Roma, 10 set – Correvano gli ultimi anni novanta quando Bersani, sull’onda delle famose “lenzuolate”, disponeva ex lege la fine del monopolio di Enel sulla produzione e distribuzione dell’energia elettrica. Da lì in poi, sul mercato cosiddetto libero si sono affacciate una miriade di realtà le quali, in una situazione di sostanziale oligopolio, hanno potuto beneficiare di prezzi costantemente in crescita. Non proprio quella che si auspicava essere l’autoregolamentazione che doveva sorgere della concorrenza.
Fra queste, un caso particolare è probabilmente quello di Sorgenia. Nata nel 1999, con i suoi 3200 MW di potenza installata e più di 1500 metri cubi di gas trattati, serve attualmente quasi mezzo milione di clienti. Nonostante le cifre di tutto rispetto, Sorgenia, parte del gruppo Cir di Carlo De Benedetti, è diventata nel tempo una macchina da debiti: quasi 2 miliardi l’esposizione verso un gruppo 19 banche che, al fine di evitare le sofferenze su questa massa, diventeranno, al fine di una complessa operazione di conversione dei debiti in capitale, le principali azioniste della società. A fare da capofila saranno Mps e Unicredit.
La questione potrebbe essere così risolta. Non fosse dopo, dopo sollecitazione da parte De Benedetti ad un Renzi appena insediatosi, si è concretizzato anche l’aiutino pubblico. Più o meno in corrispondenza dell’incontro semisegreto dell’ingegnere con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano del Rio, il governo ha, ad inizio estate, infatti approvato un decreto che, a regime, mette sul piatto tra i 600 e i 700 milioni l’anno. Tra i 120 e i 150 milioni di euro spetterebbero a Sorgenia. Questo in virtù del capacity payment, un incentivo alla capacità installata ed in grado di fronteggiare picchi di domanda. Il capacity payment fu architettato –ma mai applicato- nel 2003 dal ministro Antonio Marzano, al fine di incentivare l’installazione di megawatt pronti al rapido uso. Correva l’anno del black out che lasciò l’Italia al buio, correvano gli anni della domanda superiore all’offerta. Ad oggi, anno 2014 la situazione è invertita: l’Italia sta soffrendo una sovracapacità produttiva dovuta ad una serie di fattori (tra cui l’ipertrofica incentivazione di eolico e fotovoltaico), per cui non si spiega quale possa essere la ratio dietro alla riesumazione di un decreto vecchio di dieci anni che nulla ha da spartire con l’assetto attuale.
E’ vero che De Benedetti, attraverso la Cir, uscirà da Sorgenia. E’ altrettanto vero che degli incentivi sulla capacità installata godranno anche gli altri produttori. E’ però, infine, vero anche che le banche subentrati all’ingegnere torinese non manterranno a lungo l’investimento. Obiettivo è infatti tentare di assestare i conti di Sorgenia, per poi procedere alla vendita. Ebbene, qualora la cessione si concretizzasse, dedotta una remunerazione pari al 10% del capitale investito dagli istituti di credito, a De Benedetti spetterebbe una quota del 10% sulla plusvalenza ottenuta.
Centocinquanta milioni l’anno per garantire una sicura buonuscita alle due parti in causa. Una liberalizzazione non è mai stata così cara.
Filippo Burla