Questo articolo, che smonta alcune leggende sul colonialismo europeo in Africa, è stato pubblicato sul Primato Nazionale di giungo 2018.
Il complesso di colpa verso i popoli dell’Africa, le cui pessime condizioni di vita – a detta del pensiero politically correct – sarebbero da imputare al colonialismo, si configura, sempre di più, come un autentico mito storiografico inculcato nell’homo europaeus e finalizzato a giustificare l’attuale invasione allogena, secondo il teorema dell’africano sfruttato che viene in Europa a farsi ripagare. Ma è veramente così? Si tralasceranno, in questa sede, spiegazioni aborrite dall’attuale relativismo culturale che impone categoricamente di concepire le singole civiltà come prodotto di differenti sviluppi storici non equiparabili tra loro e tutte egualmente dignitose e meritevoli di rispetto. Di conseguenza, si esamineranno esclusivamente i fatti, tentando di ricostruire come, in realtà, siano andate veramente le cose. Si badi che non si vuole affatto negare che siano avvenuti guerre e massacri, ma circoscriverli nella «normalità» delle relazioni internazionali del tempo. Ciò che si vuole negare, invece, è che tutti i mali attuali del continente nero risiedano in quella che è stata definita «età dell’imperialismo».
Un’armonia fittizia
Innanzitutto, bisogna chiedersi come sia stato possibile che in meno di un secolo – dal 1884, anno della Conferenza di Berlino voluta dal cancelliere tedesco Bismarck (†1898), in cui venne decisa la spartizione dell’Africa in zone d’influenza, agli anni Cinquanta del XX secolo, inizio del processo di decolonizzazione – l’Europa sia stata in grado di distruggere la decantata armonia politica, economica e culturale del continente africano, applicando persino forme diverse di dominio che andavano dal semplice protettorato – con il mantenimento di istituzioni e dinastie locali – al governo diretto. Evidentemente, questa tesi non regge.
Due i casi esemplari: Liberia ed Etiopia. La prima fu una repubblica indipendente fondata nel 1847 da afroamericani – già schiavi negli Usa e poi affrancati – e fu l’unico Stato africano a non subire un’occupazione e un dominio coloniale, con un governo presidenziale modellato su quello statunitense. Ebbene, le condizioni di vita nel Paese sono, ancora oggi, catastrofiche, soprattutto dopo la terribile guerra civile iniziata nel 1980, a seguito del colpo di stato del generale Samuel Doe. Da rammentare che la guerra fu combattuta tra la popolazione nera autoctona e i discendenti degli ex schiavi statunitensi, che monopolizzavano il potere politico. L’Etiopia, invece, fu l’ultimo Stato africano a subire un dominio coloniale (quello italiano) per soli cinque anni (1936-1941): un periodo di tempo troppo breve – durante il quale furono investiti capitali, attuate bonifiche, costruite città – per pensare che ciò che avvenne dopo (carestia, desertificazione, colpo di stato del colonnello Menghistu e morte misteriosa del negus nel 1975, conflitti con la Somalia per il possesso dell’Ogaden) possa essere imputabile al colonialismo italiano[1].
Colonialismo e pace
La verità è che l’armonia africana era imposta dalla pax delle potenze coloniali e venne meno al momento dell’indipendenza, in molti casi ottenuta con modalità pregiudizievoli per gli stessi interessi africani. Si consiglia, per restare in argomento, la visione del documentario del noto regista Gualtiero Jacopetti (†2011) Africa Addio, che illustrò molto bene i danni prodotti dalla decolonizzazione e, con grande preveggenza, ravvisò proprio in essa la causa principale dei drammi del continente africano (un film che, nonostante le infondate accuse di razzismo, vinse nel 1966 il David di Donatello). Infatti, nella gran parte dei casi – si pensi al Congo (1960) – l’estromissione degli europei dai gangli della vita politica, amministrativa e molto spesso economica, privò i nuovi Stati di quella «capacità di fare» e di quel bagaglio di esperienza e professionalità che avrebbero potuto essere efficacemente sfruttati anche nel nuovo contesto politico[2]. Nel 1970, ad esempio, Gheddafi espulse ben 20mila italiani, privando la Libia di una preziosissima borghesia economica e imprenditoriale.
Odi tribali e dittatori
Caduti i governi coloniali, le rivalità clanico-tribali, contenute dalla presenza coloniale, emersero in tutta la loro violenza. Si pensi alla secessione del Katanga, in Congo, o a quella del Biafra, in Nigeria, che causarono guerre con milioni di morti, o al genocidio Hutu-Tutsi, nel Ruanda degli anni Novanta del secolo scorso, o alla guerra civile somala e alla guerra del Darfur. D’altronde, i nuovi Stati decisero di conservare le frontiere delle vecchie colonie anche se non disponevano di personale militare, né di sistemi giuridici e competenze per poterli tutelare anche da aggressioni esterne. Spesso i beni dei coloni furono espropriati e nazionalizzati – come avvenne nella Rhodesia del Sud e in Kenya – e gli europei furono vittime di eccidi ad opera di formazioni paramilitari come la setta dei Mau Mau o la «Lancia della nazione», facente capo all’African National Congress di Mandela (†2013). Ancora oggi, ad esempio, in Sudafrica il governo dell’Anc sta portando avanti una campagna di progressivo spossessamento fondiario ai danni dei discendenti dei coloni europei, ricorrendo alla forza o facendo pressioni sul sistema bancario, attraverso la negazione dei prestiti o il pignoramento dei beni dati in garanzia degli stessi[3].
