Roma, 16 giu – Era dal biennio 1917-1918, quando ai caduti al fronte e all’assenza dei giovani uomini si sommavano malattie epidemiche, che la popolazione italiana naturale non calava così tanto: quasi 100 mila unità in meno dal bilancio dei nuovi nati e dei morti nel corso del 2014, un crollo dovuto interamente alla riduzione della natalità.
Questo il dato più significativo e impressionante dell’ultimo Bilancio demografico nazionale redatto dall’Istat, che più di ogni artificio contabile o chiacchiere da illusionisti del Renzi o del Padoan di turno dovrebbe dare la misura della disperazione di una nazione mortificata nella gabbia europea.
Un vero e proprio tracollo della felicità e della fiducia nel futuro, già considerato su queste colonne in base a un recente rapporto Onu, che niente può raccontare più chiaramente della decisione di non mettere al mondo figli, e a sua volta l’indice più fedele del fallimento delle politiche di tutti gli ultimi governi, tanto più di quello corrente.
Il saldo naturale della popolazione italiana è stato particolarmente negativo in Liguria (oltre 0,6% in meno), seguita da Molise e Friuli – Venezia Giulia (circa -0,4%), con l’unica modesta eccezione positiva del Trentino – Alto Adige.
Se gli Italiani hanno fatto quasi 12 mila figli in meno rispetto al 2013, perfino gli stranieri – ormai oltre 5 milioni e l’8,2% della popolazione residente – hanno procreato a ritmo ridotto: meno 2.638 nati da coppie immigrate. Tuttavia, i figli generati da coppie straniere nel 2014 hanno rappresentato quasi il 15% dei nuovi nati, ossia molto vicino al doppio rispetto alla percentuale di residenti stranieri, con punte oltre il 20% in Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Toscana, segnale che la sostituzione di popolo in terra italiana non procede soltanto attraverso i nuovi arrivi dall’estero ma anche attraverso lo spread interno della natalità.
Con questi dati, e nonostante la pressione immigratoria, la popolazione complessiva è rimasta pressoché stabile: +2.075 unità, per un totale al 31 dicembre 2014 di 60.795.612 persone. Appare sempre più agevole anche acquisire la cittadinanza italiana: +29% rispetto al 2013, con 130 mila nuovi “Italiani”.
Un altro dato particolarmente pesante è quello dell’invecchiamento della popolazione italiana: l’età media è 44,4 anni, mentre nel 2012 era di 43,8 anni, nel 2004 di 41,3 anni e nel 1990 – appena 25 anni fa – di soli 36,9 anni. Un dato che – in base a dati Eurostat – colloca l’Italia al secondo posto tra i principali paesi dell’Unione europea, dopo la Germania (45,6 anni) e lontanissima da Regno Unito (39,9), Francia (40,8) e Spagna (41,8). E dire che nel 1960 eravamo i più giovani dopo gli spagnoli.
Tra le regioni italiane, la Liguria detiene anche questo infelice primato della popolazione meno giovane, con un’età media di 48,3 anni, seguita da Friuli – Venezia Giulia, Piemonte e Toscana, tutte oltre i 46 anni. La regione più “giovane” è invece la Campania con 41,5 anni di media.
Sebbene non siano disponibili dati precisi sulla composizione anagrafica degli stranieri, è lecito immaginare che questi siano mediamente più giovani rispetto alla media – ipotesi sostenuta dalla maggiore natalità degli immigrati – per cui l’età media della popolazione naturale è sicuramente ancora più elevata rispetto ai dati sopra illustrati.
Un popolo invecchiato, sfiduciato, infelice, sempre più sterile, assediato da una immigrazione incontrollata che ha portato solo spaventosi danni economici e sociali, i cui pochi giovani non fanno eccezione al clima generale e si ritrovano poveri, ignoranti e in misura enorme e crescente privi di prospettive per il futuro. Ce n’è abbastanza per decidere di cambiare tutto e riprenderci il futuro?
Francesco Meneguzzo