Roma, 29 ott – Per capire l’evoluzione della politica studentesca nell’ultimo decennio e più in generale della partecipazione giovanile in Italia, non si può prescindere da una data fondamentale: il 29 ottobre del 2008, giorno degli “scontri di piazza Navona”. A fronteggiarsi furono da una parte una quarantina di militanti del Blocco Studentesco (espressione di CasaPound in scuole e università), dall’altra alcune centinaia di esponenti di collettivi universitari, centri sociali e partiti di estrema sinistra, determinati a “cacciare i fascisti dal movimento”. Per comprendere le ragioni che condussero allo scontro è necessario inquadrare storicamente il contesto. Quella dell’autunno del 2008 fu probabilmente l’ultima protesta studentesca di una certa consistenza: il cosiddetto movimento dell'”Onda Anomala“, nato in contrasto alla Riforma Gelmini e alla legge finanziaria 133 (che prevedeva tagli all’istruzione e privatizzazioni delle università), per buona parte dell’autunno catalizzò l’attenzione di media, politica e opinione pubblica.
Alla tradizionale mobilitazione di “sinistra” composta da sindacati, collettivi e partiti (particolarmente “galvanizzati” dal ritorno al governo di Berlusconi), si aggiunse un elemento di novità: gli studenti di “destra”. L'”unità generazionale” andò in scena soprattutto a Roma e in particolar modo tra gli studenti delle superiori, dove a partire dalla metà dell’ottobre 2008 iniziarono le mobilitazioni organizzate dai rappresentanti dei collettivi di sinistra insieme a quelli del Blocco Studentesco. Nella capitale per almeno due settimane due tipi di proteste viaggiarono in “parallelo”: da una parte i “grandi”, universitari, sindacati etc confinati dentro i solidi confini della pregiudiziale antifascista, dall’altra gli studenti delle superiori impegnati in cortei spontanei al grido di “né rossi né neri ma liberi pensieri”. Il 27 ottobre un corteo composto da alcune decine di migliaia di studenti partì da piazza Esedra per raggiungere il Senato. Proprio il superamento delle differenze politiche tra il Blocco Studentesco e gli studenti di sinistra rappresentò in qualche modo la “notizia”: mediaticamente anche tra i progressisti la cosa “piaceva” (Crozza dedicò anche la sua copertina a Ballarò alla presenza di studenti di “destra”).
In realtà non molti sanno che alcuni militanti dei collettivi universitari antifascisti intervennero già quel giorno, nel tentativo (fallito) di realizzare su via Cavour un primo “cordone” per isolare lo spezzone di corteo del Blocco Studentesco. Il giorno successivo (28 ottobre) le proteste si concentrarono sotto al Senato, dove l’allora portavoce nazionale dei Cobas, Piero Bernocchi, tentò insieme ad altri attivisti di bloccare i cortei capeggiati dai “fascisti”. Tentativo anche questo fallito, tanto che una delegazione mista studenti di sinistra-Blocco Studentesco fu ricevuta a palazzo Madama. Al termine della giornata di proteste iniziarono a circolare le prime voci sulla volontà da parte dell’estrema sinistra di rompere con la violenza il fronte generazionale trasversale.
Il giorno successivo (29 ottobre) i cortei unitari “destra-sinistra” raggiunsero insieme piazza Navona, dove però ad attenderli c’era già una prima “delegazione” composta da alcuni studenti dei collettivi antifascisti di Scienze Politiche e Fisica della Sapienza. Questo ulteriore tentativo di bloccare fisicamente il Blocco Studentesco non andò a buon fine, nel confronto fisico che ne nacque gli antifascisti ebbero la peggio. Ma soprattuto dopo un primo momento di smarrimento gli studenti si ricompattarono e ripartirono i cori “né rossi né neri ma liberi pensieri” e “siamo tutti quanti studenti”. Da qui l’extrema ratio della sinistra antagonista di optare per l’aggressione fisica contro i “fascisti” e rompere l’unità generazionale. Centinaia di antifascisti, tra cui esponenti dei collettivi universitari, centri sociali, sindacati e del servizio d’ordine di Rifondazione Comunista, armati di caschi e oggetti contundenti furono fatti entrare dalla polizia in piazza Navona. Una volta attraversata tutta la piazza, con l’unico scopo di raggiungere i militanti del Blocco Studentesco, ormai isolati in prossimità di piazza delle Cinque Lune, partì la carica della sinistra antagonista.
