Sondrio, 12 ott – Il Credito Valtellinese (Creval) ha vissuto una settimana davvero difficile. L’istituto di credito lombardo è crollato in borsa: in poco meno di due giorni ha perso il 52%. Infatti, il valore delle azioni è passato da 2,92€ (chiusura lunedì 6 novembre), ai 1,91€ di mercoledì 8. Il valore delle azioni nei giorni successivi ha visto un rimbalzo, ma la situazione rimane critica. Cerchiamo di capire meglio ciò che è successo alla banca lombarda. Lunedì scorso, la notizia di un aumento di capitale di Creval, (necessario per aumentare la copertura dei non performing loans) ha provocato questo marasma. I conti della trimestrale in rosso hanno poi fatto crollare ancora di più il prezzo delle azioni. Il Credito Valtellinese archivia il gennaio-settembre 2017 con un rosso di 403 milioni di euro (sotto il peso di rettifiche per 386 milioni di euro) e dà il via libera al piano industriale al 2020 con un aumento di capitale fino ad un massimo di 700 milioni di euro. A garantire il rafforzamento, un accordo di pre-underwriting con Mediobanca ribattezzato Restart Under New-Normality, prevede la cessione di npl (non performing loans) per 1,6 miliardi lordi che sarà “de consolidato” attraverso una cartolarizzazione con garanzia pubblica (Gacs). Nel dettaglio il piano prevede il conseguimento di un utile di 150 milioni al 2020 con un ritorno sul capitale tangibile (rote) dell’8,2% e un rapporto tra costi e ricavi (cost/income) in riduzione al 57,5%. Creval intende, inoltre, ridurre i costi operativi per sessantatré milioni entro il 2019, con la chiusura di ottantotto filiali e 400 nuovi i da gestire attraverso il fondo di solidarietà della categoria. Detto in parole povere: chiederanno agli azionisti di mettere mano al portafogli e ai lavoratori di cercarsi un altro lavoro. Nonostante la situazione difficile, il management dell’istituto di credito è ottimista. Il presidente del Credito Valtellinese Miro Fiordi è convinto che “dopo le reazioni comprensibili dei primi giorni, anche grazie alle presentazioni one to one del nostro piano che faremo nelle prossime settimane, questa reazione potrà rientrare”. Le dichiarazioni di Fiordi a Radiocor sfiorano il patetico quando dice: “Abbiamo avviato la navigazione, uscendo dal porto abbiamo trovato delle onde molto alte, ma la navigazione è molto lunga”.
Se ci pensiamo bene, però, questo è un film già visto. La trama è sempre la stessa: una banca popolare entra in crisi, gli azionisti perdono i loro risparmi e i lavoratori rimangono a spasso. Poi arriva l’intervento pubblico che scarica sul contribuente il salvataggio dell’istituto. Quando poi i conti sono in ordine l’istituto di credito popolare viene risucchiato dall’idrovora della grande finanza. Anche se ovviamente speriamo di essere smentiti dai fatti un problema rimane: il Credito Valtellinese ha tradito la sua “funzione sociale”. Vediamo brevemente perché. Il Credito Valtellinese nasce a Sondrio il 12 luglio 1908 con il nome di Banca Piccolo Credito Valtellinese, su iniziativa di sessanta soci fondatori, possessori di 1489 azioni dal valore di 20 lire ognuna. Basta leggere lo Statuto di Credem per capire quali erano le intenzioni dei suoi primi azionisti. L’articolo 2.1, recita: “La Società ha per scopo la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito, tanto nei confronti dei propri Soci che dei non Soci, e si ispira ai principi della mutualità; essa si propone altresì di sostenere e promuovere lo sviluppo di tutte le attività produttive con particolare riguardo a quelle minori”. Per quasi ottanta anni le sue attività furono concentrate a Sondrio e dintorni. Poi a partire dai primi anni novanta il Credito Valtellinese si impegna a crescere oltre i propri confini: prima a Milano e poi in Sicilia, nelle Marche, e infine nel Lazio. In pochi anni diventò uno dei principali gruppi bancari italiani sbarcando in Borsa nel 1994. Nel 2016 grazie al governo Renzi diventa una società per azioni.
Oggi deve vedersela con i giganti della finanza ed è lecito il sospetto che farà la fine di un pesce rosso in una vasca di piranha. Per evitare questi rischi Donato Menichella, (governatore della Banca d’Italia d’orientamento liberale) pose particolare cura affinché alle grandi banche fosse inibito di aprire filiali nei piccoli centri. La raccolta del risparmio e l’erogazione del credito nei centri minori, infatti, era riservata ai piccoli istituti di credito locali. Ripartiamo, dunque, dall’insegnamento di Menichella per ricostruire il nostro sistema creditizio e fare in modo che esso sfugga alle logiche della finanza apolide.
Salvatore Recupero