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Femminicidio ovvero la discriminazione per legge

by Tony Fabrizio
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Roma, 28 lug -Tutti insieme appassionatamente. 161 sì su 161 presenti e il Senato approva il disegno di legge sul femminicidio come reato autonomo che adesso tornerà alla Camera per l’approvazione definitiva. Un capolavoro dell’abominio del Diritto e pure senza nessuna gattara con le unghie fluo e le scarpe rosse a strapparsi i rasta per lo stupro della Costituzione. Quella Costituzione più bella del mondo che già all’articolo 3 parla di discriminazione in base al sesso. A dirla tutta parla anche di razze, ma…

Il femminicidio diventa reato autonomo

Dunque, il governo di destra, quello fattosi eleggere con il refrain del blocco navale diffuso a pieni polmoni e che è finito per legalizzare mezzo milione di clandestini, può flaggare come realizzato un altro punto dell’agenda dettata dai “nemici” del lato sinistro dell’emiciclo e vantarsi per loro e con loro per avere approvato la legge sul femmincidio.

Al di là dello stupro della lingua italiana con buona pace del Vate neologista, per nome e per conto di quell’Italia culla del Diritto per il mondo intero e oggi sempre più irrimediabilmente sua tomba che ha partorito la bandiera di quella fonte primaria del diritto che sancisce che l’uomo e la donna sono uguali difronte alla legge, per dimostrare di aver fatto bene i compiti a loro assegnati, qualora il femminicidio quale legge non fosse ancora abbastanza, fa addirittura di più: estende il reato anche a chi si sente donna ma non lo è geneticamente né anagraficamente.

Laddove non sono riusciti i progressisti con la nenia urbi et orbi del woke, è riuscito il governo destrissimo che inasprisce le pene anche con le aggravanti per maltrattamenti, lesioni e stalking, stanzia dieci milioni di euro a favore degli orfani di femminicidio e aiuti anche i figli di donne che non sono morte – dunque non si può parlare di femminicidio – ma che non sono più autosufficienti. Per i detentori dell’agenda rossa di governo, però, non è ancora abbastanza e mai lo sarà, visto che dicono che serve più prevenzione, più educazione affettiva e un vero cambiamento culturale perché la repressione non può essere l’unica risposta.

Perché, dunque, ragionare sul senso di responsabilità? Giammai! Eppure, dall’analisi dei casi di cronaca connessi, emerge che un uomo non ammazza una donna in quanto donna, ma ammazza una donna che non è voluta diventare o non è più voluta essere la sua donna. Il sesso della vittima e quello dell’aggressore, sono una questione secondaria. E allora la domanda è d’obbligo: in ottemperanza alla recente norma approvata, se una donna che si identifica in un uomo ammazza un’altra donna, si parlerà ugualmente di femminicidio? Sarà punita con l’ergastolo in quanto uomo oppure con una pena minore in quanto donna? E se, com’è stato rilevato, il 20% delle violenze e quasi la metà degli omicidi commessi a danno delle donne è avvenuta per mano di stranieri che ormai sfiorano di essere il 10% della popolazione locale, si potrà affermare che il colpevole è tale in quanto uomo? È l’extracomunitario in quanto uomo? È l’extracomunitario in quanto extracomunitario?

Una legge inutile e discriminatoria nei confronti dell’uomo

Il governo del merito, in attesa di recepire qualche altra genialata rigorosamente concepita altrove e partorita dai progressisti radical-chic che abitano nelle zone ZTL con le strisce pedonali color arcobaleno, poi dettata a suon di accuse, sentenze e offese per non essere come loro e che, nonostante gli immani sforzi profusi, non lo saranno mai, ha di fatto approvato una legge discriminatoria nei confronti dell’uomo. Che onorevolmente plaude. È doveroso chiedersi allora se sia lecito quanto sono stati capaci di fare. È lecito e logico combattere una discriminazione discriminando a propria volta? Perché, se l’omicidio di una donna viene punito con l’ergastolo e quello dell’uomo no, ne consegue che la vita della donna vale di più di quella dell’uomo. Se finora il mantra di tutti i movimenti femministi è arrossano tutto ciò che trovano, dalle scarpe alle panchine, la risposta della destra istituzionale sarà quello secondo cui la vita della donna conta di più di quella dell’uomo?

Sarebbe saggio allora ripartire dai dati del Viminale, da quelli che dicono che non tutti i casi di morte di una donna per mano di un uomo possono etichettarsi come femminicidio e magari confidare nella Corte Costituzionale per una riforma perché si ritorni a giudicare in base a prove, condotte e responsabilità personali e non per categorie, spesso simboliche, e presunzioni sociologiche che porterà anche punti nel network politico e ancora più in quello elettorale, ma è un vero capolavoro del vituperio del Diritto e delle iniziative veramente utili, oltre a creare un pericoloso precedente. Non prima, però, che qualcuno ci abbia rimesso le pe(n)ne e in attesa che all’uomo devirilizzato, depotenziato e rieducato dopo il bodyshamng (ma non nei confronti della Meloni), il cat-calling (ma non vale per Bella ciao) il manspreaging e ogni altro genere di violenza, venga mossa causa perché non corteggia più la donna.

Tony Fabrizio

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