Basta scorrere la cronistoria degli eventi alluvionali nel solo centro-sud della Sardegna e aggiornata al 2010, quindi incompleta anche solo per questa nostra amata, bellissima e martoriata terra, per scoprire nel 1999 quasi 400 mm di pioggia in sole 8 ore, nel 2004 fino a 590 mm di pioggia in poche ore, e per farla breve gli eventi del 18 Novembre scorso sono stati certamente di elevatissima intensità ma non da record.
Di più, come non pensare ai 600 mm in 48 ore sulle alpi occidentali nel 2000, ai 500 mm in 4-5 ore sull’alta Versilia nel 1996, alla Maremma, in Toscana, dove oltre 400 mm di pioggia tra l’11 e il 12 novembre del 2012 causarono una devastazione tuttora non sanata. E si potrebbe continuare, con tanto di conta delle vittime (migliaia dal dopoguerra a oggi).
I numeri sono ormai complicati in un paese che aveva un tempo, tra l’altro, la migliore ingegneria idraulica del mondo, ma è anche vero che senza numeri non si va da nessuna parte, tanto più per quanto riguarda le catastrofi idrogeologiche che da tempo immemorabile spazzano una terra – l’Italia – che un tempo sapeva di essere di montagna e che negli ultimi decenni si è illusa di essere di pianura.
In Italia pare proprio che su questa materia ogni volta il nastro sia riavviato da zero: laddove Maracchi venne ascoltato, per esempio dall’Autorità di bacino del fiume Arno già nell’ormai lontano 2000 quando questa era guidata dal prof. Menduni, fu varato un piano di bacino che teneva conto per la progettazione e realizzazione delle opere di contenimento delle piene fluviali non solo dei dati storici, ma anche della trasformazione delle piogge in base alle proiezioni climatiche per il futuro, così che un evento fino allora ritenuto possibile soltanto una volta ogni 100 anni divenne l’evento dei 20 anni, e così via. Guarda caso – sarà stata anche fortuna – sull’Arno e sui suoi principali affluenti non si sono verificati da allora eventi di rilievo!
Nel frattempo, gli investimenti per la ricerca sul clima sono stati dirottati sul centro euro-mediterraneo per i cambiamenti climatici, affidato all’istituto nazionale per la geofisica e la vulcanologia (estraneo al Cnr) che lo ha installato a Lecce, e l’eccellenza italiana in materia sta per magia… evaporando, proprio come l’acqua dal Mare Nostrum. Ma questa è un’altra storia.
Allora, qui bisogna intendersi una volta per tutte, e i lettori di questo quotidiano sono pregati di ricordarselo: il cambiamento climatico è una realtà, è devastante, è un pericolo mortale per l’umanità, è responsabile anche della maggiore intensità di tutti gli uragani e tifoni recenti, da Katryna a Sandy, ad Hayan che ha recentemente distrutto irreversibilmente vaste aree delle Filippine – e su quest’ultimo ha avuto nuovamente da dire Maracchi, che vale la pena ascoltare. Le temperature stanno salendo a una velocità mai sperimentata dal clima terrestre fino a quando risalgono le misure e le stime cioè vari milioni di anni, il ghiaccio polare artico sta scomparendo a una velocità che lascia senza fiato.
L’Italia in un sussulto d’orgoglio e di intraprendenza aveva segnato la via da percorrere almeno in campo energetico, per altro presto sabotata in patria e per niente seguita fuori dall’Europa, ma la radice anche di questo enorme problema è sempre la solita, l’usurocrazia finanziaria globalizzata che impone la crescita finalizzata alla redditività dei capitali ancorata al petrodollaro, quindi secondo modelli energetici e di consumo resi ormai arcaici e anacronistici dallo sviluppo delle tecnologie e della scienza (e sullo stato e sul reale peso della ricerca scientifica sulle sorti dell’umanità molto ci sarebbe da dire e da ridire, cosa che faremo presto).
Francesco Meneguzzo
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[…] al consumo attuale. Per quanto questo sembri improbabile, almeno un minimo di consapevolezza del rischio mortale derivante dai cambiamenti climatici si è fatto strada egli ultimi due decenni; allora, immaginiamo di iniziare a produrre […]