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Emotività e sentimentalismo: le armi per snaturare i popoli

by La Redazione
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Roma, 9 giu – Il sentimentalismo è oggi una delle armi principali impiegate dai nemici dell’Europa per minarne le fondamenta. Ma perché proprio il sentimentalismo? Per comprenderlo, è necessario riflettere su come si possa distruggere una civiltà partendo dall’esperienza storica: il trattamento riservato dal sistema di Jalta al Giappone e alla Germania – e, per estensione, all’intera Europa – è un esempio paradigmatico.

Il ricatto del cattivo sentimentalismo

L’essenza profonda di una civiltà non può essere cancellata del tutto, ma può essere sovvertita nei suoi tratti fondamentali, così da renderla disfunzionale. Fu questo il metodo adottato dalle potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale contro gli sconfitti, in particolare contro il Giappone e la Germania. Oggi, quando si pensa al Giappone, non vengono più in mente Mishima, i Samurai o la figura dell’Imperatore. L’immaginario dominante è quello del giapponese instancabile, schiavo del lavoro, pronto al suicidio se fallisce professionalmente. Un ribaltamento netto rispetto all’archetipo tradizionale, che testimonia l’intensità del processo di “reset” culturale. Gli “alleati”, dopo aver sganciato bombe atomiche sul Giappone, non si fecero scrupolo nell’annientarne i valori sacri e la cultura millenaria. Che questo progetto non sia stato pienamente realizzato – e che un giorno possa essere ribaltato da una rivoluzione spirituale e politica – non sminuisce la portata dell’intento. Americani e sovietici (e oggi i russi post-sovietici) hanno sempre nutrito cieca fiducia nelle proprie utopie, convinti della loro inevitabile affermazione. L’esempio giapponese dimostra però come queste “idee” siano profondamente disfunzionali: un popolo dedito all’ascesi guerriera è stato trasformato in una rotella del meccanismo economico, ma la sua indole profonda non è stata cancellata: è stata travolta, piegata, rovesciata contro sé stessa. Il senso dell’onore, l’abnegazione e persino il suicidio rituale, non sono scomparsi: si sono solo spostati su un piano grottescamente moderno.

Il reset culturale della Germania

Ancor più evidente è il caso tedesco. E, di riflesso, quello dell’intera Europa. Il mondo romano-germanico rappresenta la sintesi stessa della civiltà europea, il cuore da cui si diramano le arterie del continente. Roma e Berlino, cadute nel 1945, hanno segnato l’inizio della decadenza anche per i “vincitori”. Il senso di colpa instillato nei tedeschi – la vergogna della propria storia, il disprezzo per sé stessi – è oggi patrimonio comune dei giovani europei ed essenza stessa della cultura woke. L’Europa è costretta a scusarsi per la propria esistenza, a giustificarsi, a farsi da parte in favore degli “altri”. Come si è arrivati a tanto? Utilizzando le stesse qualità originarie della civiltà europea per rovesciarle. Le due fondamentali: la razionalità e l’etica. L’europeo ha sempre mostrato empatia, attenzione per l’altro, bontà. Ma oggi ciò che era virtù è diventato veleno. Cosa sta uccidendo l’Europa? Il sentimentalismo.

Il bisogno ossessivo di essere buoni

Questa è la civiltà di Achille che restituisce il corpo di Ettore, commosso dalla supplica di Priamo. È la civiltà di Anchise che ammonisce Enea a “risparmiare i sottomessi e debellare i superbi”. È l’unica civiltà che riconosce il diritto d’asilo nei templi. È quella in cui i barbari, dopo averla invasa, hanno scelto di conservarne la grandezza. È la civiltà dello Stato sociale, dell’integrazione tra aristocrazia e popolo. È la civiltà che, pur ammettendo la schiavitù in epoche remote, la condannava moralmente con Seneca, e ne pose fine per prima. Gli afroamericani esistono perché l’Europa, pur dominando, ha permesso agli schiavi di perpetuarsi. Nulla di simile accadeva nel mondo arabo, dove la schiavitù significava estinzione. Anche il colonialismo, pur con le sue ombre, non sfugge a questo principio: l’Europa, a differenza di altri, ha civilizzato, ha investito più di quanto abbia guadagnato, ha lasciato le culture locali intatte. Ha portato istruzione, medicina, infrastrutture. L’impennata demografica del Terzo Mondo ne è la prova, e oggi è uno dei problemi globali. Fino al 1945, l’Europa ha dominato con spirito costruttivo. Dopo, ha smesso di essere padrona di sé stessa.

