Damasco, 3 set – L’imminente battaglia di Idlib, che dopo più di sette anni porrà fine alla guerra civile siriana, potrebbe assumere proporzioni colossali, senza precedenti non solo nello stesso conflitto, ma anche in tutte le battaglie che in questo secolo si sono combattute nel medio-oriente. Per rendere l’idea, nel corso della battaglia di Aleppo di due anni fa il Governo – che era impegnato contemporaneamente su una mezza dozzina di fronti – avrebbe schierato fra i 20 e i 30.000 effettivi. Per Idlib, saranno più di centomila, che dovranno avere la meglio su diverse decine di migliaia di miliziani islamisti, oltre che sui rimasugli del Free Syrian Army (FSA). E sul numero dei ribelli asserragliati nel governatorato di Idlib si gioca una importante partita a livello propagandistico, con diverse fonti che parlano di circa 80.000 uomini, pronti a tutto, visto che dovranno scegliere fra la sconfitta e la resa. In altre battaglie, il Governo, per risparmiare le vite dei civili, aveva offerto alle milizie ribelli la possibilità di un salvacondotto proprio per la provincia di Idlib. Naturalmente questa opzione non esiste più. L’aspetto propagandistico riguarda il fatto che, mentre per Damasco i difensori di Idlib sono in sostanza tutti terroristi, la diplomazia internazionale ha iniziato a fare dei distinguo, sottolineando che solo 10.000 sarebbero i miliziani di Hayat Tahrir al Sham, l’organizzazione che di fatto è la filiale siriana di Al Qaeda, mentre gli altri 70.000 farebbero parte della cosiddetta “opposizione moderata”.
E’ stato lo stesso inviato delle Nazioni Unite per la Siria, l’italo-svedese Staffan De Mistura, a fare questa distinzione, sottolineando che, mentre è pieno diritto dell’esercito siriano eliminare gli uomini di Al Qaeda, dando di fatto l’avallo dell’ONU all’operazione militare governativa, bisogna capire come comportarsi nei confronti degli altri. Questi numeri, tuttavia, non sono credibili, visto che quelli che secondo tale impostazione sarebbero i 70.000 ribelli moderati sono in realtà miliziani di altre formazioni integraliste. Lo conferma qualunque stima fatta nel corso di questi anni: mai il FSA si è anche solo avvicinato ad avere una simile forza, e si è dimostrato talmente inefficiente, dal punto di vista militare, che se davvero ci fossero 70.000 uomini del FSA a difendere Idlib, la battaglia si risolverebbe in poche ore. Pertanto, salvo poche unità, la stragrande maggioranza di quelli che combattono a Idlib sono “soldati” di vari gruppi estremisti, (Ahrar al Sham e Jaysh al Islam, per citare due fra i più consistenti, entrambi di orientamento salafita e considerati molto vicini all’Arabia Saudita), che si sono talvolta coalizzati, ma che rimangono divisi fra loro per alcune sfumature di natura politico-religiosa e soprattutto per l’avidità nella spartizione del ricco bottino accumulato, anche grazie alle generosissime elargizioni delle monarchie sunnite del Golfo. Anche il numero dei loro effettivi in realtà dovrebbe essere ben inferiore a quanto indicato da De Mistura, visto che se disponessero di forze così ingenti non sarebbero stati costretti a cedere a Tahrir al Sham il controllo di circa il 60% del territorio provinciale. Il totale delle forze che si oppongono ad Assad dovrebbe quindi aggirarsi attorno ai 50.000 uomini, ma aumentarne il numero risponde a una ben precisa strategia mediatica. Se infatti fossero davvero 80.000, sembrerebbero molto più forti, rendendo così più credibile l’utilizzo di armi chimiche da parte del Governo, nel momento in cui una nuova montatura venisse messa in atto, sulla falsariga di quanto accaduto a Khan Shaykhoun e, più recentemente, a Duma, nel Ghouta Orientale.