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Molti dei leader africani, esaltati come intellettuali finissimi – si pensi a Jomo Kenyatta (†1978) – non erano altro che capi tribali che, improvvisamente, si ritrovarono alla guida di burocrazie complesse ed entità statali territoriali, senza saperle gestire. Ovviamente, il fatto che questi leader imitassero, nello stile e nei comportamenti, gli statisti europei, non mutava la sostanza delle cose: nel 1977, ad esempio, il dittatore della Repubblica Centrafricana, Bokassa (†1996), noto «cannibale», si fece addirittura incoronare imperatore in una cerimonia dal sontuoso stile napoleonico. Difficile dunque dar torto a Ian Smith (†2007), primo ministro della Rhodesia del Sud (odierno Zimbabwe) e guida del Fronte Rhodesiano, quando definì l’Organizzazione dell’Unità Africana come un «conciliabolo dei dittatori». È anche comprensibile perché, in un contesto del genere, personaggi come Mugabe, Siad Barre (†1995), Amin Dada (†2003) e Mobutu (†1997) non siano stati l’eccezione, ma la regola: essi sono quanto di meglio l’Africa sia riuscita a produrre in termini politici.
Gran parte degli Stati nati dall’indipendenza si diedero una forma monopartitica e dittatoriale, ma i leader furono privi della capacità di sfruttare il potere assoluto a beneficio delle rispettive popolazioni, anzi, tale potere fu lo strumento per annientare clan o tribù rivali. Si pensi al massacro dei Matabele, in Zimbabwe, perpetrato dagli Shona (tribù di Mugabe) o al genocidio dei Masai (in Kenya) ad opera dei Kikuyu, tribù di Kenyatta. Il Sudafrica ha conservato una parvenza di civiltà solo perché la minoranza boera è rimasta più a lungo che altrove al potere ma, dopo la fine dell’apartheid nel 1994, riesplosero i conflitti interetnici tra le due principali etnie bantu, gli Zulu e i Xhosa. D’altronde, il regime di apartheid sudafricano nasceva proprio dalla consapevolezza politica della classe dirigente anglo-boera di ciò che sarebbe avvenuto, se non si fosse tentato uno sviluppo separato delle diverse comunità abitanti il Paese. Le previsioni del primo ministro sudafricano Hendrik Verwoerd (†1966), docente di psicologia all’Università di Stellenbosh e ideatore dell’apartheid, furono profetiche, tanto che molti capi aborigeni si schierarono contro l’abolizione del sistema dello sviluppo separato, cosa molto spesso taciuta. Nel Sudafrica, lo zulu Buthelezi, capo del partito Inkatha, fu un sostenitore del sistema dell’apartheid, consapevole dell’eccessivo potere che avrebbe acquisito l’etnia avversaria Xhosa in caso di vittoria dei seguaci di Mandela. Infatti, non fu raro il caso di molti leader indipendentisti che furono uccisi dai loro stessi connazionali, come il congolese Patrice Lumumba (†1961).
Il malgoverno
L’incapacità dei nuovi politici africani, inoltre, apparve subito chiara. Al momento dell’indipendenza, gran parte degli stati africani aveva ricevuto in eredità dalle potenze europee città, infrastrutture, codici normativi, burocrazie integre, di cui avrebbe potuto fare buon uso – cosa che, però, non si è verificata. Le città, vere e proprie enclave architettoniche europee in terra africana, oggi sono in gran parte devastate dall’incuria e dalla proliferazione di slums, mentre in Sudafrica è diffusissimo il fenomeno dei plakkers, gli occupanti abusivi di suolo pubblico – con baracche o altre costruzioni improvvisate – all’interno di quelli che, un tempo, erano considerati contesti urbani civili. Uno scenario che, tra alcuni anni, potrebbe riproporsi in Europa. Lo stesso discorso può essere fatto per le enormi ricchezze del continente (fauna, flora, risorse minerarie), ancora allo stato integro al momento dell’indipendenza. Lo sfruttamento delle risorse africane (soprattutto minerarie) da parte dell’Occidente europeo, del resto, non rappresenta la causa principale dei mali, soprattutto se si considera che, attualmente, i maggiori investitori di capitali finanziari nel continente sono l’Arabia Saudita e la Cina (più di 2mila imprese cinesi presenti in Africa e circa 2 milioni di operatori economici cinesi)[4].
