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Il calcio, una questione di fede e dipendenza

by Roberto Johnny Bresso
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A Gabriele

Roma, 15 nov – “Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster” diceva Henry Hill, il personaggio interpretato da Ray Liotta, all’inizio del capolavoro di Martin Scorsese Quei bravi ragazzi. “Che io mi ricordi, ho sempre parlato di calcio” ribatterebbe chi scrive in maniera ironica, ma nemmeno troppo. Si rifletteva che, durante le quotidiane telefonate con mio padre ed il mio miglior amico, si discorre sì di tutto, ma l’argomento calcistico in qualche modo alla fine ricorre sempre.

L’onnipresenza del pallone

E lo stesso facciamo da qualche anno su queste pagine: ogni tanto mi viene regolarmente da fare il punto sulla situazione del movimento pallonaro italiano ed internazionale. Perché fin da bambini l’argomento calcio in tutte le sue forme ha sempre fatto parte delle nostre esistenze: giocarlo con gli amici, guardarlo in tv o allo stadio, far parte del movimento ultras ed ora, magari, tornare ad osservarlo in maniera più distaccata. Distaccata, si fa per dire…

Poi sarebbero arrivate mille altre passioni. La musica, la letteratura, il cinema, le donne, le sottoculture, il wrestling, il golf, la birra etc. etc., ma il calcio è sempre rimasto al suo posto e sospettiamo che rimarrà lì finché avremo ospitalità in questo mondo.

L’omicidio di Gabriele Sandri

E, vuoi perché alla fine questo stile di vita porta a conoscere un certo tipo di persone, ci continua a dare spunti di riflessione. Per quanto mi riguarda un certo tipo di vivere lo stadio un po’ per tutti noi è finito l’11 novembre 2007, il giorno dell’omicidio di Gabriele Sandri ad opera dell’agente di polizia Luigi Spaccarotella. Sono passati diciotto anni, ma sono ancora vivi i ricordi personali di quell’assurda giornata allo stadio, dove si sarebbe dovuta svolgere Atalanta-Milan. Le due tifoserie, pagandone le conseguenze, fecero ciò che andava fatto.

Perché dite ciò che volete dei tifosi e degli ultras, ma troppo spesso questi ultimi sono stati usati come carne da macello. O come esperimenti di controllo sociale, tra il pubblico giubilo di sinistra, destra, mass media ed opinione pubblica. Sempre chi vi scrive, ricorda il giorno del funerale a Roma, quando anche il cielo piangeva copiose lacrime per non dimenticare. E, invece, ovviamente non c’è stata alcuna giustizia né per Gabriele né per chiunque calcasse quei gradoni.

Calcio, fede e dipendenza

Gli ultras hanno fatto i loro non pochi errori. Ma ricordiamo che stiamo parlando del più grande movimento di aggregazione italiano degli ultimi decenni. E, soprattutto, bisognerebbe ricordare che vige la responsabilità individuale nel codice penale: essa però non sembra valere per i tifosi. In Italia potremmo trovare un comitato che difenderà il tuo diritto di sentirti una carriola, ma non qualcuno che dica bah sul fatto che un tifoso del calcio debba essere trattato come un cittadino godente di diritti civili compiuti.

Ed ecco così che si vietano sempre più spesso trasferte a migliaia di persone assolutamente innocenti, che vengono trattate come un gregge stupido da punire collettivamente, come non si fa più nemmeno alle scuole elementari. E tutto ciò è dovuto essenzialmente a due fattori: fede e dipendenza.

La mannania della repressione

Perché il calcio non è uno spettacolo come gli altri ed il tifoso è un fedele, come del resto spiega magnificamente lo scrittore inglese trapiantato in Italia Tim Parks nel suo libro Questa pazza fede. Ma il tifoso è anche una persona affetta da dipendenza: può subire qualsiasi angheria, ma lo Stato è consapevole che, esattamente come succede con l’eroina, se chiudi i rubinetti per un po’, quando li riaprirai vedrai carovane di zombie accorrere alla fonte più famelici che mai, non importa quanto tu male li abbia vessati fino a pochi istanti prima.

Certo lo Stato dovrebbe sapere che se tratti persone come bestie, è assai facile pensare che si comporteranno prima o poi come tali, ma, in quel caso, scatta la mannaia della repressione, quindi tutto sommato è un rischio che può permettersi di correre.

Evoluzione del calcio o reality show?

Ma, attenzione, la gallina dalle uova d’oro non fa più uova d’oro da un bel pezzo! E, soprattutto, le giovani generazioni, avendo a disposizione molteplici possibilità di svago, sono sempre meno propense a farsi contagiare da questa nostra fede/dipendenza. Lo aveva capito tempo fa Maurizio Mosca, che giocava sì a fare il clown, ma aveva una mente in realtà assai arguta ed aveva ben compreso che certe cose andavano svecchiate per resistere agli urti del tempo. Infatti dal 2022 abbiamo assistito alla nascita, su iniziativa dell’ex calciatore del Barcellona Gerald Piqué, della Kings League, tentativo di far appassionare la Generazione Z al calcio, trasformandolo in una sorta di gioco di ruolo/reality show.

E noi, che siamo curiosi per natura, abbiamo pure provato a guardarla questa Kings League. Naturalmente è una pagliacciata, ma è anche un qualcosa di veloce ed accattivante che, esattamente come una soap opera, ti inchioda alla tv. E se fa questo effetto su chi ormai giovane non lo è più, immaginiamoci su di un ragazzino. Detto questo, come al solito, non ho abbiamo risposte, anzi sempre nuove domande. Ma del resto per il calcio abbiamo una fede alimentata da una dipendenza, quindi cosa pretendete da noi?

Roberto Johnny Bresso

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