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Esiste una Bibbiano romana? Tutto quello che non torna nella storia di Francesca (Video)

by Davide Di Stefano
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Francesca Di Napoli

Roma, 7 gen – Francesca è una madre che resiste. Alla violenza di un sistema di affidi che vuole portarle via i suoi cinque figli, agli assistenti sociali che hanno delineato un quadro falso della sua situazione familiare – basato su accuse facilmente smentibili -, ad un Tribunale che ha emesso un decreto di allontanamento e trasferimento in una casa famiglia per i suoi ragazzi, una misura drastica che non ha minimamente considerato l’ipotesi di un approccio più graduale. Una vicenda che mette i brividi e che non può non far correre la mente ai più recenti casi di cronaca come Bibbiano: anche in questa situazione qualcosa sicuramente non quadra.

Leggi anche – “Così gli assistenti sociali vogliono portarmi via i figli a Natale”. La denuncia di Francesca

Vi abbiamo già raccontato la sua storia, non riuscendo a comprendere come una ad una donna sposata, con un contratto di lavoro, una casa di proprietà, con cinque figli iscritti a scuola e senza alcuna accusa di molestie o altro, potessero essere strappati via i ragazzi nei giorni precedenti a Natale. Un nucleo familiare smembrato, con i tre figli più grandi in una casa famiglia, i due più piccoli con la madre in un’altra struttura e il padre da solo a casa.

Perché distruggere una famiglia normale?

Abbiamo deciso dunque di conoscere Francesca Di Napoli, romana di 37 anni impiegata in una ditta di pulizie, e la sua famiglia. Siamo andati con la videocamera nella sua abitazione, un normalissimo appartamento sulla via Tuscolana. Qui in una intervista ci ha raccontato nuovamente la sua storia, dell’incubo iniziato nel 2018 con una segnalazione delle professoresse di Alessandro, suo figlio 14 enne, che ai servizi sociali del settimo Municipio di Roma hanno raccontato delle assenze del ragazzo e del suo rifiuto per la scuola. Sufficiente per portare in pochi mesi, il 22 giugno 2018, ad una prima limitazione della responsabilità genitoriale per Francesca e suo marito nei confronti di Alessandro, estendo il provvedimento (e aggravandolo con il trasferimento in case famiglia) agli altri quattro figli l’8 ottobre 2019.

La video intervista a Francesca Di Napoli e il blitz alla casa famiglia

La “colpa” di essere poveri

Abbiamo potuto vedere con i nostri occhi la vita di una famiglia numerosa ma normalissima, le due stanza pulite e in ordine dei ragazzi, il bagno appena ristrutturato e la cucina/salotto dove la famiglia si riunisce. Anche questo elemento, quello di avere uno spazio giudicato non idoneo dove mangiare e un tavolino “troppo piccolo”, è stato tra quelli utilizzati dagli assistenti sociali per giustificare l’allontanamento dei figli. Come se essere poveri, o comunque non abbienti, sia una colpa.

Francesca ci ha spiegato come la situazione sia degenerata con il cambio dell’assistente sociale incaricata di seguire il caso di suo figlio Alessandro, avvenuto nel giugno del 2018. Con l’assistente sociale Maria Dell’Abate Francesca non è praticamente mai riuscita a parlare, le ha lasciato solo un numero dell’ufficio al quale non rispondeva mai o si faceva negare. Per almeno tre volte l’assistente sociale ha disdetto l’ispezione domiciliare da lei stessa fissata con pochissimo preavviso (22 febbraio 2019, 19 aprile 2019 e 11 ottobre 2019), con tutti i problemi che questo comporta ad una madre lavoratrice con cinque figli che deve prendersi il permesso al lavoro. Al giudice poi la Dell’Abate ha dichiarato il contrario, affermando che è stata Francesca a far saltare gli incontri.

Quella strana ispezione della polizia locale

Oltre all’ostilità conclamata dell’assistente sociale Dell’Abate, a mettere nei guai Francesca è stata una strana ispezione della polizia locale avvenuta il 21 maggio 2019. I vigili hanno dichiarato di essersi recati sul posto in seguito ad una segnalazione arrivata da un vicino di casa di Francesca, che aveva sentito una bambina piangere. Il pianto non proveniva dalla loro abitazione, visto che la famiglia Biandrati-Di Napoli si era trasferita dal padre di Francesca almeno da un mese perché stavano eseguendo dei lavori in casa all’impianto fognario. La polizia locale ha inviato subito una relazione ai servizi sociali in cui si faceva riferimento al cattivo odore proveniente dall’abitazione connesso alla fuoriuscita di alcune blatte. I dubbi di Francesca si concentrano anche su questo strano intervento della polizia locale. Noi abbiamo potuto constatare che il bagno della loro abitazione è stato effettivamente ristrutturato di recente e non presenta alcun problema. Così come la casa è risultata pulita e agibile, non certo invasa dalle blatte.