Ancora all’incapacità delle classi dirigenti africane è imputabile il disastro eco-ambientale del continente nero. Si pensi alla caccia indiscriminata a particolari specie animali (rinoceronti, elefanti) per ricavarne avorio o pelli da smerciare sui mercati internazionali (soprattutto quello arabo) o alla pesca di frodo, alla deforestazione selvaggia o allo sversamento di rifiuti tossici, la cui responsabilità ricade, principalmente, sui governi locali, assolutamente incapaci – per ragioni culturali connesse al sostrato tribale – di vedere nell’ambiente un bene da tutelare. Non a caso le politiche di tutela ambientale sono considerate dai governi africani, ancora oggi, residui della mentalità coloniale. L’interesse fondamentale è fare affari con i Paesi capitalisticamente avanzati, smerciando pellicce, minerali e quant’altro, per avere in cambio valuta pregiata oppure armi e risorse alimentari[5]. Esempi istruttivi di tale follia sono offerti dal governo della Namibia – fino al 1989 sotto amministrazione sudafricana – e dall’attuale governo del Sudafrica. Il primo può considerarsi responsabile del massacro di centinaia di foche al fine di ricavarne carne e pellicce, il secondo della progressiva desertificazione di regioni come il Transvaal.
Colonialismo e sottoalimentazione
Anche la tanto vituperata sottoalimentazione è, in buona parte, un problema connesso alla decolonizzazione: basti pensare che gran parte degli Stati africani si è progressivamente trasformata da esportatore di alimenti in importatore. Valgano gli esempi del Kenya e dello Zimbabwe, il cui fabbisogno alimentare dipende – per circa il 70% – dalle importazioni. Parallelamente, si assiste all’incapacità dei governi di rallentare il fenomeno della desertificazione – più di 100mila Kmq all’anno – in parte determinata da uno sfruttamento eccessivo ed errato del territorio, attraverso il ricorso a pratiche come il debbio e la salinazione.
Criminalità e disoccupazione
La criminalità dilagante e la disoccupazione fanno il resto. In alcune aree dell’Africa nera, infatti, la disoccupazione investe più dell’80% degli abitanti, mentre la mortalità infantile è del 30. L’unica cosa che, in Africa, cresce senza sosta è la popolazione, con tassi anche del 5% annuo[6]. Il regime demografico africano, infatti, è quello delle società primitive, caratterizzato da un alto tasso di mortalità, accompagnato da alto tasso di natalità, senza che il primo, però, annulli gli effetti nefasti del secondo, la causa del quale, in parte, va ricercata anche nell’ostilità perenne della chiesa cattolica ad ogni politica di controllo demografico e di diffusione, tra gli aborigeni, di pratiche anticoncezionali. Le epidemie (malaria, lebbra, meningite, colera e tubercolosi) contribuiscono a rendere più interessante il quadro complessivo fin qui descritto, e fanno dell’Africa un vero e proprio serbatoio epidemiologico[7].
Un disastro sociale
Ovviamente, il rimedio degli aiuti finanziari agli Stati africani da parte delle potenze occidentali o di organizzazioni internazionali è assolutamente fallace, poiché gran parte di questi soldi contribuisce ad alimentare i conflitti militari interni o finisce nelle tasche dei politicanti locali, com’è dimostrato dai circa 180 miliardi di dollari riversati sul continente nero tra il 1975 e il 1985 e letteralmente dissoltisi al vento. Neppure il clan Mandela fu esente da accuse di corruzione, mentre le stereotipate accuse dei governi locali alle ex madrepatrie coloniali, in realtà, occultano veri e propri finanziamenti illeciti, molto diffusi soprattutto nel periodo della Guerra fredda quando – al di là di roboanti dichiarazioni di non allineamento – gli Stati africani facevano a gara per ottenere armi e risorse dall’Urss o dagli Usa.
Un altro degli effetti esorbitanti della decolonizzazione è il proliferare della schiavitù delle popolazioni del luogo, costrette dai dittatori di turno – molto spesso anche con metodi brutali – ai lavori minerari o di piantagione. Genocidi e guerre sono alimentati anche dal fondamentalismo islamico che, soprattutto negli ultimi anni, sta prendendo piede e che, ben presto, consentirà il sorpasso del cristianesimo come religione della maggioranza degli abitanti non professanti culti animistici. Non a caso l’Isis ha costituito basi in Egitto e in Libia, mentre sono sempre di più i gruppi terroristici preesistenti affiliati, si pensi a Boko Haram in Nigeria[8]. Ma anche i culti animistici africani hanno la loro parte di responsabilità nel degrado socio-economico generale, con il loro seguito di assassinii (si pensi ai bambini albini), di cannibalismo e di sterminio di intere specie animali per scopi cultuali[9].
A tali culti, molto probabilmente, è imputabile anche la diffusione dell’Aids (patologia africana per eccellenza) che affliggerebbe circa il 40% della popolazione del continente con punte altissime in Sudafrica (circa 10 milioni). Infatti, a quanto pare, il virus si propagò tra le tribù del lago Vittoria a metà degli anni Settanta a causa dell’usanza di iniettare e ingerire sangue infetto della scimmia azzurra, ritenuto afrodisiaco secondo i riti locali. In un contesto del genere, quindi, non ci si deve meravigliare di dichiarazioni come quelle dell’ex presidente sudafricano, lo zulu Jacob Zuma, secondo il quale l’Aids andrebbe curato con qualche doccia in più, né del fatto che, a metà degli anni Novanta del secolo scorso, stregoni kenioti consigliavano di curare l’Aids immergendo il pene in acido da batteria o stuprando fanciulle!
