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Enoch Powell, l'idolo dei lavoratori inglesi che previde i danni dell’immigrazione

by La Redazione
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Roma, 13 apr – Enoch Powell (1912-1998) era un deputato conservatore e poi unionista, eletto nel collegio di Wolverhampton nelle West Midlands, vicino a Birmingham. Sin dalla rivoluzione industriale, 200 anni prima, questa era una zona di fabbriche e città operaie. Qui è nata la working class britannica. Proveniente appunto da una famiglia della classe popolare (padre insegnante elementare, nonno minatore di origine gallese) ma dotato di ambizione ed intelligenza non comuni, Enoch frequenta la Grammar School (equivalente del Liceo) perché è affascinato dalla cultura classica (pare che leggesse il greco già a cinque anni). A Cambridge – dove ricevette varie menzioni e premi – Powell approfondì gli studi di lingua e cultura greca e latina e arriverà a parlare ben 12 lingue (tra cui italiano, francese, tedesco, urdu, ebraico, russo, portoghese e gallese). Dopo la laurea divenne professore di greco all’Università di Sidney all’età di soli 25 anni, avvicinandosi al record di Nietzsche che aveva ottenuto la prima cattedra all’età di 24 anni.
Tornato in patria, si arruola volontario allo scoppio della seconda guerra mondiale. Da soldato semplice in breve tempo passerà ufficiale nei ranghi dell’intelligence. Dopo aver ottenuto un Obe (Order of British Empire) per meriti militari, concluse la guerra con il grado di Generale di Brigata. Il più giovane mai nominato nell’Esercito di sua Maestà. Durante la guerra, in seguito ai continui e frequenti contatti avuti con il personale americano, iniziò a sviluppare una personale avversione contro gli Usa e la loro politica: diceva che lo sviluppo della ex colonia britannica e il suo crescente ruolo di Paese leader nel mondo avrebbero provocato la fine dell’Impero, arrivando a definire gli stati Uniti come un pericolo più grande per il Regno Unito di Germania e Giappone.
Nel 1945 aderisce al Partito conservatore e nel 1950 viene eletto in Parlamento. Nel 1960 entra nel governo come responsabile del dicastero della sanità, nel 1965, con i conservatori all’opposizione, è ministro ombra per la Difesa. Durante tutti questi anni i brillanti discorsi di Powell e tutta la sua azione politica sono indirizzati alla causa della britishness, dell’identità britannica a suo avviso altamente minacciata sia dalla sempre meno determinante influenza di quello che rimaneva dell’Impero, sia dal cambiamento repentino della società, causato dalla reindustrializzazione (e dal conseguente arrivo di migliaia di immigrati soprattutto dalle ex colonie (West Indies, cioè Giamaica e dintorni, India e poi Pakistan in primis) e dall’economia sempre più improntata ad un liberismo incontrastato con relativo detrimento dei diritti e della qualità di vita della già nominata working class, della quale Powell era originario.
Il 20 aprile 1968, alla televisione ATV di Birmingham, Enoch Powell terrà il suo discorso più importante, denominato “Rivers of Blood” perché, nel denunciare con veemenza i pericoli dell’immigrazione di massa, fa un riferimento classico; parlando di un fosco futuro, se non si interviene drasticamente, dice: “As I look ahead, I am filled with foreboding. Like the Roman, I seem to see ‘the River Tiber foaming with much blood’ (“se guardo avanti sento forte un presentimento. Come i Romani, mi sembra di vedere il Tevere schiumante di tantissimo sangue”). Tutto prende origine dalla prima legge “anti discriminatoria” varata dal governo labour nello stesso anno: il Race Relation Act.  Powell la ritiene profondamente ingiusta e potenziale fonte di discriminazione verso i suoi concittadini. La ricetta di Powell? Stop immigrazione e rimpatrio. Per molti inglesi dell’epoca non era razzismo. Si trattava di giustizia sociale, di mantenere un minimo di qualità della vita faticosamente conquistata dopo le lotte sindacali e due guerre mondiali. Common sense, insomma.
Subito dopo il discorso, le reazioni furono tante e contrapposte: il Times definì il discorso un “evil speech”  ma il 23 aprile, quando il Race Relation Act era in discussione al Parlamento, migliaia di lavoratori del porto di Londra erano fuori da Westminster intonando cori pro Powell (“Enoch here, Enoch there, we want Enoch everywhere!”); gli operatori del famoso mercato delle carni di Smithfield consegnavano una petizione pro Powell e praticamente tutti i sindacati (unions) prendevano posizione per il deputato nazionalista.
Nelle elezioni del 1970 tutti gli analisti sono concordi nell’assegnare a Powell un ruolo determinante nella vittoria dei conservatori, accreditando 2-3 milioni di voti provenienti dalla classe lavoratrice, guadagnati proprio grazie alle posizioni del deputato di Wolverhampton. Ma i rapporti con il suo partito, o meglio con la sua dirigenza, erano in via di rapido peggioramento. Dopo una sua campagna contro l’adesione della Gran Bretagna alla Cee (Comunità economica europea) e visto che il suo partito invece era favorevole, a pochi giorni dalle elezioni del 1974 si dimette. Rifiuta un’offerta di candidarsi con il neo-costituito National Front e torna invece in Parlamento come deputato dell’Ulster Union Party (unionisti nord irlandesi fedeli alla Corona).
Ci sarebbe materiale per disquisire su questa figura-chiave della politica inglese per giorni: dalle sue posizioni sulla crisi nordirlandese all’avvento della Thatcher, alla guerra delle Falkland. O del fatto che ebbe la dubbia soddisfazione di vedere quanto il discorso “Rivers of Blood” fosse stato profetico: nei primi anni ’80 iniziarono le prime pesantissime rivolte razziali a Bristol, Birmingham e Londra (Brixton, Notting Hill). Chissà cosa direbbe oggi, vedendo lo stato delle grandi città e delle periferie non solo inglesi ma di tutta l’Europa occidentale. Ce lo possiamo immaginare bene. Enoch Powell è morto nel 1998. All’indomani del suo famoso discorso del 1968, un sondaggio rivelò che circa l’80% dei cittadini britannici era d’accordo con lui. Ancora oggi, per un numero crescente di inglesi sembra proprio che “Enoch was right” ancora. O forse anche di più.
Davide Olla

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