Questo articolo, che analizza alcuni romanzi distopici sull’invasione degli immigrati, è stato pubblicato sul Primato Nazionale di febbraio 2018.

Nell’epoca delle fake news sarà un romanzo a dirci la verità su ciò che ci attende? C’è un genere di romanzi che si definisce distopico e che invece di descrivere società perfette (come le utopie) ci parla di catastrofi incombenti e di uomini tra le rovine. I nostri anni sono una pacchia per i narratori distopici: istituzioni secolari in rovina, barbari alle porte, curiose «mutazioni» di sesso e carattere, traditori interni e torve matriarche. Lo spunto più immaginifico può sorgere dalle pagine di cronaca.

L’ultimo uomo bianco

In verità autori particolarmente ispirati già nei primi decenni del Novecento avvertirono scricchiolii sinistri e indicarono le brecce che si stavano aprendo nel nostro limes di civiltà: per primo venne Howard (il papà di Conan) con il suo fulminante racconto L’ultimo uomo bianco. «C’era stato un tempo in cui la sua razza dominava il mondo», esordisce Howard presentando la figura di un uomo sopravvissuto e braccato: l’uomo bianco. I primi segni del suo declino si manifestarono nello sport dove gli atleti neri, con sempre maggiore frequenza, mietevano premi, ma fu soprattutto a causa del clima di benessere e di infiacchimento delle società occidentali che ci si avviò verso la decadenza: i bianchi dimenticarono lo stile militare e si dedicarono a una vita di piaceri mentre i popoli dell’Africa crescevano a un ritmo demografico esplosivo. Ogni 40 anni un raddoppio.

Illustrazione di Conan il barbaro

I bianchi avevano insegnato agli africani l’igiene: l’antibiotico, il vaccino, la profilassi, avevano fatto da balie ad una popolazione che da millenni era abituata ad alti tassi di riproduzione per sfuggire alla morte. Inoltre la tecnologia occidentale metteva a disposizione armi di distruzione da loro mai concepite prima. In questo scenario Howard inserisce l’Islam: «Solo un condottiero mancava: un meticcio arabo. Egli riunì i neri in grandi masse, diede loro armi, fornite da americani ed europei che avrebbero venduto anche le loro sorelle». Howard prevede dunque la saldatura tra il mondo ideologico islamico e la brulicante demografia africana. «Al primo assalto Spagna, Portogallo, Italia e Balcani furono sopraffatti». In America, dove la metà della popolazione era composta da uomini di colore, scoppia la rivolta. La guerra razziale si trasforma in caccia agli ultimi bianchi superstiti, i quali, stretti in una morsa, riacquistano troppo tardi le primordiali virtù guerriere.

Robert Howard,
il creatore di Conan,
è stato il primo
a scrivere un racconto
sullo scontro tra razze

Ma lo stesso mondo di colore che ha trionfato con la forza è preda di convulsioni. Il capo arabo che aveva guidato la rivolta viene assassinato, la tecnologia collassa. Alla fine si torna a combattere con le frecce e proprio colpito da un dardo, come in una scena di lotta preistorica, perisce l’ultimo bianco.

Il Campo dei Santi

Se L’ultimo uomo bianco (del 1922) è il primo racconto distopico che in poche pagine descrive uno scontro tra razze, Il Campo dei Santi di Raspail (del 1973) è un romanzo ben più articolato e soprattutto inquietante per le sue premonizioni. In India – narra Raspail – un santone raccoglie una immensa massa di indigenti e addita loro il miraggio della conquista del benessere europeo. I «dannati della Terra» si impossessano di una flotta di navi e, circumnavigando l’Africa, si dirigono verso la costa francese. Mano a mano che i profughi si avvicinano, politici e intellettuali vengono colti da un’ansia di palingenesi. I migranti sono visti come l’«avanguardia di un nuovo stile di vita», gli autoctoni vengono esortati ad espiare la colpa coloniale prodigandosi in una accoglienza senza limiti. A Roma vi è anche un Papa che incoraggia alla mistica fusione di razze e religioni. Raspail lo immagina sudamericano…

Lo scrittore francese Jean Respail

Ma, dopo lo sbarco, il sogno diventa incubo. I profughi dilagano. L’ideale di una pacifica integrazione lascia il posto a stupri e saccheggi. Tra gli autoctoni serpeggia una consapevolezza: le élite hanno ingannato il popolo consegnandolo a una feroce occupazione. Ma il potere non accetta che ci si possa ribellare al piano ideologico: alcuni abitanti della Costa Azzurra, che tentano di opporsi agli sbarchi, vengono bombardati dall’aviazione della République.

