Roma, 7 nov – Si è svolta per il 52° anniversario dalla morte, la commemorazione di Emanuele Zilli, militante del Msi e sindacalista Cisnal morto in circostanze mai del tutto accertate il 5 novembre 1973, nella città dalle cento torri. Per anni, la narrazione antifascista ha provato a portare avanti la tesi della caduta accidentale di Zilli dal proprio motorino, considerata dai più un pretesto per coprire una morte avvenuta dopo un anno di intensi scontri e aggressioni ai danni dei giovani fascisti di Pavia. Zilli, infatti, lungo tutto il corso del 1972 e del 1973, era stato al centro di numerosi diverbi “accesi” con gli antifascisti, che avevano sfruttato l’animo borghese del piccolo capoluogo lombardo per far passare sottotraccia le proprie angherie.
Pavia tra assurdi divieti e repressione
L’evento, organizzato come ogni anno dall’Associazione Culturale Recordari, ha vissuto per l’ennesimo anno una pressione mediatica fortissima: anche lo scorso anno, il neosindaco di Pavia, Michele Lissia, era sceso in piazza alla contromanifestazione antifascista per cercare di bloccare il ricordo del martire missino. Nonostante questo, la questura autorizzò un pezzo del tradizionale corteo che – nel quartiere di Borgo Ticino – percorre Via dei Mille per poi svoltare in Piazzale Ghinaglia e terminare in Via Scapolla, laddove venne ritrovato il corpo martoriato dell’agonizzante Emanuele Zilli, a fianco del suo motorino. Quest’anno, a fronte del corteo, la rete antifascista pavese ha annunciato l’intenzione di occupare proprio Piazzale Ghinaglia, oltre il ponte coperto, snodo centrale in cui sarebbe dovuto passare il cordone per la commemorazione. La questura di Pavia ha dunque scelto – preventivamente – di vietare in toto il corteo facendo passare i partecipanti direttamente dal punto di ritrovo a Via Scapolla, dove si è tenuto il presente in memoria di Emanuele Zilli. Scelta a dir poco assurda, se si pensa che gli antifascisti non hanno occupato Piazzale Ghinaglia – rimanendo al di là del ponte, nella zona del centro storico – ma anche viste le ridottissime unità del controcorteo: neanche un centinaio di persone, infatti, si sono ritrovate tra i soliti immancabili stracci recitanti “Pavia antifa” e cori contro il militante missino caduto. Numeri pressoché analoghi – se non inferiori – a quelli dei partecipanti alla commemorazione. Senza neanche il coraggio di tentare di impedirla davvero.
La genuflessione delle istituzioni alla mafia antifascista
La commemorazione si è svolta, come di consueto, senza disordini o tensioni. Come d’altra parte, gli anni passati. Viene dunque da chiedersi come possa un centinaio di persone – scene analoghe a quelle viste sabato a Cagliari, al corteo del Blocco Studentesco, e a Trento all’iniziativa del comitato Remigrazione e Riconquista – avere il potere mediatico e politico di bloccare un’intera città con dispiegamenti di forze da G8, e fare in modo di essere ascoltati dalla questura. Il Comune di Pavia, di fronte a un vero e proprio abuso nei confronti di chi rispettosamente commemora un proprio caduto da più di cinquant’anni, tace. La rete antifà, invece, parla di “neonazisti coccolati e impuniti” mentre le istituzioni si piegano alle loro minacce. Sentimento di avversione al corteo commemorativo che evidentemente non trova condivisione da parte della stragrande maggioranza dei pavesi, con la raccolta firme degli antifascisti per impedirla ferma a poco più di un centinaio – praticamente, solo gli aderenti al contro corteo l’hanno firmata.
L’ossessione dei compagni per i morti
“Tutti i fascisti come Ramelli: una chiave inglese fra i capelli”, “10, 100, 1000 Ugo Venturini”, “Per guidare il motorino, Zilli prendi il patentino”, sono tutti abietti slogan che gli antifascisti strillano in ogni occasione i militanti nazionalisti si ritrovano a commemorare i propri camerati caduti. Anche questa ossessione verso i morti – che non possono difendersi – è uno dei tanti sintomi del complesso di inferiorità di un’area politica, quella antifascista, sempre più vuota di contenuti e idee. Ma anche di militanza. Il fallimento del tentativo di cavalcare i cortei pro-Pal per trascinare maranza e “nuovi italiani” tra le file antagoniste è evidente dagli scarni numeri di tutti quei ritrovi di vergogna e oltraggio a chi non c’è più. Slogan che però si scrivono sui social, si strillano da dietro ai blindati, ma non si ha mai il coraggio di andare a dire in faccia a chi commemora. L’ossessione dell’antifascismo verso i “morti di destra” – percentualmente numerosissimi, se si pensa ai numeri storicamente inferiori dei fascisti del dopoguerra – è paradigma della vigliaccheria dell’antifascismo e della propria incapacità di costruire contenuti politici o ideali. E segna la differenza tra coloro che difendono ancora un ideale, una bandiera, dei simboli, e quelli che basano la propria azione sulla negazione dell’altro, sull’infamia e sulla codardia.
Patrizio Podestà