Un’aggressione in piena regola, derubricata a “scontri” solo per la volontà dei militanti del Blocco di non abbandonare la piazza, nonostante il gruppo fosse composto principalmente da liceali (un’età media intorno ai 18 anni anche tra gli indagati), al contrario degli aggressori, dove la maggior parte viaggiava nella fascia tra i trenta e i quarant’anni. Gli studenti di sinistra delle superiori furono riportati all’ovile dell’antifascismo militante dai più grandi, mentre la protesta andò sostanzialmente affievolendosi (quel giorno fu approvato il decreto).
Ci sono varie analisi che si possono fare dei fatti e delle conseguenze. Particolarmente interessante è quella mediatica, trovandoci in un’epoca di mezzo (2008) tra il vecchio modo di intendere i media e la rivoluzione digitale. Le prime notizie che uscirono furono delle autentiche fake news lanciate soprattutto da Repubblica (in questo c’è un elemento di continuità) che narravano di “quaranta fascisti adulti, rasati e armati di mazze, esterni alla manifestazione, intenti a picchiare studenti inermi”. Grazie ad un video pubblicato su Youtube il giorno stesso, in cui si vedeva chiaramente la carica degli antifascisti, si riuscì un minimo a ribattere, fermo restando che in un’epoca pre social (niente Facebook, no smartphone etc) la diffusione fu limitata. La stampa mainstream non lesinò le tesi complottistiche sui “fascisti infiltrati” nella protesta e sul “metodo Cossiga”. Ma anche la parte “ufficiale” dell’internet non fu immune dalla diffusione di bufale, con il blog di Beppe Grillo che accusò Alberto Palladino, attuale dirigente nazionale di CasaPound, di essere un infiltrato della polizia. Anche qui la risposta fu affidata a YouTube. Per tentare di affermare la verità fu redatto un dossier, realizzato un documentario diffuso con 20 mila dvd. Oggi con una diretta Facebook tutto sarebbe stato infinitamente più semplice.
Altro elemento interessante è il dato socio culturale. La cesura netta che ci fu tra gli antifascisti “adulti” e quelli delle superiori già “post ideologici”. Questi ultimi, nati nei primi anni ’90, non avevano avuto modo di respirare l’antiberlusconismo delle origini, di partecipare al G8 di Genova, di vivere quel movimento no global che fu piuttosto attivo fino al 2004 almeno. La “giusta causa” veniva prima delle appartenenze o delle etichette, una dinamica potenzialmente antipolitica che abbiamo imparato a conoscere nell’ultimo decennio. Diverso ovviamente lo spirito con cui il Blocco Studentesco affrontò la collaborazione trasversale, dove il pragmatismo fu prevalente per un movimento che conduceva un’opera di riconquista all’interno delle scuole superiori in quegli anni, proprio andando a colmare in parte quel vuoto lasciato dalla sinistra. Sul piano politico giovanile la sinistra accusò il colpo e negli anni successivi ha preferito tenere le maglie più strette, anche a fronte di una minore partecipazione. Diversi gruppi hanno provato ad emulare il Blocco Studentesco, puntando su una natura più “identitaria”, una comunicazione forte, maggiore coesione e un legame ostentato con il passato (comunista).
Sul piano della partecipazione politica per la sinistra il 2008 rappresentava già il colpo di coda di un mondo in grave crisi almeno da quattro-cinque anni (quelle furono le prime elezioni in cui rimasero fuori dal Parlamento), così come per “l’espressione di conflittualità” lo sono stati gli scontri del 14 dicembre 2010 e del 15 ottobre 2011. Da allora l’avanzare del grillismo, l’incapacità di dare risposte alla crisi economica e a quella migratoria, ha sostanzialmente portato ad una sparizione della sinistra antagonista, ridotta a condividere il fronte pro accoglienza insieme ai preti e ai Soros della situazione. Dall’altra parte, nel campo “identitario” se così vogliamo definirlo, c’è stata invece la capacità di inaugurare un percorso di crescita e di consenso popolare, pur mantenendo saldo il legame con le origini storico culturale. Grazie anche a strumenti come questo quotidiano, che nasce proprio dall’esperienza maturata in contesti come quello di piazza Navona. Dove è stato ancora più palese che “nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario”.
Davide Di Stefano
A dieci anni dagli scontri di piazza Navona. Come andò (e cosa è rimasto)
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2 comments
Centinaia di antifascisti furono fatti entrare in piazza Navona.E’ la dimostrazione che il potere ci vuole divisi ed uno contro l’altro e quindi incoraggia gli estremismi e le divisioni secondo il vecchio motto “dividi et impera”.L
[…] a che vedere con Stalingrado, più prosaicamente si trattò di un’aggressione subita a Roma dai militanti del Blocco Studentesco. La storia, che tende a scostarsi dalla storiografia marxista come Sheldon Cooper dai […]