
Innanzitutto è bene precisare che il petrolio ed il gas naturale non formano dei laghi sotterranei, nemmeno l’acqua di falda, ma occupano delle microporosità all’interno delle rocce come l’acqua impregna una spugna. Queste rocce, che vengono chiamate rocce serbatoio, nel caso degli idrocarburi, sono essenzialmente di due tipi: silicoclastiche (per il 60%) ovvero formate da sabbie, arenarie e conglomerati di origine fluviale, lacustre, deltizia o torbiditica; carbonatiche (per il 40%) ovvero formate da rocce composte da carbonato di calcio come calcari e dolomie derivanti da ambienti di piattaforma carbonatica e scogliera. Ricordiamo che queste rocce non sono la sede di formazione degli idrocarburi, che si formano in altri tipi di rocce chiamate “rocce madri” formate principalmente da argille, calcari, marne, e calcari marnosi in ambiente marino, per cui è anche presente una certa quantità di acqua fossile intrappolata nel sedimento chiamata “acqua connata”.

Se durante la migrazione primaria gli idrocarburi non incontrano nessuno ostacolo che li trattenga oppure delle fratture nelle rocce di copertura, questi arrivano sino alla superficie terrestre e si disperdono nell’ambiente, fenomeno che si chiama “dismigrazione”. Non tutti gli idrocarburi generati vengono espulsi durante compattazione: tra il 20 ed il 40% resta all’interno della roccia madre che, se prosegue il suo “viaggio” verso l’interno della Terra ed è esposta a temperature più elevate, potrà quindi generare gas naturale.
All’interno della roccia serbatoio, che in questo caso si chiama “carrier”, gli idrocarburi si muovono spinti da altre forze fisico-chimiche, principalmente la spinta di galleggiamento dovuta alla differenza di densità tra acqua e olio, che li porta ad accumularsi in alto, verso la base della roccia di copertura, fenomeno chiamato “migrazione secondaria”.
Quindi le condizioni geologiche affinché si formi un giacimento sono: la presenza di una roccia con le caratteristiche tali da fungere da roccia serbatoio, la presenza di una soprastante roccia impermeabile (la roccia di copertura) ed infine una particolare distribuzione e configurazione geometrica delle rocce atta a impedire l’ulteriore dispersione degli idrocarburi. Sommati questi 3 elementi danno luogo a quella che in gergo tecnico è definita “trappola” che quindi è limitata nella zona superiore dalla roccia di copertura caratterizzata da una ben precisa geometria e nella zona inferiore da una superficie piana ed orizzontale che separa gli idrocarburi dall’acqua connata sottostante che prende il nome di “tavola d’acqua”.
Le configurazioni geometriche delle rocce che permettono di ottenere delle trappole di idrocarburi sono numerose e possono essere separate in base alla loro genesi: strutturale o stratigrafica (ovvero dovuta ad un cambiamento dovuto a fattori sedimentologici). Trappole strutturali sono le pieghe anticlinali, ovvero degli strati piegati con la concavità verso il basso, i thrust cioè strutture legate a faglie con movimenti compressivi, degli horst, legati al movimento distensivo, faglie trascorrenti e infine i duomi salini (tipo Iran) che si intrudono all’interno degli strati rocciosi tagliandoli e piegandoli verticalmente. Le trappole stratigrafiche invece sono dovute a variazioni dei fattori di sedimentazione della roccia e l’ostacolo alla migrazione degli idrocarburi viene qui assicurato da cambiamenti laterali e verticali della litologia della roccia serbatoio.
Le più numerose sono le trappole di tipo strutturale, essendo quelle stratigrafiche pari solo al 15% delle riserve mondiali di idrocarburi.

Paolo Mauri
Ulteriori approfondimenti:
Come nascono gli idrocarburi?