L’accanimento dell’assistente sociale Dell’Abate

Leggendo le carte processuali e potendo vedere con i nostri occhi la vita della famiglia Biandrati-Di Napoli, abbiamo constatato la falsità delle molte accuse rivolte a Francesca e a suo marito. Lo stesso Alessandro, il figlio 14enne segnalato per primo ai servizi sociali, è un ragazzo chiuso e introverso, ma che si è diplomato nel giugno scorso alla scuola media e che adesso frequenta regolarmente e con voti alti un istituto superiore di Roma. L’assistente sociale Dell’Abate ha dichiarato invece che il ragazzo aveva abbandonato il percorso di studi, versione accolta poi dal Tribunale di Roma che ha disposto l’allontanamento dalla famiglia. Perché questa falsa dichiarazione?

La figura dell’assistente sociale Dell’Abate è abbastanza centrale. Tutto è peggiorato dal suo arrivo, con un atteggiamento strano che oscilla tra il disinteresse e la persecuzione. Oltre a non comunicare minimamente con una famiglia che invece dovrebbe tutelare, da un verbale d’udienza del 20 settembre 2019 (due settimane prima del provvedimento che toglie tutti e 5 i figli a Francesca) dimostra di non sapere nemmeno a quale istituto fosse iscritto Alessandro. Perché allora dichiara che il ragazzo ha abbandonato gli studi?

Che ruolo ha la cooperativa Ermes Onlus?

Come ci spiega l’avvocato Antonella Rustico, che per conto di Francesca ha presentato il reclamo in Corte d’Appello il 10 ottobre scorso, la Dell’Abate “non ha mai dato i propri riferimenti alla signora Di Napoli; ha fornito il numero di telefono di un ufficio interno al Municipio e l’indirizzo e-mail di tale signora Katia Vitri, con suffisso @comune.roma.it.
La cosa mi aveva fatto pensare, anche perché la Dell’Abate non rispondeva mai a quel numero e la persona che rispondeva diceva sempre che la stessa non c’era. La prima relazione depositata, risalente al 23 maggio 2019 (due giorni dopo la strana ispezione dei vigili, ndr), non ricava la firma della signora Dell’Abate, ma di un’altra persona della cooperativa, con la precisazione “per la Dott.ssa Dell’Abate”. In questa relazione per quattro volte si parla di abbandono degli studi da parte di Alessandro (cosa mai accaduta, ndr). Relazione sulla quale campeggia il timbro della cooperativa Ermes Onlus”.

Timbro Ermes che viene apposto anche nella relazione presentata ai primi di dicembre in Corte d’Appello a firma dott.ssa Dell’Abate. Il fondatore della cooperativa Ermes Onlus, Salvatore Di Maggio, nel 2016 è stato arrestato per un giro di mazzette legato alla gestione dei campi rom per i quali prendeva “più soldi di Buzzi”. Di Maggio era presidente del Consorzio Alberto Bastiani di cui oltre la cooperativa Ermes faceva parte anche la Comunità di Capodarco (fondata da Don Vinicio Albanesi e da sempre attiva sul fronte dell’accoglienza). In questa gara d’appalto per il Comune di Ciampino del 2013 sul progetto “Passo dopo passo”, si legge come la rappresentante della cooperativa Ermes Onlus sia proprio Maria Dell’Abate, delegata dal legale rappresentante Salvatore Di Maggio.

La domanda sorge spontanea: che ruolo ha la cooperativa Ermes Onlus? Perché e con quale criterio una sua rappresentante, Maria Dell’Abate, ha ricevuto la pratica della famiglia Biandrati-Di Napoli? E’ un caso che tre dei figli della signora Di Napoli siano stati affidati proprio alla casa famiglia “Capitano Ultimo” in via Tenuta della Mistica, e che accanto a questa struttura si trovi “l’agriristoro” gestito da “Agricoltura Capodarco”, con evidente connessione alla Comunità Capodarco, quella che insieme alla cooperativa Ermes gestiva “alla Buzzi” i campi rom? Perché se la stessa responsabile della casa famiglia aveva detto a Francesca, durante un sopralluogo, che potevano tranquillamente passare il Natale in famiglia, la Dell’Abate ha invece preteso che il trasferimento avvenisse subito il 20 dicembre? (noi c’eravamo, le immagini negli ultimi minuti del servizio video sopra).

comunità capodarco bibbiano

Accanto alla casa famiglia Capitano Ultimo c’è un centro della Comunità Capodarco

Ultima domanda. Nella parte finale del servizio video si vede un certo attivismo di due agenti della polizia locale (a fronte di un silenzio totale dell’assistente sociale Dell’Abate), che ci intimano di non riprendere e ci chiedono i documenti. Loro sono arrivate insieme e se ne sono andate via insieme con l’assistente sociale Dell’Abate. Ci chiediamo se tante volte facciano parte dello stesso gruppo di polizia locale che ha realizzato quella strana ispezione, con “puzza di fogna e blatte”, che insieme alle dichiarazioni fasulle dell’assistente sociale è risultata determinante per togliere i figli alla signora Di Napoli. Non stiamo insinuando nulla, sia chiaro. Certo che in questa storia le coincidenze e le cose che non tornano iniziano ad essere parecchie.

Davide Di Stefano

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Sergio Pacillo 7 Gennaio 2020 - 10:29

Situazione raccapricciante e sconvolgente …

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