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Vita su Marte? La scoperta della NASA riaccende l’enigma cosmico

by Sergio Filacchioni
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Vita su Marte

Roma, 12 sett – È rosso ruggine, granulare e antico di miliardi di anni il campione che potrebbe cambiare per sempre la nostra visione dell’universo. Prelevato dal rover Perseverance nel cratere Jezero, il frammento di roccia battezzato Sapphire Canyon contiene tracce chimiche che – secondo gli scienziati della NASA – potrebbero costituire la più chiara biosignature mai individuata sul pianeta Marte.

Vita su Marte: le nuove prove di Perseverance

Niente titoli sensazionalistici: non si parla di organismi viventi, né tantomeno di alieni. Ma i segni ci sono. L’analisi ha rivelato la presenza di vivianite (ferro e fosforo) e greigite (ferro e zolfo), minerali che sulla Terra si formano spesso come sottoprodotto dell’attività microbica. A ciò si aggiungono abbondanti quantità di carbonio organico, zolfo, fosforo e ferro ossidato: una combinazione che avrebbe potuto alimentare antichi metabolismi batterici. Gli studiosi, con cautela, parlano di “potenziale biosignature”, perché esistono anche processi chimici non biologici in grado di produrre reazioni simili. Ma la verità è che più si scava nel passato marziano, più emerge l’immagine di un pianeta che non sempre è stato il deserto semi-ghiacciato che conosciamo: miliardi di anni fa, Jezero Crater era un lago, alimentato da fiumi e canali, un ecosistema dove la vita avrebbe potuto attecchire. Il dato scientifico si intreccia con la politica. Il campione è sigillato in una provetta all’interno di Perseverance e la sua analisi definitiva sarà possibile solo se riportato sulla Terra. Peccato che la Mars Sample Return mission rischi di saltare, dopo i tagli proposti dall’amministrazione Trump. La NASA promette di studiare alternative, ma il sospetto è che, ancora una volta, la ricerca debba piegarsi a prosaiche logiche del bilancio.

Un’enigma cosmico su cui si gioca la supremazia

Al di là dei tecnicismi, resta la solita e “antica” domanda cruciale: siamo soli? L’Europa, che spesso ha delegato all’America la frontiera spaziale, osserva sempre meno da spettatrice. Eppure, mai come oggi la partita per l’immaginario e per la supremazia scientifica si gioca anche qui: sulla capacità di dimostrare che la vita non è un incidente unico, ma una trama che attraversa l’universo. Per ora ci resta l’immagine del rover che, nel silenzio del pianeta rosso, immortala se stesso accanto a una roccia macchiata da minuscoli segni scuri, simili a semi di papavero. Forse sono soltanto minerali. O forse, sono il ricordo fossile di una vita che non è più.

Sergio Filacchioni

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