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La bandiera della Jihad

Roma, 28 mag – Dalla sua nascita, con il profeta Muhammad nel 622, l’anno dell’Egira, l’Islam si confronta con le altre culture e religioni. La sua rapida espansione lungo la penisola araba, per poi affacciarsi verso il mediterraneo tramite la conquista della Siria, il Nord Africa e infine Spagna e Sicilia, ha permesso al Califfato Islamico di gestire un vero e proprio impero di una estensione immensa. Un impero in cui convivevano numerosi popoli composti in maggioranza da pagani, cristiani, zoroastriani ed ebrei. Se per i pagani la sorte fu infausta, perché dovettero scegliere tra la morte e l’Islam, ai seguaci delle altre religioni “semitiche” (ci sarebbe però da approfondire su quella zoroastriana) era permesso conservare il proprio culto, i propri usi e costumi, pagando una specifica tassa di “compensazione”, chiamata Jizya.

In questo mondo “idilliaco” dove svariate civiltà convivevano assieme sotto la Sharia e la guida del Califfato, tanto che numerose comunità ebraiche preferivano i musulmani ai cristiani ortodossi dell’Impero Bizantino, motivo per cui vivranno in eterno contrasto, c’è da analizzare una questione del tutto attuale: se questi popoli hanno saputo convivere ed integrarsi con gli arabi sotto l’Islam, può avvenire il contrario? Ovvero, possono i musulmani convivere in una società occidentale, con valori, usi, costumi ma, soprattutto, leggi diverse dalla Sharia, dal Corano e dagli Hadith? È una domanda fondamentale che l’Occidente deve porsi in un momento delicato come quello che stiamo vivendo attualmente, dove l’Islam è giunto ad essere la seconda religione in Europa, dopo il cattolicesimo, con un elevato numero di musulmani figli di immigrati e dunque cittadini nei vari stati europei. Possono però questi, coloro che si professano “musulmani moderati” vivere senza doversi per forza imporre?

A questa domanda risponde Giovanni Sartori, politologo e sociologo italiano morto appena un mese fa, quando, in una intervista dell’anno scorso al Giornale, affermò: “Siamo al disastro perché ci siamo illusi di integrare l’slam […] dal 630 d.C. in avanti la Storia non ricorda casi in cui l’integrazione di islamici all’interno di società non-islamiche sia riuscita. Pensi all’India o all’Indonesia”. E proprio pochi giorni fa, l’Isis ha attaccato nuovamente l’Indonesia con un attacco suicida, mentre nelle Filippine i militanti dello Stato Islamico sono giunti ad assediare la città di Marawi.

Si può parlare dunque dell’Islam come “religione di pace”? Effettivamente sì, ma la pace arriva attraverso un dovere assoluto del musulmano: la JihadIl significato di Jihad letteralmente è “un immenso sforzo atto a giungere ad uno scopo”, dunque è un percorso spirituale per giungere alla “perfezione della fede e dello spirito” di un musulmano, ma è anche lo sforzo di condurre una battaglia per imporre l’Islam nel mondo e per difendersi. Infatti la Jihad si può “suddividere” in offensiva e difensiva, come affermava ʿAbd Allāh Yūsuf al-ʿAzzām: “Lo jihād contro gli infedeli è di due tipi: il jihād offensivo (dove il nemico è attaccato sul suo territorio)… [e] il jihād difensivo. Questo consiste nell’espulsione degli infedeli dalla nostra terra, ed è fard ‘ayn [obbligo religioso personale per ciascun musulmano], un dovere assolutamente obbligatorio” Eppure abbiamo potuto constatare come in tempi remoti, varie culture e religioni convivessero insieme, ma questo sempre sotto la guida del Califfo e di uno stato in cui vigesse l’Islam.

mosaico islam gericoA spiegarci bene il concetto di Jihad è un mosaico che si trova poco a nord di Gerico, in Palestina, nel Palazzo di Hisham o anche detto “Khirbat al-Mafjar”. Questo “palazzo” è in realtà un complesso di varie strutture, tra cui le terme e una sala di ricevimento all’interno dell’atrio dove il Califfo concedeva l’udienza. Entrando in questa sala ci si può trovare di fronte un mosaico pavimentale molto semplice nell’iconografia ed elaborato nella tecnica. Il mosaico raffigura un leone che azzanna una gazzella sul lato destro di un albero che divide la composizione simmetricamente, mentre a sinistra di quest’ultimo altre due gazzelle brulicano pacificamente. Senza perderci nei dettagli, l’iconografia è chiara e, visto che in arabo si legge da destra, verso sinistra, l’Islam, ovvero il leone, tramite la Jihad, una violenza necessaria, non gratuita, ed un dovere assoluto del musulmano, azzanna la gazzella, ovvero un territorio non ancora islamizzato, a sinistra dell’albero invece le gazzelle brulicano in tutta tranquillità, perché a garantirne la pace è il Califfo, ovvero l’Axis Mundi interpretato dall’albero, che va ad indicare il trono e quindi l’Islam.

La condizione di pace, professata dall’Islam, avviene quindi solo dopo la Jihad, a darci una testimonianza reale del mosaico, è la città di Gerusalemme e, precisamente, lo è in un monumento: la cupola della roccia, ovvero la Qubbat al-akhra, costruita nel 691 dopo la caduta della città santa. Questa sorge in un luogo sacro, dove sorgevano l’antico tempio di Salomone e quello distrutto da Tito nel 70 d.C, dunque un luogo sacro per gli ebrei. Qui Abd al-Malik fa erigere il santuario, destinato alle popolazioni non-musulmane, in maniera tale che si ergesse e fosse visto da tutta Gerusalemme, così da conclamare che l’Islam è la nuova religione che garantisce la pace alla città santa, la continuatrice delle antiche religioni semitiche, Gesù e Maria vengono nominati nelle iscrizioni, ma la seconda come madre di un semplice profeta dell’Islam perché “la lode appartiene ad Allah, che non ha figlio alcuno”. La cupola è anche questa volta l’Axis Mundi di cui l’Islam si fa interprete, imponendosi in un luogo sacro, alla popolazione non islamizzata che dovrà accettare di pagare la Jizya e di sottomettersi alla Sharia.

Può dunque una religione che si identifica come un leone, convivere sottomettendosi alle gazzelle? Se il mondo fosse come quello che Zootropolis descrive, con la sua retorica buonista e multiculturalista, forse sì. Ma la realtà dei fatti ci insegna che chi si identifica come predatore, non può sottomettersi alla preda, perché la divora. Sta poi a noi scegliere se essere una preda inerme, o reagire e difenderci.

Davide D’Anselmi

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