Roma, 29 lug – 29 luglio 1917. A Sdricca di Manzano, nei pressi di Gorizia, il Re Vittorio Emanuele III assiste alla nascita del primo reparto d’assalto del Regio Esercito Italiano. Non è una semplice formalità militare. In quel campo, davanti ai generali e agli ufficiali, prende vita una nuova creatura della guerra moderna: gli Arditi. Velocità. Decisione. Brutalità. Sacrificio. Non solo una dottrina militare, ma uno stile. Non solo tattica, ma una visione destinata a rimanere impressa a fuoco nella storia italiana.
Gli Arditi nella Grande Guerra: l’aristocrazia del coraggio
Fin dal primo impiego, gli Arditi si impongono per l’efficacia con cui abbattono la logica stagnante della guerra di posizione. Agiscono a piccoli gruppi, spesso scelti tra i bersaglieri e gli alpini. Oppure dalle “Compagnie della morte”: quelle pattuglie speciali di fanteria che devono far brillare i reticolati nemici che passeranno alla storia con le loro corazze ed elmetti da picchieri medievali. Si addestrano al corpo a corpo, al lancio delle granate Thévenot, al combattimento ravvicinato. Attaccano di sorpresa, con leggerezza e precisione. Portano sul bavero la fiamma a due punte — nera, rossa o verde — e non conoscono la trincea. Sono esonerati dai turni, premiati con licenze, circondati da un rispetto misto a timore. Diventano l’élite dell’Esercito e al tempo stesso una bomba pronta a deflagrare sull’Italia borghese che perderà la pace.
Dalla guerra alla rivoluzione: l’arditismo politico
Nel dopoguerra, il mito dell’Ardito non si spegne. Cambia campo. Si sposta nella piazza. La Patria, che li ha celebrati nei bollettini di guerra, ora li guarda da vicino e ha un sacro timore. Perchè loro non intendono rientrare nei ranghi: la guerra li ha cambiati come un’iniziazione guerriera. Si organizzano. Nasce l’Associazione fra gli Arditi d’Italia. Tra i protagonisti: Mario Carli, capitano decorato, futurista, vero e proprio agit-prop della nuova milizia del dopoguerra. Nel suo libro Noi Arditi, pubblicato nel 1919, Carli scolpisce la figura dell’Ardito come uomo nuovo. Un essere nato dal sangue del fronte, ostile alla palude democratica, pronto ad agire contro il nemico esterno e interno. È l’inizio dell’estetica della violenza, della sacralizzazione del rischio, della guerra come atto rigeneratore che nutrirà una folta schiera di giovani italiani che indossata la camicia nera si ritroverà fianco a fianco con i veterani in nome della rivoluzione nazionale. Quello che i futuristi immaginano, gli Arditi realizzano. E quando Mussolini fonda i Fasci italiani di combattimento, gli Arditi sono già lì, pronti a ricevere una direzione rivoluzionaria.
Il battesimo del fuoco politico: l’assalto all’Avanti!
15 aprile 1919. Milano. Una manifestazione socialista riempie la città. La risposta arriva con la pistola e la bomba a mano. Un gruppo di Arditi, guidati da Ferruccio Vecchi, affiancati da Marinetti, prende d’assalto la redazione dell’Avanti! in via San Damiano. La incendia. La distrugge. È la dichiarazione di guerra del Fascismo contro il socialismo borghese, internazionalista e anti-nazionale. È l’anticipo di tutto: lo squadrismo, il mito dell’azione, l’irruzione della lotta armata in una nazione che aveva conosciuto solo dialettica parlamentare, scioperi e compromessi. È il “primo sangue” di una guerra civile che ancora oggi si fa fatica a riconoscere: si preferisce la narrazione che marchia i Fascisti come reazionari, tutori dell’ordine, sgherri della borghesia. Ma come potevano essere borghesi quei uomini che trasformati dalla Guerra avevano compiuto l’eresia ideologica per eccellenza, ovvero classe e nazione? Da quel momento, il nome degli Arditi si salda alla traiettoria del Fascismo. Non solo come forza simbolica. Ma come presenza attiva, organizzata, operativa.
Gli arditi oltre il tempo
Oggi, a più di un secolo dalla loro fondazione, gli Arditi appartengono al passato non più di quanto appartengano al passato i legionari di Scipione l’Africano. Sono un vero e proprio “mito”, che continua a interrogare l’identità italiana che nel frattempo è stata infiacchita e resa debole. Eroi per alcuni, proto-squadristi per altri. Ma chi osserva senza paraocchi vede un dato chiaro: il 29 luglio 1917 non nasce solo un reparto militare. Ri-nasce una visione del mondo che attraverso i millenni ha sempre trovato i suoi interpreti: dalle Männerbund indoeuropee alle primavere sacre dei popoli italici; dagli eserciti manipolari alle bande nere di Giovanni De Medici. Sono le band of brothers che colgono il momento “mistico” di ogni politica: quel momento a cavallo tra caos e ordine, quel conflitto innato che sta all’origine della società, quello “scontro epocale” il cui esito dà la direzione storica di un’intera civiltà. Gli Arditi sono i maschi che ritrovano se stessi nei passaggi storici e che eternamente rinnovano con guerre e rivoluzioni. Gli Arditi sono il principio della fine di un’epoca, l’inizio di qualcosa che non ha ancora nome, ma ha già voce, passo, pugno.
Sergio Filacchioni