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Apocalypse Now, un viaggio nel cuore di tenebra

by Roberto Johnny Bresso
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“Mi piace l’odore del napalm di mattina”.

Roma, 8 nov – Ci sono opere che partono da lontano, da una storia, per poi prendere vita propria ed andare altrove. Pur restando assolutamente fedeli al messaggio iniziale. Oggi vi parleremo del filo rosso che lega Cuore di tenebra ad Apocalypse Now. Ovvero due rami dello stesso albero destinati a restare nella storia della letteratura e del cinema.

L’abisso delle menti

Tutto parte con lo scrittore polacco naturalizzato britannico Joseph Conrad. Grazie alla sua esperienza maturata nella marina francese prima e in quella britannica poi, volle scrivere racconti che parlassero del mondo intero, rappresentato dai vari imperi, ma che poi confluissero nelle esperienze dei singoli uomini. E, soprattutto, degli abissi delle loro menti.

Nel 1899 Conrad diede alle stampe Cuore di tenebra (Heart of Darkness), nel quale il narratore Charles Marlow racconta ad un gruppo di amici di quando, molti anni prima, aveva compiuto un viaggio nell’Africa nera, addentrandosi con una piccola imbarcazione lungo il fiume Congo. Lì viene ingaggiato dalla locale compagnia di commercianti con il compito di arrestare il misterioso e famigerato Kurz, un uomo bianco che ha accumulato ingenti ricchezze di avorio e che viene divinizzato dai locali indigeni. Arrivato a destinazione si accorge che Kurz è autore di misfatti atroci e che la sua mente è ormai regredita ad uno stato quasi animalesco, come recita il suo proverbiale mantra “L’orrore! L’orrore!”.

Da Conrad a Coppola

Il testo venne accolto immediatamente con grande entusiasmo. Fino a che, tanto per cambiare, venne accusato di razzismo, in quanto si mostrava indulgente con il colonialismo, mentre l’uomo bianco sarebbe corrotto dalla natura stessa dell’Africa. A pochi mesi dalla conclusione della sanguinosa guerra del Vietnam, nel 1975 il regista Francis Ford Coppola decise di tentare l’impresa di adattarne il testo. Spostando però l’ambientazione proprio nel sud-est asiatico al culmine del conflitto nel 1969. La storia racconta del capitano Benjamin L. Willard (Martin Sheen) che viene incaricato dalla CIA di compiere una missione non ufficiale. Vale a dire discendere il fiume Nung fino alla Cambogia, per eliminare il colonnello Walter E. Kurtz (Marlon Brando), ex ufficiale dei Berretti Verdi che da tempo si è ammutinato e, con una milizia privata di autoctoni, conduce una sua guerra personale ormai totalmente fuori controllo.

Apocalypse Now

La produzione e la realizzazione della pellicola sono diventate leggendarie quanto il film. Si girò infatti nelle Filippine in un clima assolutamente invivibile e senza che nemmeno fosse stata completata la sceneggiatura. Inoltre Martin Sheen era quasi sempre ubriaco. Tanto che la scena iniziale nella quale, una volta reclutato, lo si deve far tornare lucido per la missione, non è stata affatto una finzione. Oltre a ciò Marlon Brando era terribilmente in sovrappeso e non conosceva nemmeno le battute, ma era Brando e, proprio il suo essere così unico, rese Kurtz così malefico, inquietante e, soprattutto, perfettamente credibile.

Le riprese, che dovevano durare sei settimane, si protrassero per un anno e mezzo. Portando così allo scoramento di tutta la troupe, che iniziò a compensare l’ansia con l’abbondante uso di droghe. Nonostante questo viaggio all’inferno nel cuore e nell’anima (che può essere esso stesso un altro adattamento dell’iniziale storia), il film, della durata di 154 minuti, vide finalmente la luce nel 1979. Ebbe un grandissimo successo di critica e pubblico, che è andato crescendo negli anni a mano a mano che venivano alla luce i dettagli della travagliata lavorazione. Nel 2001 venne distribuito Apocalypse Now Redux, della durata di 203 minuti. Nel 2019 Apocalypse Now Final Cut, lungo 183 minuti, considerata dal regista la versione definitiva e perfetta.

Le scene memorabili

Per chi non l’avesse visto, senza voler spoilerare troppo, possiamo dire che sono talmente tante le scene memorabili che, per apprezzare al meglio l’opera, si richiedono almeno due o tre visioni. Ma, se proprio devo dobbiamo nominarne alcune, diremmo la celebre scena degli elicotteri sulle note de La Cavalcata delle Valchirie di Richard Wagner, con uno stratosferico Robert Duvall. O il finale psichedelico e distruttivo accompagnato da The End dei Doors. In un’epoca nella quale al cinema non si osa praticamente quasi più, Apocalypse Now ci ricorda quanto anche un film possa essere un’opera d’arte delle più grandi. E spingerci ad un viaggio, spesso non piacevole, all’interno di noi stessi.

Roberto Johnny Bresso

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