Napoli, 8 lug – Sesta struttura (su 200) in Europa, fra i primi in Italia e leader in tutto il mezzogiorno. Stiamo parlando dell’Interporto Campano, la piattaforma logistica di Nola nata verso la fine degli anni ’70 e che nel tempo ha assunto – per l’economia regionale e non solo – una spiccata importanza strategica.
La crisi del settore non hanno risparmiato il gigante scalo dell’hinterland napoletano, che nonostante le difficoltà finanziarie ha mantenuto un dinamismo senza pari. Da Fiat Chrysler ad Alstom (lo stabilimento di manutenzione dei treni Italo si trova proprio qui), Interporto Campano ospita, nei suoi 3 milioni di mq di superficie, 175 aziende, che danno lavoro ad oltre 2500 addetti. Numeri da capogiro per una realtà del meridione la quale rischia però ora di cambiare bandiera, finendo ad oriente.
E chi vende? Ma le banche, ovviamente, che negli anni faticosi della crisi hanno raggranellato il 21% delle azioni della società, facendo cadere (ma non è il primo caso) quel diaframma che dovrebbe separare attività bancaria e attività d’impresa. Così non è stato e adesso i tre principali istituti che controllano le sorti di Interporto Campano – Mps, Intesa e Unicredit – intendono smobilitare. A chi? Ad oggi sul tavolo del consiglio di amministrazione non è pervenuta alcuna offerta concreta ma, stando a quanto risulta a Il Sole 24 Ore, vi sarebbero gruppi cinesi (e, in subordine, coreani) interessati all’acquisto. In dote si porterebbero un’infrastruttura fortemente integrata nell’intermodalità – l’alta velocità passa all’interno dello scalo, che è di fianco ad un’autostrada e a pochissima distanza da porto e aeroporto partenopei – e che è candidata a diventare Zes, zona economica speciale con agevolazioni fiscali per lo sviluppo. Un boccone prelibato per i potenziali acquirenti, che se davvero dovessero essere cinesi potranno anche contare sul nuovo convoglio ferroviario diretto Nola-Shanghai che partirà dall’autunno. Una vera e propria testa di ponte – e di rango istituzionale.
Filippo Burla
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