Roma, 6 ott – Non è raro trovare al giorno d’oggi classi composte dalla maggior parte di stranieri, infatti nella rete ci si imbatte spesso in immagini che contengono liste di nomi appartenenti ad una classe in cui solo uno o due alunni presentano nomi e cognomi italiani. È il caso della scuola elementare “Cittadella” di Modena, dove in una classe si è passati da totale di 24 alunni, di cui sei italiani, ad una situazione in cui di questi è rimasta solo una bambina italiana circondata da bambini stranieri. Questa riduzione è dovuta al timore dei genitori di inserire i propri figli in un contesto eccessivamente multietnico, dove dall’integrazione dell’elemento straniero si passa all’integrazione di chi invece è italiano a tutti gli effetti.
I giornali locali affermano che vi sono difficoltà linguistiche e di comunicazione sensibili da parte degli alunni stranieri che impedirebbero alla sfortunata bambina una corretta crescita scolastica. Nella Gazzetta di Modena la madre giustifica la sua denuncia pubblica ripudiando le accuse di razzismo: “Io non ho paura dello straniero ma vorrei che la scuola funzionasse correttamente. Nella situazione che si è venuta a creare è invece impossibile lavorare. Ho chiesto più volte di essere ricevuta anche dalla preside, che mi ha dato appuntamento e poi non si è presentata, preferendo poi dirmi al telefono non c’era nulla da chiarire perché i compagni di mia figlia sono comunque nati in Italia”.
Curioso però che nonostante gli alunni stranieri siano nati e cresciuti in Italia, questi comunque non parlino correttamente la lingua italiana, creando un problema agli insegnanti nel garantire un corretto svolgimento delle lezioni e del programma scolastico. Lo ius soli garantirebbe a questi alunni stranieri la cittadinanza, ma sarebbe un mero riconoscimento istituzionale visto che gli usi, i costumi e lingua della nazione in cui sono nati e cresciuti non sembrano a loro appartenere.
“Non siamo razzisti” ribadisce sempre la madre, “lo dimostra il fatto che siamo rimasti in questa scuola nonostante altri abbiano preferito andarsene. Vorremmo però che la scuola fosse un posto dove davvero si pratica l’integrazione. Una classe concepita in questo modo significa non avere minimamente presente quello che succede tra i nostri ragazzi. Ai problemi di relazione, che sono enormi, aggiungiamo anche quelli di apprendimento, perché in una situazione del genere stare al passo col programma è impossibile”.
Le istituzioni sembrano ignorare la denuncia dei genitori della bambina, la preside infatti ignora la loro richiesta di riceverli, mentre l’assessore all’istruzione Gianpiero Cavazza se ne lava le mani affermando: “I bambini nati da immigrati conoscono bene l’italiano, non ci fermiamo al cognome”.
Le risposte ai disagi dei cittadini si ripetono come un mantra propagandistico, e si possono riassumere così: “Non bisogna cedere ai pregiudizi, bisogna accogliere tutti, sono nati in Italia dunque sono italiani, se non la pensate così siete razzisti”. La realtà dei fatti però è che di italiano nella scuola pubblica rimane poco, con il conseguente aumento di disagi ai danni dei cittadini italiani che vengono ignorati dalla classe dirigente e dalle istituzioni. La loro unica priorità è lo sciopero della fame per lo ius soli, legge che sarebbe una beffa verso il buon senso e che confermerebbe la distanza abissale tra chi governa e i problemi reali di chi viene governato, ma per i primi alla fine è solo una questione di interessi personali.
Davide D’Anselmi
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Una lingua si impara da neonati “per esposizione” cioè in maniera del tutto naturale tramite quella che senti parlare in casa dai tuoi genitori; se per caso quella lingua non è l’italiano,avrai grandissime difficoltà nell’utilizzo della medesima sui banchi di scuola.
Chi ha qualche capello bianco in testa vi potrà testimoniare che la stessa medesima cosa avvenina qualche decennio fa con quei compagni di classe che in famiglia parlavano solo dialetto; quindi il fatto di essere “nati in Italia” non significa un bel nulla.
Non rimane quindi che concentrarsi sulle “pensioni pagate”…
Nella rossa Emilia al cognome non ci fanno caso, eh già. Cosa gliene importa se gli emiliano-romagnoli doc si avviano verso l’estinzione? Una beata mazza ovviamente, l’importante è sostituirli con marocchini, tunisini, senegalesi, ghanesi, indiani, pakistani, ecc., e la cosa più grave è che a non farci caso sono proprio personalità politiche de luogo autoctone, le quali hanno ben assimilato e recepito l’ideologia autolesionista, suicida e antinatalista del vecchio PCI, che propagandava specie dopo il Sessantotto rincorrendo i Radicali.
Infatti l’Emilia-Romagna come altre regioni rosse italiane quali la Toscana, l’Umbria e la Liguria, da quattro decenni a questa parte i figli unici sono più numerosi di coloro che hanno fratelli, e il fenomeno si sta rapidamente estendendo anche nel Mezzogiorno, tradizionalmente più prolifico. Così facendo, le generazioni si dimezzano ed ecco servita la propria estinzione. Almeno su questo la colpa non è degli immigrati, ma del fatto che gli italiani stessi non fanno almeno 2,1 figli a testa, pari al valore di sostituzione della popolazione, e di conseguenza di episodi come questo di Modena con classi a prevalenza composte da figli di immigrati, saranno sempre più frequenti col passare degli anni.
In Polonia, e in misura uguale in Russia e Ungheria, un donna polacca con tre figli prende 600 euro al mese di assegni per la maternità, in pratica uno stipendio di una operaia a tempo pieno, le nostre 1000 euro per capirsi.
Infatti Polonia, Russia e Ungheria sono i paesi con la maggior crescita demografica in Europa.
E solo una questione politica la natalità.
I nostri politici sono dei venduti autorazzisti.
Spendono 7.000.000.000 miliardi di euro per questi finti profughi e niente per i bambini italiani sono dei mostri …