
Rispetto alla pista seguita inizialmente, che vedrebbe Claudio Giardiello passare da un accesso secondario riservato a professionisti e sprovvisto di metal detector, utilizzando un falso cartellino di riconoscimento, si segue ora un’altra strada. L’assassino del suo ex socio Giorgio Erba, del giudice Fernando Ciampi e dell’avvocato Alberto Claris Appiani sarebbe infatti entrato da un varco ordinario, riuscendo tuttavia ad eludere i controlli di sicurezza.
C’è di più. Il metal detector -questa volta presente- avrebbe suonato, ma Giardiello non sarebbe comunque stato perquisito. Lo si dedurrebbe dalle immagini di videosorveglianza acquisite dalla Procura bresciana. Passa un uomo, il metal detector si illumina, viene perquisito e poi lasciato entrare. Tocca poi ad un uomo che, al netto della scarsa risoluzione della registrazione, sembra Giardiello: anche qui il metal detector si illumina, ma a questo giro i vigilantes non procedono alla perquisizione e lasciano l’assassino libero di entrare armato.
Il caso si tinge così di tinte ancora più fosche. L’ipotesi iniziale era senza dubbio più -se è lecito- “rassicurante”, qualora fosse invece confermata la seconda, emergerebbero delle enormi falle nel sistema di sorveglianza. Falle per le quali, tra l’altro, non sarebbe sufficiente una risposta come quella che è stata data nell’immediato: a che pro obbligare tutti gli entranti a passare sotto lo scanner se poi, in caso di esito positivo, questi non vengono perquisiti, magari per velocizzare i tempi? E’ poi da osservare come la promessa di maggior sicurezza non sia giunta in tutti i palazzi di giustizia: sono tanti i tribunali, in specie quelli più fuori dall’occhio mediatico, nei quali subito dopo la strage non si è dato atto all’implementazione delle misure annunciate urbi et orbi.
Risulta poi inquietante una coincidenza. Appena dopo l’arresto, Giardiello aveva detto: “Quando ho superato il varco ho pensato: se mi fanno passare con la pistola, lo faccio”. E così sembra proprio essere andata.