Al di là dell’uso della tecnologia occidentale, la gran parte degli Stati nati dalla decolonizzazione sono, ancor oggi, entità fantasma, pertanto assolutamente incapaci di esercitare il pieno controllo del proprio territorio e delle relative popolazioni, anche ai fini del contenimento del massiccio flusso migratorio in direzione dell’Europa. Pensare che pagare questi governi risolva il problema è pertanto una follia. Poiché il tribalismo la fa da padrone, è vano illudersi di trattare alla pari con chi non è al proprio livello civile, né è una soluzione proporre ai Paesi africani modelli di sviluppo capitalisti e industriali, perché essi non hanno una storia simile a quella europea, soprattutto se si considera che, molto spesso, questa via di sviluppo si traduce nella distruzione sistematica del patrimonio ecologico-ambientale.
Pie illusioni
Dalle considerazioni svolte, emerge l’esito fallimentare che hanno avuto parole d’ordine come «autodeterminazione dei popoli», «panafricanismo» o «negritudine», enunciate negli anni Cinquanta all’indomani dell’inizio del processo di decolonizzazione. Molti dei problemi strutturali dell’Africa sono e resteranno insolubili e l’unica alternativa per l’Europa è cercare di farsi coinvolgere il meno possibile. L’estromissione violenta e repentina dell’homo europaeus da ogni responsabilità di governo, all’indomani dell’avvio del processo d’indipendenza, rende l’Europa di oggi non responsabile dei drammi che affliggono il continente nero. Al termine di questa disamina, resta solo da aggiungere, per dovere di verità, che la decolonizzazione non ha prodotto, ovunque, le stesse tragiche conseguenze registrabili in Africa, com’è dimostrato dai casi del Giappone, della Cina, della Corea e dell’India: Paesi che, nonostante i loro problemi interni, sono riusciti a mettersi al passo, dal punto di vista politico, economico e militare, con le potenze occidentali.
Tommaso Indelli
[1] Cfr. F. Fiorani – M. Flore, Grandi imperi coloniali, Giunti, Firenze-Milano 2005.
[2] Sul processo di decolonizzazione africana, cfr. C. Coquery-Vidrovitch – H. Moniot, L’Africa nera dal 1800 ai nostri giorni, Mursia, Milano 1977.
[3] Cfr. in proposito G. Bruno, Uccidere un Afrikaner non è reato: il genocidio bianco in Sudafrica, «Il Primato Nazionale», maggio 2018, pp. 21-23; T. Indelli, I Boeri: storia di una lunga e tenace «resistenza etnica», ivi, pp. 24-29.
[4] Sul punto, T. Indelli, Europa e immigrazione. Precisazioni necessarie, Gaia, Salerno 2017.
[5] Per questi aspetti, frutto anche delle personali esperienze dell’autore, cfr. S. Waldner, La deformazione della natura, Edizioni di Ar, Padova 1997.
[6] Attualmente, la popolazione africana si aggira su circa 1 miliardo e 300 milioni di persone. Sull’esplosione demografica dell’Africa subsahariana, cfr. B. De Rachewiltz, Sesso magico nell’Africa nera, Basaia, Milano 1983.
[7] C. Coccia, Un futuro senza avvenire? La generazione della decisione, Edizioni di Ar, Padova 2017.
[8] Sull’avanzata dell’islam in Africa, cfr. S. Parent – A. Girard – L. Pettinaroli, Il cristianesimo in 100 mappe, LEG, Gorizia 2016.
[9] Sui culti animistici africani, cfr. E. Volhard, Der Kannibalismus, Strecker und Schröder, Stuttgart 1939.
14 comments
[…] Due i casi esemplari: Liberia ed Etiopia. La prima fu una repubblica indipendente fondata nel 1847 da afroamericani – già schiavi negli Usa e poi affrancati – e fu l’unico Stato africano a non subire un’occupazione e un dominio coloniale, con un governo presidenziale modellato su quello statunitense. Ebbene, le condizioni di vita nel Paese sono, ancora oggi, catastrofiche, soprattutto dopo la terribile guerra civile iniziata nel 1980, a seguito del colpo di stato del generale Samuel Doe. Da rammentare che la guerra fu combattuta tra la popolazione nera autoctona e i discendenti degli ex schiavi statunitensi, che monopolizzavano il potere politico. L’Etiopia, invece, fu l’ultimo Stato africano a subire un dominio coloniale (quello italiano) per soli cinque anni (1936-1941): un periodo di tempo troppo breve – durante il quale furono investiti capitali, attuate bonifiche, costruite città – per pensare che ciò che avvenne dopo (carestia, desertificazione, colpo di stato del colonnello Menghistu e morte misteriosa del negus nel 1975, conflitti con la Somalia per il possesso dell’Ogaden) possa essere imputabile al colonialismo italiano[1]. […]
Ottima analisi con una completezza di dati socio-economici e storici piuttosto chiari e facilmente comprensibili. Peccato che manchi “the dark side of the moon”, e cioè le vere cause di questa evidente scarsa capacità di “governance” delle maestranze politiche africane derivanti da linee guida di potere ben precise imposte dalle potenze occidentali {.. anche di Paesi europei..) per continuare a mantenere la società civile su bassi livelli culturali e così evitare l’identificazione di un neo-colonialismo che ha inflitto enormi danni alle società civili africane certamente maggiori che nei vari periodi coloniali. Mi spiace, pur apprezzando l’esposizione del suo articolo, ritengo incompleti i suoi contenuti e troppo rapida la conclusione su principi che ritengo errati e politicamente tendenziosi. Buona giornata e grazie dell’attenzione.
