Miami, 12 apr – La diplomazia è l’arte del possibile e risponde alle esigenze strettamente contingenti, quindi cambia a seconda del mutare delle situazioni che si vengono a creare nel corso della storia, e questi cambiamenti possono essere anche molto repentini: dopo la conferenza di Monaco del 1938 il mondo sembrava avviato verso una lunga e duratura pace, invece così non è stato. Venerdì 7 e sabato 8 i due presidenti di Cina e Usa si sono incontrati in un resort della Florida per discutere del futuro delle relazioni tra i due Paesi. Difficile dire chi ne sia uscito vincitore, e onestamente bisognerebbe uscire da quest’ottica quando si tratta di diplomazia tra Washington e Pechino, quello che però si può dire è che tra i due giganti è stato raggiunto un largo protocollo di intesa per i mesi, e forse gli anni a venire.
L’accordo commerciale
Come abbiamo già accennato, Cina e Usa si sono accordate per avviare cento giorni di consultazioni per risolvere gli squilibri nei rapporti commerciali tra i due Paesi e per gestire correttamente le frizioni economiche, in modo da aiutare a dissipare le preoccupazioni del mercato circa una guerra commerciale, ma anche iniettare energia positiva nell’economia globale. Sostanzialmente la necessità degli Stati Uniti è quella di ridurre il deficit verso la Cina, aumentare l’export e creare nuovi posti di lavoro, e la Cina ha tutto l’interesse a venire incontro a queste problematiche americane, sebbene non sacrificando i propri interessi sull’altare dei rapporti commerciali: le politiche del China Dream e del Make America Great Again sono due facce della stessa aspirazione e i due leader hanno capito che, per il momento, non possono essere raggiunte attraverso la via del confronto, ma serve un accordo. Accordo che, in ultima analisi, c’è stato e questo ha già cambiato le sorti, quantomeno alcune, delle situazioni di crisi internazionali che vedono i due Paesi confrontarsi.
Taiwan
Il Presidente Xi Jinping non offre nessuna altra soluzione che non sia quella del “One China” già sostenuta dalla presidenza Obama. Quindi agli Stati Uniti viene richiesto di desistere da ogni vendita significativa di armamenti a Taiwan e soprattutto di non fare alcun tipo di progresso diplomatico che riguardi eventuali “riconoscimenti” al governo di Taipei. Certamente la questione non è stata per nulla marginale nel contesto geopolitico dell’Estremo Oriente e riteniamo che Trump abbia ceduto sulla vendita di armamenti in cambio di nuove sanzioni verso la Corea del Nord.
Corea del Nord
L’alleato (spesso scomodo) per eccellenza di Pechino ha rappresentato il nodo chiave dei colloqui tra Trump e Xi Jinping. Sul piatto delle bilancia c’è il programma nordcoreano di armamento atomico e missilistico che preoccupa non solo Washington, ma i suoi alleati dell’area (Giappone e Corea del Sud). Trump ha fatto pressione su Xi, ed in questo l’attacco alla Siria ha certamente dimostrato l’inversione di tendenza alla Casa Bianca rispetto ai temporeggiamenti di Obama, riuscendo ad ottenere un embargo sul carbone di Pyongyang divenuto immediatamente esecutivo, oltre che a portare ad un accordo, ratificato lunedì 10, tra Seoul e Pechino per stabilire nuove sanzioni congiunte verso la Corea del Nord. Sull’altro piatto della bilancia, però, Pechino ha messo il sistema ABM Thaad (Terminal High Altitude Area Defense) che al momento è schierato in Corea del Sud e Giappone. Riteniamo che prima di smobilitare questo sistema d’arma, che gli alleati di Washington ritengono essenziale per la propria difesa stante il programma missilistico nordcoreano, la Cina debba fornire garanzie delle proprie pressioni su Pyongyang affinché cessi di implementare lo sviluppo dei sistemi d’arma a medio e lungo raggio oltre che cessare i test nucleari, e l’avvicinarsi dell’anniversario della nascita del presidente fondatore (il 15 aprile) sarà la cartina tornasole per stabilire l’efficacia dell’azione diplomatica di Pechino verso il suo alleato: infatti, secondo indiscrezioni dei Servizi Segreti, sarebbe previsto un nuovo test atomico in concomitanza della festa nazionale della Corea del Nord. Sostanzialmente quindi, al di là della decisione congiunta di aumentare la pressione internazionale su Pyongyang, non si è raggiunto alcun obiettivo di carattere strettamente militare, nessuna de-escalation, come detto anche dal Segretario di Stato Tillerson.
