
Oggi sappiamo tutti che per “fede” si intende una accettazione aprioristica di un concetto, di un dogma, di una realtà divina che deriva dall’abbracciare una certa forma religiosa. Ma il termine latino fides non aveva affatto questa accezione. Infatti esso deriva dalla radice sanscrita *bheidh– che voleva dire legare. Anche il termine greco da esso derivante, peitho vuol dire sì “persuadere” ma anche, e soprattutto, “legare”. La Fides era dunque un legame che prima di tutto teneva uniti il popolo di Roma con i suoi Dei ma che manteneva anche la coesione dell’intero popolo stesso, da qui la presenza “trasversale” dei tre flamini maggiori che rappresentavano e curavano le tre grandi forze che esprimevano la tripartizione cosmica e sociale dei popoli Indo-Arii.
Il culto di Fides, fondato da Numa Pompilio, potrebbe derivare da quello di un dio più antico, Dius Fidius, una divinità che in epoca pre-romana avrebbe potuto condividere la regalità con Giove prima di perdere la sua importanza e divenire, di fatto, solo un “aspetto” del dio sovrano. Nel suo studio comparato sulle mitologie dei popoli indoeuropei, George Dumezil aveva identificato due grandi aspetti della cosiddetta prima funzione, quella della sovranità: uno riguardante l’aspetto magico, furioso, creatore e direttamente legato alle cose dell’ “altro mondo”, quello del cielo cosmico invisibile, l’altro invece più sacerdotale, giurista, benevolo, legato ai rapporti sacri di questo mondo, quello che vive sotto il cielo luminoso.
Dumezil aveva identificato nella coppia vedica Mitra-Varuna l’archetipo di questo aspetto binario e complementare della sfera
A Roma Giove, signore del cosmo e sovrano terribile che terrorizza i nemici e punisce i cattivi officianti del culto ma anche dio sovrano del diritto, aveva appunto unito in sé le due funzioni assimilando Dius Fidius, il lato “mitraico” della sovranità. Tale aspetto era chiaramente confluito nel culto di Fides: la Bona Fides era il presupposto essenziale per ogni forma di contratto e scambio così come anche dei matrimoni – non a caso ancora oggi ci si scambia la fede – e i sacrifici a Fides venivano fatti esclusivamente con la mano destra, proprio come i giuramenti e le promesse di scambio. A tal proposito l’episodio di Muzio Scevola, che brucia la sua mano destra come pegno per aver mancato il giuramento di uccidere Porsenna, viene definito un esempio di Fides e non è casuale il suo collegamento con il mito nordico del dio Tyr – in germanico Tiwaz o Tiuz, equivalente fonetico di Dius, tutti derivanti dalla radice indoeuropea *deiw- “cielo luminoso” come l’aspetto luminoso di Mitra – che sacrifica la sua mano destra come pegno per aver ingannato il lupo infero Fenrir, divenendo così patrono dei giuramenti e dei patti. Patto, legame, coesione giuridico-sociale e legame con gli Dei dunque. Ma fides era anche altro. Il fatto di “credere” non era affatto assente, ma anche qui purtroppo soffriamo di una degradazione che ci fa intendere un termine antico in maniera parziale se non erronea.

Carlomanno Adinolfi