Allo stesso modo, c’è un altro numero che va discusso, e in questo caso la storpiatura propagandistica è ancora più evidente. A seconda delle fonti, nella provincia ribelle ci sarebbero da due a quattro milioni di civili. Siccome prima della guerra il governatorato contava non più di un milione e mezzo di abitanti, e la Turchia ha dichiarato di ospitare tre milioni di profughi siriani, che per banali motivi geografici possono essere fuggiti solo dai governatorati di Aleppo e – appunto – Idlib, per quale strano scherzo della demografia la popolazione di quest’ultima provincia potrebbe mai essere aumentata, al punto di raddoppiare, se si considera il valore intermedio delle stime sulla popolazione civile presente?
Inoltre, dato che in tutta la provincia solo due città (il capoluogo Idlib e Maarrat al Numan) superano i 50.000 abitanti, dove mai dovrebbero vivere tre milioni di civili? Senza considerare che, se le cifre fossero corrette, il Governatorato avrebbe una densità di popolazione nettamente superiore a Lombardia e Campania, le due regioni italiane più densamente popolate, e più che doppia rispetto a quella del Veneto. Poco credibile, ma molto utile per lanciare, quando la battaglia sarà iniziata, i consueti appelli per i “milioni di civili intrappolati”, con la speranza di rallentare o addirittura di fermare l’ipotizzabile avanzata delle truppe governative. Ci hanno provato nel 2016 con i 300.000 civili di Aleppo est, e quest’anno con il mezzo milione di civili del Ghouta Orientale. Visti i risultati, ci riprovano, sparando cifre ancora più grosse. C’è poco da illudersi, peraltro, e anche ridimensionando il numero dei civili già si sa che a migliaia perderanno la vita nelle prossime settimane. Ma moltiplicarne il numero per fini di propaganda non li aiuterà. Anche perché non risulta che quei civili vivano entusiasticamente nella regione di Idlib, condividendo i valori delle milizie jihadiste. Sono trapelate, nelle scorse settimane, notizie relative a centinaia di arresti di persone che avevano espresso idee di riconciliazione con Assad, segno che il fronte interno scricchiola parecchio, e anche un video diffuso nella giornata di sabato, che mostrerebbe i civili di Maarrat al Numan che protestano contro Assad e Putin, ha fatto vedere non più di trecento persone, quasi tutti giovani uomini. Considerando una popolazione cittadina di circa 60-70.000 abitanti, non proprio una manifestazione oceanica.
Ad ogni modo, stando ad alcune fonti vicine al Governo, lo Stato Maggiore siriano starebbe preparando un’offensiva a tappe, in modo da ridurre le perdite civili, e i Russi stanno già lavorando all’apertura di diversi corridori umanitari. Questo andrebbe incontro alle richieste della Turchia, che tramite una dichiarazione del ministro degli esteri ha chiesto ad Assad di evitare un attacco indiscriminato, e l’accento posto sull’aggettivo “indiscriminato” sarebbe, nel linguaggio diplomatico, un modo per dare luce verde all’offensiva, ma chiedendo di procedere in maniera graduale. Cosa che a Damasco va benissimo, visto che i reparti d’elite, capaci di ottenere risultati veloci, sono relativamente pochi, e questa strategia permetterebbe di muoverli di volta in volta da una parte all’altra dello scacchiere per affondare i vari colpi, mentre al resto dell’esercito spetterebbe il duplice ruolo di preparare gli assalti e di contenere eventuali controffensive. Il tutto lasciando ai Russi il compito di coprire le spalle ai combattenti, in caso di provocazioni – come i presunti attacchi chimici – che potrebbero spingere l’Occidente a intervenire, mettendo in discussione l’esito della battaglia, e dell’intera guerra. Anche perché non è solo la Russia, a dire che queste provocazioni potrebbero avere luogo, ma le stesse Nazioni Unite, visto che in una delle sue più recenti dichiarazioni è stato proprio De Mistura a dire apertamente che i ribelli hanno la piena capacità di organizzare degli attacchi con armi chimiche. Ma se tutto andrà come deve andare, entro la fine dell’anno in Siria si potrà finalmente iniziare a parlare di pace.
Mattia Pase
Siria, tutte le bufale preventive sulla battaglia di Idlib
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