Roma, 30 dic – Cosa spinge un uomo probabilmente al culmine della carriera istituzionale, diretta conseguenza delle soddisfazioni politiche e dell’impegno militante, a girare un videomessaggio da pubblicare sui propri canali social in un giorno di festa in cui il luogo di lavoro è chiuso per le festività natalizie, proprio sotto l’albero ancora contorniato di regali? Il Natale è passato da un giorno… è l’incipit del video di Ignazio Maria Benito La Russa ed era passato un giorno anche quando un gruppo di militi – Arturo Michelini, Pino Romualdi, Giorgio Almirante e Biagio Pace – si riunì nello studio del padre di Michelini, Renato, avvocato liberale che durante il Fascismo combatté la guerra civile spagnola arrivando a conseguire la carica di Vicefederale di Roma, per costituire formalmente ufficialmente il Movimento Sociale Italiano e nominare la prima giunta esecutiva.
Dubitiamo successe quasi a mezzanotte, così come il video del Presidente del Senato con cui ricorda il settantanovesimo anniversario della nascita del Movimento. Quasi per il rotto della cuffia, all’ultimo minuto. Proprio come una delle cose dimenticate e che si rimedia all’ultimo. Quasi come un regalo riciclato.
Lo strepito della sinistra
Non vuole essere una polemica simil Giuli-Veneziani anche perché pare ci abbiano già pensato i soliti noti: Anpi, Avs e Pd e, come loro solito, non ci hanno capito nulla nemmeno stavolta. Il disagio è presto servito tra l’Anpi che per bocca del suo Presidente si scandalizza perché la seconda carica dello Stato sia un erede dei “massacratori repubblichini”: ma non è offensivo pure il termine repubblichino?
Oppure lo è di più il fatto che uno che è nato a guerra finita, quasi quando per i fascisti “della prima ora” cessava il divieto costituzionale di partecipare alla vita politica italiana – farebbe meglio a farsi spiegare la XII disposizione transitoria e finale il compagno Zaratti – rappresenti quei partigiani oggi tutti morti? È un vero lascia o raddoppia per il dem Fornaro che fa lo spiegone della “vera” storia (riscritta?) della fondazione dell’Msi, accusa La Russa di assumere “postura orgogliosamente nostalgica” verso la fiamma e un “cordone ombelicale col fascismo repubblichino di cui non c’è nulla da andare orgogliosi”, secondo la sua sopponente levatura morale. Discutibile.
Amore e coraggio non sono soggetti a processo
Non fa eccezione il post-scriptum del giorno dopo del capo di Palazzo Madama che suona quasi come una spiegazione al suo post di commemorazione. “Tutti” si legge “mi hanno confermato la loro voluta ignoranza sulla storia del dopoguerra […]”. Ebbene, proprio da parte di chi conosce con esattezza la storia, persino quella della “parte sbagliata”, è corretto definire quel “gruppo di uomini” come degli “sconfitti dalla storia, sconfitti dalla guerra, sconfitti dalla loro militanza che era stata per l’Italia in guerra”?
I combattenti della RSI furono certamente sconfitti in armi e per questo furono i soli a guadagnarsi stima e apprezzamenti dal nemico, ma senza dubbio non possono dirsi sconfitti dalla storia. Loro non si arresero e combatterono fino a essere sconfitti sul campo, fino anche a morire per un giuramento, per l’Italia: Franco Aschieri 18 anni, Mauro Bertoli, suo coetaneo, Alfredo Calligaro di 25 anni, Luigi Cancellieri di 19, Marino Cantelli di 21, Domenico Donnini di 25, Enrico Menicocci di 20, Italo Palesse di 22, Paolo Anni di 20, Virgilio Scarpellini di 19, Giulio Sebastianelli di 28, Mario Tapoli Timperi di 18, Vincenzo Tedesco di 19.
Il loro amore per l’Italia e il loro coraggio non sono stati soggetti a processo. Il loro nome ancora è scolpito nelle pareti di tufo del Sacrario dell’Armata Silente in provincia di Caserta. Lì sono ancora visibili i fori dei proiettili sparati dal plotone d’esecuzione dei liberatori.
I combattenti della RSI
Mentre i nuovi padroni d’Italia facevano fuoco, gli “sconfitti dalla storia” gridavano “Viva l’Europa, Viva il Fascismo!”. Prima di morire scrivevano alla propria madre dicendosi felici perché il plotone d’esecuzione era la morte più bella, quella riservato a chi non ha tradito. Gli uomini della RSI morivano con la certezza che altri italiani, degni di loro, avrebbero raccolto il loro testimone, la loro fiaccola e avrebbero fatto in modo che quella fiamma bruciasse per sempre. Un estremo atto di fiducia, un incommensurabile gesto di disperato amore.
Se il popolo italiano ha conservato un minimo di dignità lo deve a gruppi di uomini come questo. Altrimenti saremmo stati catalogati tutti come dei voltagabbana, traditori o avremmo instaurato una dittatura combattendo quella già esistente. Insomma, una figura non meno decorosa di quella di far diventare terra di nessuno e ridurla oggi a terra di tutti in cerca solo di un nuovo padrone.
Gente che non si è mai arresa
Se oggi quella parte politica che dice di derivare da “questi gruppi di sconfitti” siede su cadreghe ovattate, persino quelle più alte dell’emiciclo democratico repubblicano lo deve anche e soprattutto a gente che non si è mai arresa. Gente che è ancora viva e presente. Fiaccole mai spente che ancora illuminano il nostro percorso.
Non serve, allora, indorare la pillola con il “non rinnegare, non restaurare” da una parte e con un’Italia che marcia verso il futuro” dall’altra. Questo centrismo neutrale, questa botta al cerchio e uno alla botte, questo unico piede in due scarpe sa molto di 8 settembre, ovvero quando morì la Patria. Quando ognuno andò per sé e Dio per tutti, ma solo per chi crede e per chi non crede… sa di un popolo in fuga da sé stesso. Finto come proprio come l’8 settembre, giorno dell’armistizio che fu una resa incondizionata firmata il giorno 3 che culminò nel 29 settembre, giornata dell’armistizio lungo che finì il 13 ottobre quando dichiarò guerra all’ex alleato tedesco.
Forse, il politichese e il politicamente corretto iniziò allora. Quando la Nazione fu definita Paese e tutti iniziarono a sentirsi spaesati. Quando per sconfiggere una visione del mondo ci volle un mondo intero. E ancora non ce l’hanno fatta perché quella gente “sconfitta dalla storia” è ancora presente grazie a chi non ha mai smesso di onorarla e di sentirla presente.
Tony Fabrizio