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Francia, guerra ai patrioti: il caso Gannat smaschera il “nouveau régime” sovietico

by Sergio Filacchioni
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Jean-Eudes Gannat

Roma, 7 nov – In Francia la repressione del dissenso non è più una teoria della cospirazione: è una realtà quotidiana. L’arresto di Jean-Eudes Gannat, militante identitario e fondatore del collettivo Alvarium, rappresenta l’ennesimo episodio di una strategia sistematica di annientamento dei gruppi nazionalisti. Secondo quanto riportato da diverse reti di attivisti, Gannat è stato fermato il 5 novembre dopo la pubblicazione di un breve video in cui segnalava la presenza di migranti afghani davanti a un supermercato della sua città, Angers. Nessun insulto, nessuna provocazione: soltanto una constatazione della realtà. Ma nella Francia del 2025, mostrare ciò che accade per strada è ormai considerato un atto di “incitazione all’odio”.

Il caso Gannat è l’ennesima persecuzione anti-nazionalista

Non esistono al momento conferme ufficiali da parte delle autorità giudiziarie, ma il contesto in cui avviene questo episodio è già abbastanza chiaro: quello di una Francia in stato d’emergenza ideologico permanente, dove il termine “antirazzismo” è divenuto un grimaldello per la sorveglianza e la censura. Dopo la dissoluzione dell’Alvarium nel 2021 – decretata dal ministro dell’Interno Gérald Darmanin con l’accusa di “violenza e incitazione all’odio” – e le ripetute intimidazioni contro movimenti identitari come Génération Identitaire e Les Zouaves Paris, la persecuzione dei militanti nazionalisti è entrata in una nuova fase. Jean-Eudes Gannat, classe 1994, è figlio di Pascal Gannat, ex dirigente del Front National e figura di spicco della destra cattolica francese. Dopo gli studi di giurisprudenza, Gannat ha fondato ad Angers l’Alvarium, un centro politico e culturale di ispirazione nazional-cattolica. Le sue attività – conferenze, raccolte alimentari, iniziative identitarie – sono state sistematicamente criminalizzate dai media e dalle istituzioni. Quando il gruppo è stato sciolto, Gannat ha dato vita al Mouvement Chouan, erede spirituale dell’Alvarium, con l’intento di mantenere viva una tradizione di militanza patriottica radicata nella storia cattolica e contadina dell’Anjou.

L’odio razziale come grimaldello

Negli ultimi anni la Francia ha conosciuto una vera e propria epurazione ideologica: il governo Macron, in nome della “lotta all’odio”, ha sciolto decine di associazioni, censurato siti d’informazione e perseguito attivisti, spesso sulla base di semplici opinioni espresse sui social network. È accaduto a militanti di Génération Identitaire, accusati di “discriminazione razziale” per aver denunciato l’immigrazione clandestina sui Pirenei; è accaduto a giornalisti indipendenti, a sacerdoti e persino a ex gendarmi colpevoli di criticare la politica migratoria. Nel caso di Gannat, l’accusa di “incitazione all’odio razziale” è l’esempio lampante di come una definizione così generica ed elastica possa essere brandita come un’arma ideologica, in modo da colpire chi rifiuta di piegarsi al linguaggio dominante. Si tratta dello stesso meccanismo con cui Parigi neutralizza ogni voce scomoda: trasformare la denuncia sociale in delitto morale. In un Paese dove le banlieue sono diventate zone franche, dove la violenza urbana esplode a ogni crisi, lo Stato si mostra inflessibile solo contro chi osa affermare la propria identità. Il doppio standard è fin troppo evidente. Mentre le reti islamiste si riorganizzano nei quartieri popolari e i delinquenti recidivi vengono rilasciati per “sovraccarico carcerario”, un militante identitario può essere processato in comparizione immediata, la procedura d’urgenza riservata ai criminali violenti. La giustizia francese, un tempo fiore all’occhiello della laicità repubblicana, è diventata oggi lo strumento di una polizia del pensiero, pronta a colpire chiunque metta in discussione la narrativa ufficiale.

Il dissenso equiparato all’odio

Quello di Jean-Eudes, come tanti altri, non è solo un caso giudiziario, ma un simbolo politico. Dietro la vicenda di Gannat si intravede la paura profonda del potere francese: quella di una gioventù radicata, europea e identitaria che rifiuta il conformismo globalista. In questo senso, l’arresto di Gannat non riguarda solo la Francia, ma ogni Paese europeo in cui il dissenso viene sistematicamente equiparato all’odio. Perfino in Italia, il rischio di scivolare in uno stato di polizia è sempre dietro l’angolo: dal decreto sicurezza alla proposta di legge Gasparri sulla lotta all’antisemitismo, la realtà francese non ci sembra così lontana. Jean-Eudes Gannat non è semplicemente un attivista detenuto: è il volto di una coscienza nuova che attraversa l’Europa e che il sistema tenta di soffocare. La sua vicenda ricorda che la libertà di espressione, tanto invocata nei salotti progressisti, si ferma sempre un passo prima del patriottismo. Davanti a questo scenario, non servono appelli moralisti ma solidarietà europea (qui il link per sostenere le spese legali) e volontà di confliggere apertamente con questo sistema.

Sergio Filacchioni

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