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Gino Paoli le canta alla sinistra (occhio però a non fare la figura dei polli!)

by Tony Fabrizio
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Roma, 31 lug – È emergenza! Ros(s)a. Allora, in nome dell’inclusività la sinistra non esclude nessuno e arruola persino il Corriere della Sera che riesuma cadaveri e rianima morti per la causa pur di ridare una voce a quello che potrebbe essere l’ultimo respiro. Intervista, così, nientepopodimeno che Gino Paoli che ultimamente si sentiva solo perché la senilità demenziale della Vanoni la portava a fare confessioni piccanti che riguardavano la loro gioventù.

L’intervista di Gino Paoli e una sinistra in crisi

AAA cercasi capopolo. Potrebbe essere questo il disperato tentativo della sinistra che non sa più che a leader votarsi per rifarsi una verginità con cui presentarsi agli elettori che vorrebbe fossero gli immigrati, magari clandestini, che pensavano di rifare italiani. La Schlein ancora resiste e non è durata quanto mediamente dura un segretario del Pd solo perché dall’altra parte c’è Meloni. In quanto donna. E già questo la dice lunga in quanto a cortocircuiti sinistri.

Dunque, fallito il tentativo di auto-arruolarsi da parte di Maurizio Landini che è sparito dopo il mancato incasso dei 2 milioni e mezzo di euro per il fallito referendum sui nuovi italiani, la sinistra si è riscoperta patriottica, ma solo per Gaza e, tramite i circoli Arci, ha “arruolato” persino la relatrice speciale dell’Onu Francesca Albanese per tentare di farsi rivedere in mezzo alla gente, però, con tanto di mascherina. Non si sa mai, può sempre servire. D’altronde, gli scioperi di piazza sono stati sostituiti dai gay pride; i friday for future non si tengono più: forse fa davvero troppo caldo o Gretina ha semplicemente trovato un’occupazione; la pluripregiudicata Salis è arrivata al sicuro e ogni tanto sbraita per restare immune e al comodo con le onorevoli terga sul velluto; le pastasciutte antifasciste sanno tanto di stufato e le feste dell’unità nemmeno si riescono più a organizzare, figuriamoci a frequentarle. Così i rossi sono costretti a rispolverare vecchie glorie, anche se non va come previsto.

Una confessione sincera, ma tardiva

Lo chansonnier genovese, mentre parla di una liaison con una prostituta a cui ha dedicato una canzone e che di lui si era innamorato, tra le metafore hot del cielo in una stanza e l’armonica quale suono di un ricordo di particolari momenti secondo il Vanoni style, giusto per vestire i panni dell’eroe pop squattrinato, eterno poeta degli ultimi, in versione pretty woman della Lanterna, ricorda la famiglia della madre che fu infoibata.

Peccato non essersene ricordato mentre veniva invitato a esibirsi alle Feste dell’unità! Quelle feste dove non partecipava da semplice artista, ma da quasi militante, visto che proprio il Partito Comunista di Occhetto e D’Alema lo candidò al Parlamento, dove venne persino eletto finendo per rappresentare quelli che erano stati gli infoibatori della famiglia della nonna. Però non è mai stato di sinistra, al massimo anarchico precisa. Pecunia non olet. Nessun altro commento al riguardo, però. Solo la cronaca: “I partigiani titini, appoggiati dai comunisti italiani, vennero a prenderli di notte: un colpo alla nuca, poi giù nelle foibe. Mia madre non ha mai perdonato”. Stupirebbe il contrario.

D’altronde il Paoli 91enne interviene sulle colonne del Corsera nei panni di moralizzatore, nonostante i due milioni di euro portati illecitamente in Svizzera. Cose che succedono: so’ anziani! Ma la terza età è il tempo del giudizio e, forse, persino della saggezza. Allora, non disdegna di dire che guarda con favore e piacere addirittura al Fascismo che era idealismo puro e a Mussolini che era “capace e furbo”. Continua ancora la confessione-accusa: “Quando i partigiani aprirono le carceri, uscirono anche i criminali. Ci furono vendette private e delitti”. Condita con un po’ di pietismo q.b.: “A Genova, la mia maestra fu additata come collaborazionista: le raparono i capelli, la portarono in giro con il cappio al collo, poi le sparano in testa e la gettarono nel laghetto di Villa Dori”.

Paoli: “Gli italiani amavano identificarsi con gli eroi”

Più che una presa di coscienza, oggi e sempre bolscevica, sembra quasi un’ammissione di nostalgica invidia: “Ugo Tognazzi, Walter Chiari e Dario Fo. Tutti accomunati dal fatto di essere andati a Salò. Perché erano idealisti. Il fascismo è stato anche un ideale. Non possiamo accanirci contro vent’anni di storia italiana; perché Mussolini è nella storia italiana. Il Duce era capace, furbo; sapeva che gli italiani amavano identificarsi con gli eroi. Tutti eroi; o tutti cantautori”. Lui scelse, anche bene, di fare il cantautore.

Il disincanto del tempo può portare a essere in debito con la verità e magari la coscienza spinge a saldarne il conto. Come è accaduto recentemente anche a Iva Zanicchi che si è lasciata andare a confessioni sui partigiani che rubavano polli per poi scappare sui monti. Cose che tutti sanno, ma che nessun personaggio mediatico dice. O, almeno, non in tempi che diventano quantomeno sospetti. Dichiarazioni che hanno lo stesso sapore delle confessioni dei Generalissimi delle Forze Armate (ma non di coraggio) che parlano, ma quando ormai sono in pensione.

Se da un lato si deve riconoscere l’onestà intellettuale, seppur postuma del Gino nazionale, ciò che insospettisce è il favore con cui queste dichiarazioni sono state salutate dal mondo della destra sempre più inclusiva, sempre più accogliona, fino a inglobare tutto e tutti, persino chi esce dall’agenda rossa, nel senso sinistro dell’emiciclo parlamentare. D’altronde, è un copione già scritto e anche Vannacci e il suo mondo al contrario, prima che fosse assoldato dalla Lega, lo ha propinato addirittura Repubblica.

Tony Fabrizio

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