Trovo questo articolo becero, superficiale e priva di onestà intellettuale.
Tommaso indelli dovrebbe per onestà intellettuale, mettere sul piatto tutto il male che l’occidente ha fatto all’Africa solo perché aveva bisogno delle materie prime. Sai bene come andarono le cose dopo la decolonizzazione. Sai benissimo che l’Europa ha sempre pilotato le varie elezioni in Africa, per paura di avere al potere gente che non potevano controllare.
Come fa lei a dire che è tutto colpa dei Africani che dopo l’indipendenza hanno mantenuto le stesse frontiere? Quando si fa in modo che ogni paese ottenga l’indipendenza individualmente, qual è l’intento se non è quello di tenerli divisi?
Perché l’Europa non ha deciso all’unisono di rendere tutta l’Africa indipendente?
Vogliamo parlare dei paesi come il Niger di Sékou Touré che ha osato sfidare De Gaulle chiedendo l’indipendenza? Perché lei no dice nell’articolo che la France gliel’ha data l’indipendenza poi l’ha distrutta economicamente iniettando moneta falsa nell’economia, facendo così crollare il paese. Questo è esattamente quello che facevano i coloni in Africa. Non appena provava a protestare una persona, spariva e non se ne sentiva più parlare. Gli altri così imparavano a starsene zitto.
Il processo psicologico che ha visto protagonista il continente Africano non ha avuto luogo in nessun altro posto. Gli africani sono stati resi incapaci di difendersi, incapaci di amare il loro prossimo perché l’Europeo, durante decenni gli ha insegnato che il suo vicino che parla un’altra lingua è il vero nemico. l’Europa ha industrializzato il TRIBALISMO in Africa.
In Africa France, tutti i capi di stato sono stati in qualche modo imposti dai francesi. Molti casi sono stati anche documenti dalle stesse persone incaricate.
Per favore non divulgato mezze verità. l’Europa stessa è consapevole che le sue aziende vanno via dall’Africa, è la fine del continente Europeo. Ci parli di ENI in Africa?
Se vuole ne discutiamo. Non si nasconda dietro una carta e una penna.
Grazie
Tommaso Indelli, si informi meglio per favore. La superficialità di questo articolo mi lascia perplessa.
Non posso dirle di ritornare a scuola a imparare per bene la storia del colonialismo (che è anche insegnato malissimo qua in Italia) perché si vede che lei ha comunque studiato. Sì, ma malissimo come ogni buon pseudo intellettuale occidentale. Non si preoccupi, ce ne sono tanti altri come lei sparsi in giro per il mondo.
Ma vorrei comunque farla notare che gli africani, in primo luogo, non hanno chiesto agli europei di ficcare il naso nei loro affari personali. Non hanno mai chiesto di essere barbaramente uccisi ogni qualvolta l’Occidente ha voglia di imporre le proprie leggi e così facendo rubando “legalmente”. E per quanto concerne la Conferenza di Berlino voluta da Bismark, non mi pare che ci sia stato alcun africano invitato a partecipare alla suddetta conferenza. Perché? Perché sono delle scimmie, non capaci di pensare per sé stessi quindi noi che siamo bianchi, non tutti i Bismark del mondo occidentale penseremo noi per loro.
In secondo luogo, i mali dell’Africa hanno cominciato prima che gli Europei arrivassero in Africa. Ovverosia, quando gli arabi hanno invaso e schiavizzato alcuni popoli del suddetto continente. E quando gli Europei sono arrivati (per Europei intendo l’Europa occidentale – poiché l’Europa orientale non c’entrava nulla con il colonialismo in Africa), hanno semplicemente pensato di portare alla massima potenza ciò che gli Arabi avevano dimenticato di fare.
Se lei ha veramente di parlare dei mali dell’Africa odierna, non sono i suoi autori italiani che lei ha citato che le aiuteranno a capire. Bensì legga piuttosto tutti quegli autori africani che hanno scritto sul rapporto di forza tra l’Africa e l’Occidente. Un esempio è “DISCORSO SUL COLONIALISMO” di un martinicano chiamato Aimé Césaire. Altrimenti la smetta di continuare ad insultare quel continente perché non ha mai fatto nulla, assolutamente nulla di male a nessuno. Non ha mai neanche avuto il tempo. Quel continente, quell’Africa, è stato così generoso che ha aperto, senza porsi dei problemi, le sue porte all’Occidente. E l’Occidente in cambio si è mostrato per ciò che è: un bambino viziato che non smette mai di mentire. Un ladro, un distruttore.
