Roma, 14 dic – E’ sparito dai social, non appare più in tv, non rilascia dichiarazioni, ma sotto sotto, Luigi Di Maio, spera ancora di ricevere un prestigioso incarico istituzionale. E incredibile ma vero, il Qatargate potrebbe favorire la sua nomina a inviato speciale Ue nei Paesi del Golfo. Come è possibile? Cosa c’entra lo scandalo che sta travolgendo sinistra e Ong con l’ex ministro degli Esteri italiano? Per comprenderlo bene, andiamo con ordine.
L’indicazione dei tecnici Ue e le critiche
Bocciato sonoramente dagli elettori italiani, Di Maio a fine novembre è stato indicato dal panel di tecnici dell’Unione europea come inviato speciale europeo nel Golfo Persico. Selezionato così per un prestigioso incarico, nonostante la sua manifesta inadeguatezza, talmente palese da essere evidenziata dagli stessi Paesi che dovrebbero ospitarlo.
Il 24 novembre, il quotidiano The National, il giornale più importante in lingua inglese degli Emirati Arabi Uniti, ha pubblicato un articolo dove si criticava fortemente l’annunciata indicazione Ue. Malumori emersi però anche su altri prestigiosi quotidiani europei. “Mandare Di Maio nel Golfo dimostra che l’Ue non è seria”, ha scritto Le Monde, menzionando le parole di Cinzia Bianco, esperta del Golfo, al Consiglio europeo sulle Relazioni estere. Una dichiarazione, quella della Bianco, puntualmente ripresa su Twitter dal capo del Centro di ricerca sulle politiche pubbliche di Dubai, Mohammed Baharoon: “La nomina di Luigi Di Maio deve avere un profondo senso dell’umorismo europeo che mi sfugge”, ha cinguettato.
Perché il Qatargate può favorire la nomina di Di Maio
La nomina di Luigi Di Maio, nonostante l’indicazione del panel di tecnici Ue, non è però ancora ufficiale. Il semaforo verde deve infatti arrivare dall’Alto rappresentante per la politica estera della Ue, Josep Borrell. Dopo le critiche e le perplessità giunte anche dal Golfo, Borrell nelle ultime settimane sembrava avesse optato per assegnare l’incarico di inviato europeo a Dimitris Avramopoulos, ex ministro degli Esteri greco. Adesso però il nome di Avramopoulos è bruciato. Perché l’ex ministro greco sedeva nel board della Fight Impunity – l’Ong di Antonio Panzeri, in manette per tangenti – dalla quale è stato costretto a dimettersi. Di conseguenza a questo punto Di Maio rientra in gioco e potrebbe di nuovo essere il favorito per la nomina. Sembra infatti che l’unico suo sfidante papabile sia l’ex inviato dell’Onu in Libia, Jan Kubis, seconda scelta del panel dei tecnici europei. In ogni caso, come precisato sopra, l’ultima parola – che dovrebbe arrivare a gennaio – spetta a Borrell.
Eugenio Palazzini
1 commento
Gli yes-man son quelli che costano meno e riciclabili alla grande. Li ho sempre visti passare da un sistema all’ altro, a volte pure concorrenti, senza alcun problema. Gli altri sono considerati dei possibili rompicoglioni perché emergono, contestano le criticità, escono dai binari tracciati da lor signori a massima redditività senza intoppi e senza scrupoli.