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MSI, memoria corta e infantilismo politico: la polemica su La Russa e gli auguri alla «Fiamma»

by La Redazione
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Roma, 29 dic – La polemica scatenata dal video di Ignazio La Russa sulla nascita del Movimento Sociale Italiano non è un incidente ma un riflesso ideologico che in Italia non si è mai spento: l’idea che una parte della storia nazionale possa essere ricordata solo a patto di essere condannata, ridotta a residuo morale, amputata della sua dimensione politica. È una pretesa che non riguarda il fascismo in quanto tale, ma ciò che ne è seguito: la destra italiana del dopoguerra.

Il MSI è stata una forza parlamentare

Il dato curioso non è il contenuto del video, ma la reazione che ha suscitato. Perché ciò che La Russa ha detto è noto da settant’anni, scritto nei manuali di storia politica, discusso nei parlamenti, metabolizzato – piaccia o no – dal sistema repubblicano. Il MSI nacque da reduci sconfitti, accettò il quadro democratico, partecipò alla vita istituzionale, fu forza parlamentare stabile per decenni. Non fu un partito clandestino, né un movimento eversivo. Fu parte integrante del dopoguerra italiano, dentro i suoi equilibri, dentro le sue contraddizioni, dentro il suo compromesso storico non scritto. Insomma, è stata una tradizione politica consapevole, nata dalla sconfitta ma non dalla resa, inserita nel quadro repubblicano senza rinnegarne l’origine e senza chiedere assoluzioni. La formula “non rinnegare, non restaurare” non è un espediente retorico: è stata una linea di condotta. La sinistra italiana d’altronde rivendica sempre molto volentieri la propria genealogia. Nemmeno un mese fa commentavamo i Giovani Dem che a congresso si sperticavano nell’apologia del comunismo. Insomma Gramsci, Togliatti e Berlinguer vengono evocati quotidianamente come padri nobili, nonostante il legame diretto con una tradizione comunista che fu a sua volta illiberale, filosovietica, organica a un altro totalitarismo del Novecento. Il problema è che qualcuno cerca di far passare la sua memoria come “Storia”, e quella degli altri come una sorta di colpa ereditaria.

Il lato giusto della storia

E qui sta l’asimmetria evidente, che va detta senza ipocrisie: la tradizione comunista italiana è stata pienamente normalizzata e assorbita nei ranghi del “lato giusto della storia”. Mentre alla destra postfascista viene richiesto qualcosa di diverso e di più gravoso: non il rispetto delle regole democratiche, garantito da decenni, ma una continua abiura simbolica, una presa di distanza perpetua, una dichiarazione di illegittimità originaria. Si tratta di un’esigenza morale e politica allo stesso tempo. Serve a mantenere una rendita di posizione, a fissare una linea di demarcazione artificiale tra chi può rivendicare la propria storia e chi deve pentirsene. Il punto, allora, non è difendere La Russa o un video natalizio. Il punto è rifiutare il meccanismo. Perché il MSI non è stato un corpo estraneo alla Repubblica, ma uno dei suoi elementi strutturali. Ha rappresentato un’area politica reale, un’identità, una visione del mondo che non poteva essere cancellata per decreto né dissolta per indignazione. È stato un partito di opposizione, spesso marginalizzato, spesso demonizzato, ma sempre interno al gioco politico. E proprio per questo ha contribuito alla stabilità complessiva del sistema, incanalando un conflitto che altrimenti avrebbe potuto assumere forme ben più radicali e incontrollabili.

Un infantilismo politico atroce

Negare oggi questa evidenza storica significa praticare una forma di infantilismo politico che l’Italia conosce fin troppo bene. Un infantilismo che riduce la storia a un tribunale morale permanente, dove non contano i processi reali, i rapporti di forza, le funzioni politiche svolte, ma solo le etichette e le condanne rituali. È lo stesso infantilismo che consente alla sinistra di parlare del proprio passato come di un patrimonio etico universale e di trattare quello altrui come una macchia da espiare. Difendere la tradizione del MSI non significa indulgenza nostalgica né rimozione delle ombre. Significa rivendicare la legittimità di una continuità politica che non ha mai preteso assoluzioni, ma nemmeno accetta di essere delegittimata a posteriori. Una tradizione che ha attraversato la Repubblica senza nascondersi, che ha saputo trasformarsi senza dissolversi, che ha prodotto classe dirigente, cultura politica, militanza.

Il MSI non è un tabù

Il vero scandalo, se così si vuole chiamare, non è che si ricordi la nascita del MSI. È che nel 2025 ci sia ancora chi pensa di poter stabilire quali memorie siano ammissibili e quali no, quali storie possano essere raccontate come “Storia” e quali debbano restare confinate nel registro della colpa. Non è una battaglia sul passato, ma sul presente. E riguarda il diritto di esistere politicamente senza chiedere il permesso a un’antifascismo ridotto ormai a riflesso ideologico e a strumento di interdizione culturale. Il MSI non è una favola, né un tabù. È stato una parte della storia politica italiana. Trattarlo come tale non indebolisce la Repubblica. Al contrario, smaschera la fragilità di chi, non avendo più categorie per leggere il presente, continua a rifugiarsi nella gestione selettiva della memoria.

Vincenzo Monti

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