L’Etiopia non è mai stata colonizzato ma soltanto invasa!!! L’invasione non è mai evoluta in colonialismo. Leggete e magari interrogate i vostri nonni prima di scrivere articoli di questo tipo!
Gentili signori sono costernato.
L’ignoranza è vostra ed è abissale. Qualcuno, di grazia, può contestare nel merito date, fatti ed eventi di cui si parla nel testo? Sono elencate falsità? La bibliografia citata, inoltre, non è solo italiana, ma di autori stranieri tradotti in italiano. L’Etiopia è stata conquistata nel 1935-36, dopo il fallimento del 1896, e colonizzata per pochi anni, fino alla conquista inglese, nel 1941 – resa dell’Amba Alagi – mentre l’Eritrea, già parte dell’impero del negus, era dominio italiano fin dal 1889 e dopo la riunificazione con l’Etiopia, alla fine della seconda guerra mondiale, ha combattuto per ritornarsene indipendente, nel 1993! Riguardo poi all’ipotesi, suggerita da alcuni commentatori, di concedere “in blocco” l’indipendenza all’intero continente africano negli anni 50, essa è più che peregrina per il semplice fatto che una nazione africana – compresa la fantomatica negritudine – non è mai esistita, ma si tratta di un continente – attualmente ripartito in circa 54 stati! – con più di 12000 etnie diverse per lingua tradizioni ed usi vari – spesso in conflitto – e, negli anni 50, con circa 250 milioni di abitanti (gli Europei in loco erano appena due milioni)!!!! Attualmente, il principale problema è la crescita senza sosta della popolazione, attestata intorno al miliardo e 300 milioni che, molto probabilmente, intorno al 2050, sfiorerà i 3 miliardi! A quell’epoca la pressione alle frontiere europee mediterranee sarà incontenibile! Gentili signori, consiglio anche io un autore da leggere: Bernard Lugan. Riguardo agli Arabi, negrieri per eccellenza, faccio presente che la conquista araba dell’Africa settentrionale – il Maghreb – lambì solo l’Africa subsahariana, non traducendosi mai in una penetrazione militare vera e propria nel continente nero fino al capo di Buona Speranza! Riguardo le generosità degli Africani, vi invito a riflettere sull’impero zulu, nel XIX secolo, una vera e propria macchina da guerra contro altri Africani, o sul genocidio Hutu-Tutsi – rivalità preesistente al colonialismo europeo – degli anni 90 del XX secolo, o sulla condizione femminile in Nigeria o altrove, o su altri aspetti approfonditi dal testo, relativi a conflitti interetnici. Un testo che, senza offendere nessuno, dato il numero minimo di battute a disposizione dell’Autore, ha cercato semplicemente di smontare alcuni “miti” destituiti di ogni fondamento storico sul colonialismo europeo nel continente nero, non eludendo le responsabilità degli europei, ma ribadendo le gravi e pesanti responsabilità degli autoctoni! Anzi, a tal punto, ricordo che, in alcuni casi, furono addirittura gli autoctoni ad ostacolare il processo di indipendenza di alcuni territori coloniali!! Ad esempio, nel 1975, il Fronte Polisario che si batteva per l’indipendenza del Sahara Spagnolo? Indipendenza mai conquistata a causa del Marocco e della Mauretania che, alla proclamazione dell’indipendenza del Sahara Spagnolo, occuparono e si spartirono quel territorio (poi evacuato dalla Mauretania nel 1979, ma occupato interamente dal Marocco…). E’ sufficiente? Sono stato abbastanza dettagliato o devo scrivere una monografia online sul tema? Potete non essere d’accordo sulle conclusioni ma, per favore, non dite corbellerie! Riguardo alla mancata presenza degli Africani al Congresso di Berlino, ricordo che anche i Cartaginesi non erano presenti quando fu deliberata dal senato la distruzione di Cartagine, nel 146 a.C., e che non erano presenti i Tedeschi a Versailles nel 1919 – furono invitati a firmare la pace – o a Parigi nel 1947!!! Per favore, ma che considerazioni sono?? Gli Europei hanno rubato? Certo, ma anche i Sioux, gli Inca e gli Aztechi hanno preso al terra a chi c’era prima di loro. Ma che ragionamenti fate?? Vogliamo risalire al Paleolitico inferiore?
Ah dimenticavo…E la corresponsabilità nella tratta dei negri – abolita dagli stessi Europei, nel 1815, in occasione del congresso di Vienna, come d’altronde la schiavitù (nella colonie inglesi, nel 1833) – degli Africani dove la mettiamo, dato che i negri erano forniti ai negrieri, generalmente, da tribù compiacenti e reclutati tra prigionieri di guerra, debitori ecc., in cambio di armi da fuoco e paccottiglia? E la condizione – precarissima – dei discendenti dei coloni europei rimasti in Africa – dove politicamente non contano più nulla e sono oggetto, come in Sudafrica nell’ex Rhodesia del sud, di rapine e omicidi – dove la mettiamo? Sono aspetti poco convenzionali della storia dell’Africa che una storiografia coraggiosa sta portando alla luce. Non piace a tutti, lo so, soprattutto ai Terzomondisti infantili, ma questi sono i fatti..