Dalla bontà al buonismo

Così la bontà è divenuta buonismo, la moralità si è ridotta a moralismo, la razionalità a razionalismo. I media, ben consapevoli della nostra vulnerabilità emotiva, fanno leva sulle immagini: corpi in mare, bambini che soffrono. Chi non vuole accogliere è un mostro. “Perché i tuoi figli devono vivere e i loro no?” La manipolazione è evidente. Stesso schema per l’attacco alla virilità: si enfatizzano episodi di “femminicidio” funzionali alla narrativa, si colpevolizza la mascolinità. Per la propaganda gender il meccanismo è analogo: si sfruttano le emozioni per spegnere la razionalità.

Come rompere questa catena?

Allenandosi all’indifferenza. Non al cinismo, ma al dominio delle emozioni. Nel mondo accadono migliaia di tragedie ogni giorno. Eppure, nessuno si abbatte per ognuna di esse, ed è normale: altrimenti l’umanità sarebbe già estinta. L’indifferenza è la norma, così come lo sono la gerarchia degli affetti e il criterio della prossimità. Nessun europeo può mettere sullo stesso piano la vita dei propri figli con quella dei bambini africani, e lo stesso vale all’inverso. È la nostra civiltà che ci ha insegnato questo ordine naturale: famiglia, clan, villaggio, città, nazione, impero. Si ama ciò che ci è prossimo. Chi sa estendere il proprio sguardo guida gli altri. E se l’impero rappresenta l’unità del tutto, il politico autentico deve occuparsi in primo luogo dell’Europa e dei suoi popoli. L’Europa non ha più il controllo dell’Africa, quindi non ne è responsabile. Quando l’aveva, le portò benefici. Oggi non più. E il bene si fa dove si ha autorità. Punto.

L’Europa deve tornare a pensarsi come impero

Solo dopo aver creato un nuovo Stato europeo, come voleva il fronte dei fascismi nel secondo conflitto mondiale, si potrà ripensare una presenza nel mondo. L’Unione Europea attuale è una caricatura, una parodia pallida, incapace. In conclusione, l’unico modo per non farsi distruggere dalla sovversione è mantenere il controllo sulle emozioni. Bisogna avere il coraggio dell’indifferenza. Chi muore cercando di entrare in Europa fa una scelta, e ne accetta il rischio. La sua sorte non è responsabilità degli europei. Bisogna allenarsi ad “essere cattivi”, nel senso più nobile e tragico del termine, perché il sentimentalismo è l’arma finale usata per annientarci.

Essere immuni al sentimentalismo

Dall’impassibilità, dallo spirito guerriero, dalla capacità di ignorare le sorti di chi ci invade, può rinascere l’Europa. Questo, certo, non risolve da solo il problema dell’immigrazione, ma è una condizione necessaria. L’imperturbabilità ha effetti benefici in ogni ambito. E se non si deve ridurre tutto alla questione migratoria, è però altrettanto vero che oggi, per riconquistare il proprio posto nella storia, l’Europa deve innanzitutto lottare per la propria sopravvivenza fisica. La denatalità e la sostituzione etnica sono i nemici reali. E possono essere vinti solo riscoprendo uno stile di vita sano, solare, virile e apollineo, immune dal sentimentalismo tossico che ci ha ridotti così.

Ferdinando Viola

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