Mentre Howard descrive un’«invasione muscolare» da parte delle genti di colore, Raspail tratteggia una destabilizzazione che parte dall’interno, sostanzialmente un’autodistruzione. La polarità tra il «modello Howard» (scontro muscolare tra razze) e il «modello Raspail» (l’accoglienza utopistica che distrugge la società) curiosamente si ripete nei due più recenti romanzi francesi che sfidano il tabù della Santa Immigrazione: Submission di Houellebecq (2015) e Guerriglia di Obertone (2017).

Houellebecq e Obertone

Houellebecq fissa al 2022 la vittoria di un candidato «islamico moderato» contro la Le Pen alle elezioni presidenziali francesi. Mohamedd Ben Abbes, «francese dello ius soli», si afferma grazie alla convergenza di tutti i partiti «antifascisti» e impone una «Sharia moderata». Gli intellettuali e la borghesia si adeguano al nuovo corso. C’è il professore che si converte all’islam per fare carriera e sposare una o più studentesse dopo la legalizzazione della poligamia. C’è il nuovo rettore della Sorbona, poi divenuto ministro degli Esteri, Robert Rediger, che paragona la sottomissione all’islam a una deliziosa sottomissione erotica, come quella descritta nel romanzo sadomasochista Histoire d’O. Dopo aver vinto facile contro questa genìa di francesi, il presidente islamico progetta la creazione di una nuova Unione Europea a maggioranza islamica, con l’adesione delle ex colonie francesi del Maghreb.

Michel Houllebecq e il suo romanzo Sottomissione

Se in Sottomissione prevalgono i giochi strategici dell’islamico moderato, in Guerriglia la tensione esplode: un poliziotto, accerchiato da una gang, fa fuoco e uccide un «nuovo francese». A quel punto la banlieue si incendia e la rivolta dilaga. E mentre il terrorismo si alza come un’onda oceanica dal vasto mare dell’immigrazione, le reti dell’energia elettrica e idrica si interrompono. Le città sono preda di atti di violenza cieca, saccheggi e incendi inarrestabili. Tutto questo avviene «in soli tre giorni», racconta l’autore che si cela, in prudente anonimato, dietro lo pseudonimo di Obertone. Chi vince alla fine? Nessun contendente, ma solo il caos in una ex nazione sbriciolata in tante tribù ostili.

Nella nuova opera
del vaticanista Valli
sono descritti i futuri
effetti catastrofici
del pontificato
di papa Bergoglio

Il successo di questi romanzi distopici, che mettono in dubbio il culto della Santa Immigrazione, non può far piacere a chi segue i mantra del politically correct. È probabile che a un certo punto il mondo editoriale più conformista abbia prodotto un antidoto, lanciando sul mercato un romanzo distopico più addomesticato. È quanto accade forse con American War, pubblicato nel Canada di Trudeau dall’intellettuale di origine egiziana Omar el Akkad.

Akkad immagina una nuova guerra civile in Usa dove i cattivi sono immancabilmente gli Stati del Sud che, dopo il divieto dei combustibili fossili da parte del buon governo di Washington, fanno secessione e si danno al terrorismo in un’America sconvolta dai «cambiamenti climatici». Alla fine, dopo pazienti trattative, si arriva a una riunificazione ma, nella cerimonia che dovrebbe celebrare gli Stati ri-Uniti, ecco che l’incorreggibile sudista diffonde un virus mortale che fa 110 milioni di morti!

L’invasione secondo Valli

Più anticonformista, invece, l’ultimo romanzo distopico pubblicato alla fine del 2017 proprio in Italia dal vaticanista «dissidente» Aldo Maria Valli che, in Come la chiesa finì, profetizza gli effetti catastrofici del pontificato di Bergoglio: dopo il pittoresco papa argentino, si succedono una serie di papi invariabilmente denominati «Francesco»… sino ad arrivare a Francesco XVII, il colombiano Gustavo Guzmán. Nella sua enciclica Sic et simpliciter, Francesco XVII scandice come dogma di fede che «Dio non castiga nessuno. Nessuno va all’inferno, perché Dio perdona tutti. I dogmi mutano a seconda delle umane esigenze». E ancora: «Non ci dobbiamo mai difendere dal nemico o dall’oppressore con l’uso della forza: meglio lasciare che ci renda suoi schiavi. Non esiste un uso giusto della forza. Dio non può volere l’uso della forza. Difendersi dall’aggressore è peccato, violenza e ingiustizia», e così via. Il guaio del romanzo fanta-ecclesiastico di Valli è che di romanzesco ha ben poco. Tutto è stato detto – e peggio ancora – dal balcone di San Pietro nelle domeniche scorse.

Alfonso Piscitelli

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