Gentili signori sono costernato.
L’ignoranza è vostra ed è abissale. Qualcuno, di grazia, può contestare nel merito date, fatti ed eventi di cui si parla nel testo? Sono elencate falsità? La bibliografia citata, inoltre, non è solo italiana, ma di autori stranieri tradotti in italiano. L’Etiopia è stata conquistata nel 1935-36, dopo il fallimento del 1896, ad Adua, e colonizzata per pochi anni, fino alla conquista inglese, nel 1941 – resa dell’Amba Alagi – mentre l’Eritrea, già parte dell’impero del negus, era dominio italiano fin dal 1889 – trattato di Uccialli – e, dopo la riunificazione con l’Etiopia, alla fine della seconda guerra mondiale, ha combattuto per ritornarsene indipendente, nel 1993! Riguardo poi all’ipotesi, suggerita da alcuni commentatori, di concedere “in blocco” l’indipendenza all’intero continente africano negli anni 50, essa è più che peregrina per il semplice fatto che una nazione africana – compresa la fantomatica negritudine – non è mai esistita, ma si tratta di un continente – attualmente ripartito in circa 54 stati! – con più di 1200 etnie diverse per lingua tradizioni ed usi vari – spesso in conflitto – e, negli anni 50, con circa 250 milioni di abitanti (gli Europei in loco erano appena due milioni)!!!! Attualmente, il principale problema è la crescita senza sosta della popolazione, attestata intorno al miliardo e 300 milioni che, molto probabilmente, intorno al 2050, sfiorerà i 3 miliardi! A quell’epoca la pressione alle frontiere europee mediterranee sarà incontenibile! Gentili signori, consiglio anche io un autore da leggere: Bernard Lugan. Riguardo agli Arabi, negrieri per eccellenza, faccio presente che la conquista araba dell’Africa settentrionale – il Maghreb – lambì solo l’Africa subsahariana, non traducendosi mai in una penetrazione militare vera e propria nel continente nero fino al capo di Buona Speranza! Riguardo le generosità degli Africani, vi invito a riflettere sull’impero zulu, nel XIX secolo, una vera e propria macchina da guerra contro altri Africani, o sul genocidio Hutu-Tutsi – rivalità preesistente al colonialismo europeo – degli anni 90 del XX secolo, o sulla condizione femminile in Nigeria o altrove, o su altri aspetti approfonditi dal testo, relativi a conflitti interetnici. Un testo che, senza offendere nessuno, dato il numero minimo di battute a disposizione dell’Autore, ha cercato semplicemente di smontare alcuni “miti” destituiti di ogni fondamento storico sul colonialismo europeo nel continente nero, non eludendo le responsabilità degli europei, ma ribadendo le gravi e pesanti responsabilità degli autoctoni! Anzi, a tal punto, ricordo che, in alcuni casi, furono addirittura gli autoctoni ad ostacolare il processo di indipendenza di alcuni territori coloniali!! Ad esempio, nel 1975, il Fronte Polisario che si batteva per l’indipendenza del Sahara Spagnolo? Indipendenza mai conquistata a causa del Marocco e della Mauretania che, alla proclamazione dell’indipendenza del Sahara Spagnolo, occuparono e si spartirono quel territorio (poi evacuato dalla Mauretania nel 1979, ma occupato interamente dal Marocco…). E’ sufficiente? Sono stato abbastanza dettagliato o devo scrivere una monografia online sul tema? Potete non essere d’accordo sulle conclusioni ma, per favore, non dite corbellerie! Riguardo alla mancata presenza degli Africani al Congresso di Berlino, ricordo che anche i Cartaginesi non erano presenti quando fu deliberata dal senato la distruzione di Cartagine, nel 146 a.C., e che non erano presenti i Tedeschi a Versailles nel 1919 – furono invitati a firmare la pace – o a Parigi nel 1947!!! Per favore, ma che considerazioni sono?? Gli Europei hanno rubato? Certo, ma anche i Sioux, gli Inca e gli Aztechi hanno preso al terra a chi c’era prima di loro. Ma che ragionamenti fate?? Vogliamo risalire al Paleolitico inferiore?
