiamo dal presupposto che i centri di detenzione governativi, gestiti dal Governo libico di Tripoli, non siano dei villaggi vacanze per famiglie, sebbene i migranti quando partono dai Paese di origine siano perfettamente consci dei rischi connessi alla tratta di esseri umani. Ma il quadro che viene tratteggiato nei periodici dossier non circostanziati della Missione di Supporto delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil), si discosta dalla realtà raccontata dalle immagini e dai dati che vengono presentati da Unhcr Libya e Iom Libya, le agenzie dell’Onu che sono impegnate attivamente sul territorio.

I rapporti Unsmil ci parlano di “inimmaginabili orrori e torture dei quali sono vittime i migranti in Libia, anche nei centri di detenzione governativi: “Privazione della libertà e detenzione arbitrarie in centri ufficiali e non ufficiali; tortura, compresa la violenza sessuale; rapimento per riscatto; estorsione; lavoro forzato; uccisioni illegali”. Dopo la chiusura dei porti alle navi delle organizzazioni non governative, la propaganda mediatica dei portavoce delle agenzie delle Nazioni Unite in Italia è diventata insistente, aggressiva e infarcita di fake news sull’immigrazione, diventando una grancassa per sensibilizzare l’opinione pubblica in merito ai “terribili lager libici” dove non potrebbero essere ricondotti i migranti salvati dalla Guardia Costiera di Tripoli. Invocazioni con riferimenti alla Convenzione di Ginevra e alla Dichiarazione universale dei diritti umani, riecheggiano ormai su ogni mainstream media italiano, citando a casaccio i diversi articoli e protocolli, e snaturandoli dal contesto.

Negli ultimi giorni, è balzato agli onori della cronaca l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, in seguito ai quasi 400 immigrati salvati e riportati in Libia dalla Guardia Costiera di Tripoli. Il suddetto articolo impone ai Paesi contraenti di “non espellere o respingere un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”. Da qui, le accuse rivolte al Governo italiano per aver finanziato il Governo di Fayez Al-Serraj, allo scopo di consolidare la lotta alla tratta di esseri umani attraverso l’impegno nel pattugliamento nella propria zona SAR (ricerca e salvataggio) di competenza.

Per i sedicenti umanitari e per i portavoce della Nazioni Unite, il salvataggio e il conseguente ritorno in Libia dei migranti configurerebbero un “respingimento” addebitabile all’Italia.

Presumibilmente gli esperti dell’Onu non rammentano che, all’inizio del 2018, la zona Sar di Tripoli è stata riconosciuta e registrata presso Organizzazione Marittima Internazionale (Imo), ovvero l’istituto specializzato delle Nazioni Unite, “incaricato di sviluppare i principi e le tecniche della navigazione marittima internazionale al fine di promuovere la progettazione e lo sviluppo del trasporto marittimo internazionale rendendolo più sicuro ed ordinato”.

La memoria a intermittenza dei portavoce delle Nazioni Unite in Italia non riguarda soltanto la certificazione della zona SAR libica. Carlotta Sami dell’Alto Commissariato per i Rifugiati (Unhcr) ha chiaramente scritto che nei centri di detenzioni governativi, le agenzie Onu hanno un accesso limitato, lasciando presumere una certa ritrosia del Governo di Tripoli.

L’assistente al segretario generale per i diritti umani delle Nazioni Unite ovvero il vice di Michelle Bachelet che ha accusato l’Italia di razzismo, Andrew Gilmour, parla della situazione orribile presente in Libia.

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi, dalle pagine del Corriere della Sera del 21 gennaio, afferma che “l’errore più grande è la chiusura dei porti” perché “gli interventi necessari sono quelli più a lungo termine. Ma non vedo in Europa un vero sforzo in questo senso”. Forse, l’amico di George Soros (tra i più attivi sostenitori economici della Primavera Araba in Libia), non rammenta che la Missione Speciale delle Nazioni Unite in Libia è attiva dal 2011, ovvero da ben otto anni.

Tutta la narrazione dei signori delle Nazioni Unite sono smentite dai fatti, ed è paradossale che i dati arrivino proprio dalla loro Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM/OIM). Nel 2018, oltre 38.500 migranti hanno ricevuto assistenza umanitaria di Iom sia all’interno dei centri di detenzione governativi libici, sia all’esterno. Quindi le agenzie Onu entrano regolarmente in quelli che, a detta loro, sono paragonabili ai lager.

Sempre nel 2018, oltre 5.600 migranti hanno ricevuto generi di prima necessità, anche non alimentari, dall’Organizzazione delle Nazioni Unite in diverse parti della Libia.

28.633 persone, grazie a IOM, hanno beneficiato di cure mediche essenziali, inclusi i migranti in condizione di vulnerabilità.

E per finire, nel 2018, 16.000 migranti sono stati rimpatriati grazie al progetto “Ritorno volontario assistito e reintegrazione, dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, in accordo con l’Unione Africana e con il supporto dell’Unione Europea. ()

In conclusione, si può affermare che, anche se in territorio libico c’è ancora molto da fare soprattutto in termini di stabilizzazione del Paese dopo l’instabilità portata coscientemente dalle bombe francesi di Nicolas Sarkozy e da quelle americane di Barack Obama, la situazione nei centri di detenzione governativi è notevolmente migliorata nell’ultimo anno, grazie all’impegno congiunto del Governo di Tripoli, dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni e dell’Unhcr Libya. Un consiglio ai signori delle Nazioni Unite, ormai speaker politici con una propria determinata agenda: invece di continuare a parlare dei “lager libici”, delegittimando altresì l’impegno dei loro operatori, sarebbe opportuno stanziare più fondi per migliorare ancora di più i centri di detenzione governativi. Magari diminuendo i loro opulenti stipendi.

Francesca Totolo

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3 comments

altravox 22 Gennaio 2019 - 4:50

rimarrà sempre un mistero come mai i torturatori libici (i quali inoltre rapiscono per riscatto ed estorsione) si premurino sempre tra una tortura e l’altra di lasciare nella tasca delle loro vittime le ingenti cifre da pagare agli scafisti una volta liberati.

mi spiace molto questo cinismo; per ogni uomo di Destra il valore della Vita umana è appunto un Valore,ed il pensare che un uomo venga carcerato e torturato per soldi fa semplicemente schifo…ma questo cinismo è assolutamente dovuto e causato da tutta una vulgata sinistrata/cattolica assolutamente poco credibile anche da un punto di vita logico.

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Marc 26 Giugno 2019 - 8:04

Non è cinismo: i delinquenti che lucrano su questo commercio contano appunto che la cosa che hai razionalmente denudato non possa essere presa in considerazione dai “benpensanti” (leggasi boccaloni) che fanno girotondi, in quanto cosa “troppo cinica” per poter essere nemmeno considerata da queste anime belle… I delinquenti che hanno organizzato questo commercio la coscienza non ce l’hanno.

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Immigrazione: le fake news delle agenzie Onu sui “lager libici” - AllNews24 22 Gennaio 2019 - 6:15

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