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Trump riceve Al-Jolani: la fine impietosa della “guerra al terrorismo”

by Sergio Filacchioni
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Trump Al-Jolani

Roma, 11 nov – La foto che da stamattina circola sui social sintetizza in un istante vent’anni di narrazioni occidentali. Donald Trump che alla Casa Bianca stringe la mano ad Ahmed al-Sharaa, meglio conosciuto come Abu Mohammad al-Jolani, ex capo del gruppo jihadista Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), braccio siriano di Al-Qaeda. L’uomo che fino a pochi anni fa era sulla lista nera del Dipartimento di Stato americano – con una taglia da dieci milioni di dollari – è oggi accolto come presidente della Siria post-Assad.

La fine di un paradigma ventennale

L’incontro non è un incidente diplomatico ma un segno di svolta strutturale: gli Stati Uniti, dopo decenni di sanzioni e isolamento, aprono un canale diretto con il nuovo potere siriano, sancendo nei fatti la fine del paradigma della “guerra al terrorismo” bandita da George W. Bush dopo l’11 settembre 2001. Impossibile non pensare alle torri che crollano, all’impiccagione di Saddam Hussein, all’invasione dell’Afghanistan, alla stagione delle “primavere arabe” che inaugurò i regime change in tutto il Mediterraneo. E ora, assistiamo alla legittimazione politica di una figura che ha rappresentato, per l’intero decennio scorso, l’espressione armata più coerente della galassia jihadista siriana. Ovviamente, dietro la facciata della “normalizzazione”, l’operazione risponde a logiche precise. La Siria che emerge da quindici anni di conflitto non è più quella di Assad, né quella venduta al mondo dai promotori delle “primavere arabe”. È un mosaico di territori controllati da poteri locali, in cui la sopravvivenza politica dipende dal consenso esterno. L’integrazione di Al-Jolani nel circuito diplomatico occidentale riflette il disallineamento tra obiettivi dichiarati e obiettivi reali della politica statunitense in Medio Oriente: da una parte, la retorica sui diritti e la lotta all’estremismo; dall’altra, la necessità di contenere l’influenza iraniana

Lo scontro di civiltà che non c’è

Ciò che colpisce, sul piano del dibattito occidentale, è la totale assenza di reazione. I media che per anni hanno alimentato la narrativa della “lotta al terrorismo” trattano la notizia con imbarazzo o disattenzione. E lo stesso vale per quella parte della destra italiana che ha costruito buona parte del proprio immaginario politico sull’idea di uno scontro tra civiltà, tra l’Occidente e l’islam radicale. Oggi, di fronte all’immagine di un leader jihadista ricevuto come capo di Stato, prevale il silenzio. La contraddizione è evidente: chi denuncia la “fine dell’Occidente” per l’elezione di un politico progressista a New York tace quando l’Occidente negozia con chi incarnava, fino a ieri, il suo “nemico assoluto”. Ma dalle strette di mano all’Eliseo all’incontro nello Studio Ovale, la parabola diplomatica di Al-Jolani è passata dall’essere ricercato internazionale a ricevere riconoscimenti formali anche da Mosca e Tel Aviv. Tutto in nome della realpolitik, per carità: da quando Damasco è caduta tutti quanti vogliono “garantire la protezione dei siriani” e rientrare nel gioco. In questa sequenza si condensa la morale politica: dopo aver devastato Paesi interi in nome dei diritti umani, ora si passa alla spartizione insieme a quei jihadisti che solo pochi anni fa promettevano fuoco e fiamme contro l’Europa.

I finti “fronti contrapposti”

Un ulteriore tassello in questo quadro emerge dalle rivelazioni dell’ex capo del Mossad Yossi Cohen, secondo cui la Russia avrebbe autorizzato Israele a colpire i convogli di armi iraniane diretti in Siria e in Iraq verso Hezbollah e le milizie sciite. Nel suo recente libro, Cohen racconta di aver visitato il Cremlino e di aver ottenuto personalmente da Vladimir Putin il via libera alle operazioni israeliane, nonché la creazione di una linea di coordinamento militare tra gli Stati Maggiori dei due Paesi. Questa cooperazione, definita “essenziale”, avrebbe permesso di neutralizzare le reti di rifornimento iraniane senza rischiare scontri diretti con i sistemi di difesa russi S-300 e S-400 dislocati in Siria. Il dato politico è evidente: mentre Mosca tratta con l’ex emiro di al-Nusra e collabora con Israele contro Teheran, si dissolve definitivamente la vecchia narrazione dei fronti contrapposti in Medio Oriente, sostituita da una geometria variabile di convenienze, dove le alleanze si ridefiniscono non in base ai principi ma agli equilibri di potere.

Macerie politiche e intellettuali

Forse, paradossalmente, dovremmo ringraziare Trump. Perché con quella stretta di mano ci costringe a guardare in faccia la realtà: la “guerra di civiltà” così come ce l’hanno raccontata non è mai esistita. Abbiamo diviso il mondo in democratici e non-democratici e questo è l’epilogo dilaniante. Vent’anni di appiattimento, da destra come da sinistra, sulla linea americana dei fatti non ci ha portato a nulla. Questa è la vera eredità della “guerra al terrorismo”, oltre alle macerie di un Medio Oriente disfatto: una totale perdita di sovranità intellettuale, politica e strategica che ha riguardato tutti.

Sergio Filacchioni

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