Per finire, come non ricordare la corresponsabilità degli africani nella tratta dei negri, poi abolita dal congresso di Vienna, cioè dagli Europei, nel 1815, così come saranno sempre gli Europei ad abolire, nel corso del XIX secolo, la schiavitù nelle colonie (l’Inghilterra l’abolirà nel 1833). I negri erano forniti ai negrieri, in genere, da tribù compiacenti che li reclutavano tra nemici o debitori e criminali, in cambio di armi e chincaglieria. Per non parlare della condizione, precarissima, dei discendenti dei coloni europei rimasti in Africa e non espatriati, oggi privati di ogni ruolo politico serio – e se ne vedono le conseguenze – e continuamente fatti oggetto di omicidi o espropriazioni, come insegna il caso del Sudafrica o dell’ex Rhodesia del Sud. Riguardo poi all’Etiopia e all’AOI – per controbattere ad un osservatore – alla vigilia della sconfitta, nel 1941, e nonostante il breve dominio, erano state realizzati più di 4000 di strade – su un piano che prevedeva 10000 km – e grandi trasformazioni urbane coinvolsero i centri di Gonda, Dessié, Gimma, mentre Addis Abeba venne stravolta con la costruzione di edifici pubblici e impianti fognari, di illuminazione, di telefonia e acquedotti (strutture prima inesistenti..). Era previsto un investimento di circa 12 miliardi delle vecchie lire in AOI, nel corso di sei anni. Fu avviato, da parte dell’Opera Nazionale Combattenti, anche un imponente piano di bonifica e risistemazione idrica, purtroppo mai completato. Buona parte di tali conquiste civili, andarono puntualmente perdute negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale. Cari signori, una nuova storiografia coraggiosa, alla faccia del terzomondismo infantile, sta muovendo i suoi passi, fatevene una ragione….
Per finire, come non ricordare la corresponsabilità degli africani nella tratta dei negri, poi abolita dal congresso di Vienna, cioè dagli Europei, nel 1815, così come saranno sempre gli Europei ad abolire, nel corso del XIX secolo, la schiavitù nelle colonie (l’Inghilterra l’abolirà nel 1833). I negri erano forniti ai negrieri, in genere, da tribù compiacenti che li reclutavano tra nemici, debitori e criminali, in cambio di armi e chincaglieria. Come non ricordare la condizione, precarissima, dei discendenti dei coloni europei rimasti in Africa e non espatriati, oggi privati di ogni ruolo politico serio – e se ne vedono le conseguenze – e continuamente fatti oggetto di omicidi o espropriazioni, come insegna il caso del Sudafrica o dell’ex Rhodesia del Sud. Riguardo poi all’Etiopia e all’AOI – per controbattere ad un osservatore – alla vigilia della sconfitta, nel 1941, e nonostante il breve dominio, erano state realizzati più di 4000 km di strade – su un piano che ne prevedeva 10000 – e grandi trasformazioni urbane coinvolsero i centri di Gonda, Dessié, Gimma, mentre l’assetto urbano di Addis Abeba venne rivoluzionato dalla costruzione di edifici pubblici e impianti fognari, di illuminazione, di telefonia e acquedotti (strutture prima inesistenti..). Erano previsti investimenti di circa 12 miliardi delle vecchie lire in AOI, nel corso di sei anni. Fu avviato, da parte dell’Opera Nazionale Combattenti, anche un imponente piano di bonifica e risistemazione idrica, purtroppo mai completato. Buona parte di tali conquiste civili andarono perdute negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale. Cari signori, una nuova storiografia coraggiosa, alla faccia del terzomondismo infantile, sta muovendo i suoi passi, fatevene una ragione….
Li lasci perdere signor Indelli. Dialogare con questa gente è tempo perso. D’altronde sono (e siamo) cresciuti con una cultura liberalprogressista e umanitarista in cui l’uomo bianco è il cattivo per eccellenza e l’uomo negro la vittima e il buono per eccellenza. Un dogma che ha prevaso tutti gli spazi culturali, esattamente come i dogmi cristiani nei secoli precedenti.
Il suo articolo per me ha tutta la sua validità, riportando dei dati oggettivi e lei nemmeno nega gli errori compiuti dal coloniasmo europeo. Ma è tutto inutile, ormai i negri e i migranti sono le icone sacre del nostro tempo, guai solo a torcergli un cappello, scatta subito la rieducazione e delle carezze coercitive da dargli come dei bambini a cui è stata fatta la bua.
Il problema è che costoro non si rendono nemmeno conto (o forse sì) di calvalcare il risentimento dei loro beniamini colorati perchè quando si dice che i bianchi sono “ladri e distruttori” e loro “generosi” alla fine non si inculca nella loro psiche un desidero di vendetta e aizzando in loro un odio bestiale?
Fra 40 anni purtroppo sara così, vista la loro esorbitante e irresponsabile esplosione demografica, molti di loro avranno invasa la nostra Europa e niente mi toglie dalla testa che ci sia anche in loro un malcelato desiderio di rivalsa, vendetta e odio.
Se accorgeranno anche i bianchi liberali e progressisti, su quando sono “umani” i loro beniamini colorati, anche verso di loro. Perchè nonostante si considerino “cittadini del mondo” sono bianchi anche loro, e questo i negri lo sanno benissimo….
Saluti.
La ringrazio vivamente. Affermare verità lapalissiane è, oggi, diventato pericoloso….
Grazie.
Conosco molto poco della storia africana, non posso aderire o dissentire con cognizione di causa, ma il tono di questo articolo mi piace per la sua schiettezza