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Woke e dintorni: carne vegetale, storia di un fallimento annunciato

by Marco Battistini
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Roma, 22 lug – Correva l’anno 2019 quando, nei primissimi giorni di maggio, la redazione economica del Corriere della Sera ci faceva sapere che le azioni di Beyond Meat volavano al debutto a Wall Street. Fondata dieci anni prima, la start up vegana – che conta tra i finanziatori anche Bill Gates – specializzata in prodotti sostitutivi degli alimenti di origine animale (in particolar modo la c.d. carne vegetale) rischia però di qui a breve di finire in bancarotta.

Il crollo del mercato azionario

Secondo Futuroprossimo, infatti, l’azienda statunitense avrebbe “bruciato montagne di soldi cercando di convincere il mondo che gli hamburger di piselli potessero sostituire la carne vera”. Un buco quantificabile nel miliardo di dollari in obbligazioni convertibili da ripagare entro il 2027, proprio nel momento in cui le azioni, titoli considerati tra i peggiori dell’intero mercato, registrano un crollo del 98%.

La proliferazione della gamma di prodotti ha dovuto fare i conti con un mercato oggi stagnante, tanto che la redditività sulle vendite (tecnicamente chiamata Ros, Return on sales) della Beyond Meat presenta segno negativo: per ogni dollaro di venduto, quarantacinque centesimi di perdita. Se vogliamo, l’impresa con sede a Los Angeles è in buona compagnia. Tali problematiche, infatti, investono l’intero settore della carne vegetale. Realtà molto più strutturate (Unilever, Nestlé, Kellog’s) stanno tornando sui propri passi, valutando la cessione dei marchi relativi a quella che – nei fatti – è rimasta una semplice nicchia di mercato.

Carne vegetale, il più grande fallimento dell’industria alimentare?

La transizione proteica è rimandata quindi a data da destinarsi. A fronte dell’ampio spazio ricevuto nel dibattito pubblico occidentale da più parti hanno definito quello della carne vegetale come il più grande fallimento dell’industria alimentare

Questione, in particolar modo nell’Europa – a maggior ragione in quella mediterranea – di una radicata cultura alimentare che ancora resiste alla spinta del marketing (e anche ad eventuali questioni di prezzo, ma non è questo il caso). Stiamo comunque parlando di cibi ultra-processati che ancora non sono riusciti a dimostrare una maggior sostenibilità ambientale rispetto alle versioni originali. Banalmente su larga scala registriamo anche l’incomparabilità tra gusto e consistenza delle alternative green rispetto ai prodotti di origine animale.

Sia chiaro, la legittima scelta personale di ridurre il consumo di carne, piuttosto che seguire una dieta vegetariana o addirittura vegana, nulla c’entra con la critica sistemica che stiamo muovendo in queste righe.

Spazi di manovra

Così, un po’ come succede quando a sinistra si perdono le elezioni, sempre per colpa dell’ignoranza elettorale, Ethan Brown – Ceo di Beyond Meat – ha giustificato la crisi imprenditoriale additando una generica disinformazione dei consumatori e non meglio specificate campagne mistificatorie – come se chiamare carne ciò che non lo è non lo fosse. Esaurita la moda, sgonfiato il giro d’affari, finita la storia d’amore (con il grande capitale). Un copione già visto con altri argomenti propri del woke, come il variegato mondo Lgbt, sedotto in fretta e furia ma già abbandonato da diverse firme multinazionali.

Per non parlare di tutta quella retorica green che a queste latitudini ci ha prima privato del nucleare civile, risorsa vitale per l’indipendenza – quindi per la potenza – della nostra Nazione, e successivamente ha disarticolato il comparto dell’auto in nome di una rivoluzione elettrica ben presto abortita dagli stessi meccanismi del mercato.

Che l’ideologia woke e i suoi affini abbiano fallito – sia politicamente che economicamente – ormai è cosa nota. Le crepe iniziano a farsi sempre più larghe: dopo anni di danni resta del vuoto, rimangono spazi di manovra. Seppur minimi, è il momento di occuparli, prima e meglio degli altri. 

Marco Battistini

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