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La storia di Almerigo Grilz al Parlamento europeo e i poliziotti della memoria

by Sergio Filacchioni
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Almerigo Grilz

Roma, 19 dic – L’articolo pubblicato da Domani il 17 dicembre non è una ricostruzione storica né una critica culturale: è un atto di sorveglianza ideologica. Il bersaglio dichiarato è una mostra dedicata ad Almerigo Grilz al Parlamento europeo, ma l’obiettivo reale è più ampio e più profondo: riaffermare un monopolio morale sulla memoria, stabilire chi può essere ricordato e chi deve restare per sempre confinato nella colpa originaria. Non è la storia che interessa, è il controllo del racconto.

Domani si scatena contro la figura di Almerigo Grilz

La mostra su Grilz viene presentata come una provocazione neofascista, una sorta di cavallo di Troia introdotto nelle istituzioni europee. È una forzatura consapevole. L’esposizione non assolve un’ideologia, non riscrive gli anni Settanta, non cancella conflitti e contraddizioni. Racconta una biografia professionale, quella di un reporter di guerra morto sul campo nel 1987, in un’epoca in cui il giornalismo di frontiera non era addomesticato, né protetto, né integrato nei circuiti mediatici occidentali. La tecnica è sempre la stessa. Si prende un dato reale — la militanza giovanile di Grilz nella destra radicale — e lo si usa come marchio indelebile, come se ogni fase successiva della vita dovesse esserne automaticamente invalidata. Come se quel mondo non avesse partorito, al pari di altri, intelligenze, professionalità e successi parallelamente alle passioni politiche giovanili. È la logica della damnatio memoriae applicata selettivamente, quella per cui alcuni percorsi sono eternamente luminosi e altri eternamente colpevoli, a prescindere da ciò che hanno prodotto.

Il lato sbagliato della storia

C’è però un elemento che nell’articolo di Domani resta accuratamente eluso, come se nominarlo fosse imbarazzante: di che cosa, esattamente, viene accusato Almerigo Grilz? Qual è il delitto che giustificherebbe questo tribunale retroattivo della memoria, questa requisitoria morale costruita a distanza di quasi quarant’anni dalla sua morte? La risposta, a leggerla senza infingimenti, è disarmante nella sua semplicità: Grilz è colpevole di essere stato anticomunista (o sarebbe meglio dire non-comunista) e di aver raccontato le guerre di decolonizzazione dal lato sbagliato della storia, senza mai rinnegare la sua identità politica. Tutto il resto — la militanza giovanile, le informative, le citazioni giudiziarie, il Libano, il Mozambico — non è che materiale accessorio, funzionale a sostenere un’imputazione che non può essere detta apertamente perché smonterebbe la pretesa “superiorità morale” di chi scrive. Non esiste una condanna, non esiste un crimine storico che giustifichi la sua rimozione dallo spazio pubblico. Il suo vero peccato è aver rifiutato l’ortodossia terzomondista e progressista, aver guardato i conflitti del mondo non con gli occhi dell’Occidente liberal o della sinistra internazionalista, ma con uno sguardo radicalmente politico, schierato, identitario.

Il reato di punto di vista

Quando Domani insiste ossessivamente sul Mozambico e sulla Renamo, non sta facendo informazione storica. Sta riaffermando un dogma: che esistano guerre “giuste” e guerre “sbagliate” non in base alla realtà dei fatti, ma alla collocazione ideologica dei contendenti. Grilz diventa così colpevole non per ciò che avrebbe fatto, ma per dove ha guardato e con chi. Per aver raccontato una guerra civile africana senza assumere automaticamente il punto di vista del socialismo postcoloniale, per aver mostrato che la decolonizzazione non è stata un’epopea morale, ma spesso una lunga scia di violenza, fallimenti e regimi autoritari. È qui che l’articolo di Domani tradisce la propria natura. Non contesta un metodo giornalistico, non smonta un’inchiesta, non discute la qualità di un lavoro. Processa una posizione. E lo fa con categorie morali applicate retroattivamente, come se negli anni Ottanta fosse già obbligatorio adottare il lessico no border, i frame delle ONG e la retorica umanitaria che oggi viene spacciata per verità universale.

La storia è un panorama complesso

Il problema quindi non è tanto Grilz, ma il fatto che qualcuno osi sottrarre alla sinistra il monopolio del racconto storico. Le foibe, Ramelli, Cossetto: tasselli diversi di una stessa frattura. Non perché siano sovrapponibili, ma perché incrinano un sistema in cui alcune memorie sono obbligatorie e altre proibite. Alla fine, il processo postumo a Grilz è il processo di chi rifiuta l’idea che la storia sia un panorama complesso, vario, conflittuale. Oggi Almerigo Grilz viene celebrato soprattutto per ciò che ha fatto: andare dove altri non andavano, raccontare conflitti che non interessavano alle redazioni, pagare con la vita una scelta di campo professionale. E Domani dovrà accettare il fatto che le sue idee, oggi, possano trovare il giusto spazio nella memoria pubblica italiana ed europea senza il suo permesso.

Sergio Filacchioni

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