Mar Cinese Meridionale
Come dicevamo in apertura, Cina e Usa si sono trovati d’accordo quasi su tutto, e questa delicata tematica di scontro tra le due potenze sembra essere rimasta fondamentalmente irrisolta: secondo le prime indiscrezioni poco è stato infatti detto sulla questione. Alcuni analisti ritengono che, visto il precedente accordo tra Obama e Xi di un anno fa che ridusse la tensione praticamente nell’arco di 24 ore, sia possibile che tra i due leader si possa giungere ad un nuovo compromesso che replichi quella particolare intesa, sempre che siano disposti a venirsi incontro come sembrano essere. Guardando però ai fatti, nelle isole artificiali costruite dalla Cina nel Mar Cinese Meridionale, oltre alla presenza di armamento antiaereo e antimissile, sono stati recentemente avvistati dei caccia parcheggiati in bella vista nelle piazzole dell’aeroporto appena terminato: i satelliti hanno infatti ripreso un J-11, denominazione della produzione cinese su licenza del Sukhoi Su-27, in data 29 marzo; certamente non una novità in senso assoluto, ma la prima segnalazione della presenza di caccia di quest’anno, e quindi della presidenza Trump.
Per concludere la trattazione riteniamo che in Florida si siano gettate le basi per un possibile futuro di intesa tra i due Paesi, come anche detto dagli stessi presidenti, con particolare attenzione alle questioni economiche e commerciali ma dando spazio anche alle questioni militari: da Mar a Lago infatti è uscito anche un protocollo di intesa riguardo la creazione di un meccanismo di dialogo diretto per minimizzare la possibilità di un confronto militare; una sorta di “linea rossa” tra Pechino e Washington. Il Presidente Xi Jinping ha infatti detto che entrambe le parti presto metteranno in pratica la nuova politica di dialogo anche tra gli Stati Maggiori delle due potenze, occorre infatti “Migliorare l’esistente meccanismo di notifica sulle azioni militari e i codici di comunicazione riguardanti gli incontri inaspettati tra le rispettive forze navali e aeree” come ha riferito in un secondo momento.
Qualche analista, sulla scorta di queste osservazioni, potrebbe essere tentato di individuare un vincitore ed un vinto tra i due contendenti, in realtà Usa e Cina hanno dimostrato che, nonostante i diversi fattori di crisi internazionale, sebbene non del tutto risolti o praticamente ignorati, esiste la volontà di lavorare insieme per ottenere vantaggi economici e commerciali bilaterali. Volontà che rappresenta un fattore di stabilizzazione dello status quo dell’area estremo orientale, ma per meglio dire di normalizzazione ritornando ad uno status quo ante Obama e la sua politica di disimpegno, e quindi a maggiori problemi per la nostra piccola e debole Europa, che già fatica ad affrontare la concorrenza di Pechino e Washington separate. Resta comunque da vedere, data l’imprevedibilità del fattore umano, sino a quando Cina e Usa saranno disposte a continuare a moderare le reciproche rivendicazioni di “sfere di influenza” sull’altare degli scambi economici: per ora lo spettro di un conflitto, non solo commerciale, sembra rimandato.
Paolo Mauri