
Nel 2012, quando iniziavano a palesarsi i primi effetti della manovra economica “lacrime e sangue”, Rice interviene in favore di Monti dichiarando “Il Presidente del consiglio ha compiuto passi coraggiosi e ha dato avvio a riforme strutturali importanti. Per questo motivo è cruciale continuare su questa strada e continuare con le riforme, per assicurare che il Paese (sic) resti sulla via della sostenibilità”. Trascorre un anno e, esautorato il professore della Bocconi, il Fmi benedice anche il governo Letta. Chiaramente è sempre Gerry Rice a esprimere l’apprezzamento del Fondo: “Accogliamo il piano di privatizzazione recentemente annunciato – dichiara in una conferenza stampa – un passo importante per ridurre il debito pubblico e contribuire a ridurre il rilevante carico fiscale dell’Italia. Accelerare l’agenda delle privatizzazioni, specialmente a livello locale, fornirebbe più opportunità per gli investimenti privati”. Un invito abbastanza esplicito alla svendita dei principali asset produttivi nazionali che Letta sembra aver colto in pieno.
L’ultimo capitolo dell’idillio tra Gerry Rice e i governi non eletti è storia recente, e riguarda la nomina di Renzi e la presentazione del suo Job’s Act. Il portavoce del Fmi ha dato “il benvenuto ad alcune delle misure” aggiungendo che Renzi “ha portato avanti le proposte scaturite nelle discussioni con l’Italia. L’attuazione delle riforme è la chiave della sostenibilità e della crescita del Paese”. La chiosa finale è dedicata, invece, a un membro del nuovo esecutivo: il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, “molto rispettato quando era al Fmi” secondo Rice. Con queste credenziali, e considerato l’operato dei governi Monti e Letta, c’è solo da augurarsi che il prossimo esecutivo, a Gerry Rice, faccia abbastanza schifo.
Francesco Pezzuto