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Tra conservazione e rivoluzione: l’altra America di Yellowstone

by Roberto Johnny Bresso
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Sab, 15 lug – Hollywood, è cosa nota, da qualche tempo ormai è la patria di tutte le istanze della sinistra liberal, della cultura woke, delle lobby LGBT, del movimento Me Too e di chi più ne ha più ne metta… tanto che è diventato praticamente impossibile riuscire a gustarsi un film o una serie tv senza che questi argomenti invadono la trama, spesso senza apparente motivo. E poi c’è una magnifica eccezione costituita dall’Universo Taylor Sheridan.


Taylor Sheridan inizia a lavorare come attore negli anni ’90 interpretando piccole parti, fino a che arriva la celebrità con il ruolo del vice sceriffo in Sons of Anarchy. Dopo le prime due stagioni, data la crescente popolarità della serie, chiese ai produttori un aumento di stipendio, ma gli fu risposto che non era un attore particolarmente bravo da meritare più soldi. Decise quindi di lasciare il programma, capendo che il suo vero talento risiedeva nella scrittura. Dopo aver scritto e diretto alcuni buoni film, cercò di farsi produrre un prodotto al quale stava lavorando da diversi anni: avendo da sempre vissuto nell’America rurale dell’Ovest aveva grande passione per i film western e cercò di riproporre i cari vecchi temi del genere in una storia ambientata però ai giorni d’oggi. Nacque così l’idea di Yellowstone, una saga familiare ambientata in un immenso ranch del Montana.

Yellowstone: la saga famigliare dei Dutton

La storia si concentra sulla famiglia Dutton, il cui patriarca John è interpretato da un fantastico Kevin Costner, già avvezzo a tematiche western. La serie vide la luce con la prima stagione nel 2018 partendo in sordina sia come critica sia come ascolti, salvo poi catalizzare sempre più l’attenzione puntata dopo puntata, arrivando fino ad oggi alla quinta stagione, con la quale avrà la sua conclusione.

Valori tradizionali e appartenenza alla comunità

Ma quale è stata la fortuna di Yellowstone e perché si distingue dal resto dei prodotti in circolazione? Seguendo i sentieri del western, tra John Ford, Howard Hawks e Sam Peckinpah, Sheridan ci porta in un mondo di amicizia virile, di appartenenza ad una comunità e di valori tradizionali che però al giorno d’oggi diventano rivoluzionari; ci mostra personaggi femminili memorabili e forti, ben lontani dal vittimismo del neo femminismo odierno, ci presenta con sguardo sincero e onesto le ragioni degli altri, nella fattispecie dei nativi, verso i quali l’autore mostra un affetto sincero dovuto ad una conoscenza radicata negli anni, tanto da aver incassato i complimenti dalle loro associazioni per il modo nel quale vengono rappresentati.

La lotta per la terra

Lontanissimo dall’ambientalismo gretino di facciata tutti i personaggi lottano per la terra perché l’amano veramente, affinché venga conservata al meglio e preservata per le future generazioni. Così ecco che l’immenso ranch dei Dutton diventa un personaggio esso stesso, proprio come lo era la Monument Valley nelle pellicole di John Ford. Ci si affeziona tanto ai personaggi, anche quando compiono atti criminali (memorabile la stazione dei treni, locuzione usata per il posto dove liberarsi dei cadaveri), perché sembra di essere in una tragedia shakespeariana nella quale è il destino (in questo caso forse meglio dire la natura) a muovere le fila dei protagonisti.

Gli spin-off di Yellowstone

Dato il grandissimo successo della serie l’universo narrativo si è espanso e Sheridan ha voluto mostrarci le origini della famiglia Dutton. In 1883 vediamo il capostipite James Dutton, interpretato da Tim McGraw, dopo la guerra civile nella quale ha militato con il Sud (altro tabù quello di mostrare un personaggio positivo arrivare dalle fila dei ribelli) lasciare con la famiglia il Tennessee per cercare fortuna ad Ovest. Nel loro tormentato viaggio quasi omerico si troveranno a fare squadra, tra gli altri, con un ex capitano del Nord, interpretato da un esperto del genere western come Sam Elliott, per aiutare un gruppo di disperati emigranti tedeschi a trovare una nuova casa. Memorabile il personaggio di Elsa, la figlia maggiore di James, voce narrante della storia ed uno dei personaggi femminili più belli e commoventi degli ultimi anni.

Sheridan poi fa un ulteriore salto in avanti e con 1923 ci mostra i Dutton arrivati al ranch Yellowstone: i personaggi interpretati da Harrison Ford ed Helen Mirren sono alle prese con la trasformazione del West, sempre in bilico tra conservazione e rivoluzione, con Sheridan che sembra dirci che per attuare la seconda molto spesso si deve applicare la prima. Straordinario poi il personaggio di Spencer Dutton, avventuriero in Africa richiamato dalla famiglia per salvare il ranch.

Ma il mondo di Sheridan non si limita alle tematiche western ed ha sfoderato due altre perle: con Mayor of Kingstown sprofondiamo nell’inferno del sistema carcerario statunitense e dell’indotto che mantiene l’immaginaria cittadina del titolo, in una guerra senza sosta tra bande (nessuno è veramente innocente, nemmeno il protagonista) nella quale si muove Mike McLusky, interpretato da Jeremy Renner, nel ruolo di un mediatore senza sosta e senza causa, ruolo ereditato quasi con rassegnazione e stoicismo dal fratello assassinato durante la prima puntata.

Tulsa King

Infine con Tulsa King Sheridan trova spazio anche per un po’ di ironia e leggerezza (anche se non mancano i momenti drammatici): Dwight Manfredi (uno straordinario Sylvester Stallone, che non ha paura di mostrare tutti i segni dell’età) è un mafioso che, dopo aver scontato venticinque anni di carcere a New York, viene mandato dai suoi capi nella cittadina di Tulsa per stabilire lì le sue operazioni criminali. Dwight si trova spiazzato da un mondo che non riconosce più e la sua assenza forzata di un quarto di secolo viene sfruttata per mostrarci, attraverso lo stupore del personaggio, tutte le storture e le contraddizioni del mondo moderno.

In conclusione non possiamo che consigliarvi in toto l’opera di Taylor Sheridan e, se vi state chiedendo come sia possibile che abbia così carta bianca senza per ora dover inserire nemmeno una delle tematiche tanto care ai liberal, la risposta è una sola: le sue opere stanno facendo tutte il pieno di ascolti e gli ascolti portano soldi ai produttori, quindi perchè rischiare di rovinarle? È pur sempre l’America: l’ideale cede il terreno al dollaro.

Roberto Johnny Bresso

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