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Oltre la questione morale, sostenere acriticamente Israele non conviene: ecco perché

by Stelio Fergola
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Israele

Roma, 9 ott – La questione tra Israele e Palestina è la conseguenza diretta di un atto, quello del 1948, che non poteva che portare a queste conseguenze, come abbiamo già sottolineato stamattina. Ma la questione medesima, a ben vedere, non si estrinseca solo su un piano morale – già di per sé gravissimo – ma anche su aspetti pratici, diplomatici, relazionali e perfino economici con i Paesi arabi.

Perché l’appoggio incondizionato ad Israele non è cosa saggia: per l’Italia e per l’Europa

Una premessa va fatta: l’Italia è stato il Paese che più è riuscito nel secolo scorso a intrattenere rapporti positivi con il mondo arabo. Complice la posizione geografica e interessi troppo forti per poter essere ignorati, dai tempi di Enrico Mattei in avanti la peculiarità è stata sempre quella di non avere un atteggiamento prevaricatore, a differenza di molte altre potenze europee (e ovviamente degli Stati Uniti). L’Italia, però, è nella sfera occidentale. Dunque paga, inevitabilmente e inesorabilmente, la presenza di una zavorra in tutte le sue relazioni con nordafricani e mediorientali: la questione israelo-palestinese. Non dobbiamo nasconderci, possiamo virare direttamente sulla stessa presenza di Israele in quell’area geografica. Il cui danno per gli occidentali in generale è difficilmente smentibile. Si pensi a un solo esempio: appoggiare Israele sempre e comunque è stato il motivo principale dell’ultima, clamorosa crisi inflattiva del XX secolo, quella scoppiata negli anni Settanta. Questo perché, a seguito della guerra dello Yom Kippur nel 1973,  con gli scontri tra Israele da un lato e Paesi come Siria ed Egitto dall’altro, fu l’Opec – l’organizzazione degli stati produttori di petrolio, in larghissima parte nordafricani e mediorientali – ad avviare quella rappresaglia economica che si tradusse nell’aumento vertiginoso dei prezzi del greggio o nel deliberato embargo verso i Paesi più filoisreaeliani. Il che portò in pochissimo tempo allo scoppio di un’inflazione generalizzata ad Ovest, come è naturale che sia: con la benzina si trasportano merci di tutti i tipi, di conseguenza un suo aumento così forte non può che condurre a un effetto domino. Per dieci anni circa, Europa e Stati Uniti pagarono a caro prezzo quella situazione.

Ecco perché, per essere estremamente sintetici, appoggiare Israele – quanto meno, in modo così acritico – non è negli interessi italiani. Come non lo è degli europei. Una situazione su cui avevano riflettuto a ragion veduta perfino i realisti statunitensi, quali John Mearsheimer e Stephen M. Walt nel loro celebre The Israel Lobby and U.S. Foreign Policy, pubblicato nell’ormai lontano 2008. La sintesi era la medesima: con il Medio Oriente conviene dialogare. Questo ben oltre la condanna morale della “operazione israeliana”, già di per sé difficilmente difendibile.

Cosa fare?

Difficile a dirsi. Tornare indietro, specialmente quando l’insediamento è stato così capillare, è sempre complicato. Fatto sta che dobbiamo constatare un fatto: la presenza di Israele in Medio Oriente – per lo meno, a queste condizioni e senza un minimo di propensione a un assetto territoriale quanto meno umanamente comprensibile – è un ostacolo per le relazioni europee – e nello specifico, italiane – con i Paesi dell’area. Perfino con quelli storicamente più laici, come l’Egitto, la Siria o la – fu – Libia di Gheddafi. Anche se il dialogo e le trattative sussistono, lo stigma dell’invasione di Tel Aviv permane sempre e viene tirata fuori alla prima occasione utile. Ci troviamo da decenni a commemorare la figura di un israeliano che ormai non possiamo che definire “illuninato”, ossia Yitzhak Rabin, dal momento che la sua opera di pacificazione non ha avuto mai un seguito reale, e che dalla sua morte in avanti nessuno negli ambienti politici israeliani ne ha raccolto il testimone. E questo, ad ormai trent’anni di distanza da quella storica stretta di mano che aveva fatto credere tutti su una pace concreta, non può non portare a una miriade di interrogativi piuttosto inquietanti, che lasciamo alle deduzioni genuine dei lettori.

Stelio Fergola

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