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Gli inglesi giocano a calcio a Santo Stefano? E chi se ne frega!

by Lorenzo Cafarchio
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boxing dayLondra, 29 dic – Noi non siamo gli inglesi. Giubilano gli inviati da Londra, snocciolando dati, gongolano vedendo gli stadi stracolmi, esultano ammirando goal dall’alba al tramonto di Santo Stefano. Ma noi non siamo gli inglesi. Come ogni anno arriva il 26 dicembre e giunge la “lieta” novella sul Boxing Day come xanax del calcio tricolore. Il Boxing Day è un’usanza dei paesi del Commonwealth basata sul porgere doni alle fasce più povere della società, un’usanza tipicamente anglosassone di lavaggio delle coscienze. Così nel Regno Unito in sole 24 ore si fagocitano decine di partite, centinaia di maglie sudate e le solite polemiche che rodono l’anima dei virgulti hooligans british.

Mentre il Leicester veniva fermato da Benteke, l’Arsenal ritornava al suo ruolo, quando va bene, di eterno secondo e il Manchester City, in stile Juventus, torna a vedere la corona di campione, in Italia la serie B di Andrea Abodi ha sperimentato il suo personalissimo Boxing Day. Registrando un +10%, 166.795 spettatori, di pubblico accorso allo stadio per vedere i 21 turni – 20 causa il rinvio per nebbia di Perugia-Vicenza – dell’ultima giornata d’andata della serie cadetta. Non male, ma noi non siamo gli inglesi. Partiamo dagli orari: 12:45 – 17:30 – 19:45, rispettivamente Stoke City-Manchester United, Newcastle-Everton e Southampton-Arsenal. Il pubblico inglese, abituato a ben altri ritmi rispetto ai nostri, e quello mondiale hanno potuto godere del meglio che i fantamiliardi mettono in campo e che la drammaticità all’ombra della Corona Reale offre. Su tutti il melodramma di Louis Van Gaal, sfatatore del mito “chi più spende, meno spende”.

Nel nostro paese alle 12:30 – quando solitamente si gioca il calcio spezzatino – il fruitore di pallone è impegnato con polenta e osei, non votato con lo sguardo su Sky oppure Mediaset Premium e nemmeno con la sciarpa al collo sui gradoni. Questo per capire che la Premier League si adegua alle abitudini dei suoi spettatori, prima di tutto sugli spalti, mentre da noi spaghetto alle vongole per le 20:45 con Higuain lanciato a rete. Serve costituire punti di riferimento da somministrare al pubblico. In una nazione dove il 46% – fonte Calcio&Finanza – dei biglietti rimangono invenduti al botteghino, virtuosa la Vecchia Signora al 90% di vendite, la soluzione e nemmeno parziale rilancio passa dalle sfide di Santo Stefano.

Per contro è usanza che il 6 gennaio – Befana Day – le compagini della nostra penisola si sfidino, ma in questi termini non esiste una programmazione da parte della Lega Calcio, si è rimasti fermi agli anni ’90 quando a capofitto ci si è gettati, in forma plebiscitaria, sulla totale concessioni alle reti a pagamento della domenica di calcio giocato. Dando alle società soldi e brillantezza nell’immediato, ma rimanendo impantanati nella querelle dei diritti televisivi a distanza di lustri. In Italia si paga lo scotto in termini di pubblico, sia sui campi che davanti al televisore, vivendo alla giornata frutto di un passato glorioso, ma ormai lontano anni luce da un tetro presente. E a poco serve seguire le pretese di Erick Thohir, presidente dell’Inter, che vuole più partite a mezzogiorno per vendere in Asia quando sotto il Colosseo il piatto piange. Programmazione e appetito, come Juventus-Napoli finale di Supercoppa Italiana disputata il 22 dicembre 2014 a Doha, rispettando le tradizioni dei tifosi che a Natale mangiano frutta secca, brindano con lo spumante pasteggiando pandoro.

Lorenzo Cafarchio

 

 

 

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