Roma, 7 ott – Può un insulto triviale, rivolto non alla politica ma alla persona di un defunto, rientrare nel diritto di critica storico-politica? È la domanda che solleva il caso aperto da Caio Giulio Cesare Mussolini, pronipote del Duce, contro un consigliere comunale del Partito Democratico di una cittadina del Centro Italia.
Caio Mussolini querela un insulto pubblico
Il consigliere in questione, qualche mese fa, aveva scritto sui social: «No, Mussolini non era uno statista, era una merda». Non un giudizio sul regime o sulle scelte politiche, ma un insulto diretto alla persona di Benito Mussolini, mirato a colpire sul piano morale e personale. Stanco di questa «catena di improperi che da anni infangano la memoria familiare», Caio Giulio Cesare Mussolini ha scelto di reagire querelando l’autore del post per diffamazione con l’avvocato Simone Manelli. «Siamo consapevoli che quando si toccano certi personaggi la strada è in salita – ha dichiarato – ma a noi le salite piacciono». La Procura però ha chiesto l’archiviazione, ritenendo che l’offesa fosse «legittima espressione del diritto di critica storico-politica» garantito dall’articolo 21 della Costituzione. Per il pubblico ministero, la circostanza che l’autore fosse un esponente politico locale basterebbe a inquadrare il post in un contesto di dibattito pubblico. Una motivazione che, agli occhi dei querelanti, scivola pericolosamente verso la legittimazione dell’insulto. «Una cosa è la critica storica, per quanto aspra – sottolinea Mussolini – altra cosa è l’offesa ingiuriosa che non riguarda il giudizio sul politico ma attacca la persona». La difesa ha annunciato che presenterà opposizione alla richiesta di archiviazione: «Ci batteremo sino in fondo perché il confronto pubblico non segua le derive ingiuriose di omuncoli incapaci di articolare critiche sul piano storico e politico».
Dove finisce la critica e dove comincia la diffamazione?
Il caso richiama alla memoria la recente vicenda del generale Luigi Cadorna, definito «un criminale di guerra» dallo storico Marco Mondini in un contesto accademico: anche lì si è aperta un’inchiesta per diffamazione su istanza di un discendente, poi conclusa con un nulla di fatto. Due episodi che, pur diversi, sollevano lo stesso nodo: dove finisce la critica e dove comincia la diffamazione? In Italia sembra che l’insulto diretto alle figure storiche del Novecento goda di un’indulgenza che non si estende ad altri protagonisti della storia nazionale. Un doppio standard che alimenta polemiche e che mostra come il diritto di critica, se usato come scudo per la volgarità, rischi di deformare il concetto stesso di libertà di espressione. Nei prossimi giorni l’opposizione all’archiviazione sarà depositata. La partita giudiziaria è tutt’altro che chiusa: a decidere sarà il tribunale, chiamato a stabilire se in Italia insultare un morto, purché scomodo, sia davvero un diritto costituzionale.
Vincenzo Monti