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Bacone contro Aristotele: chi ha davvero capito la storia?

by La Redazione
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Bacone

Roma, 30 giu – Molti di coloro che interpretano la storia in senso progressista ricorrono, per giustificare questa visione, a una metafora apparentemente convincente: chi viene dopo ha alle spalle un tempo di vita maggiore. Dunque, i moderni sarebbero gli adulti e gli antenati i fanciulli. E poiché l’adulto, notoriamente, è più sapiente del bambino, ne consegue che i moderni sarebbero più sapienti degli antichi. Questa tesi venne formulata per la prima volta nell’età moderna da Francesco Bacone, filosofo inglese vissuto tra la seconda metà del XVI e l’inizio del XVII secolo. Celebre è la sua frase: “La verità è figlia del tempo, non dell’autorità”. Con questa massima egli intendeva confutare l’idea, a suo dire erronea, secondo cui i giovani debbano considerare più saggi i propri antenati. E proprio in nome di questa teoria, Bacone ebbe l’ardire di definire Platone un “teologo mentecatto” e Aristotele “il peggiore dei sofisti”, inaugurando una delle derive più sovversive del mondo moderno: il disprezzo per i padri e per la propria storia.

Il progressismo di Bacone

Quanto è davvero sostenibile, da un punto di vista logico, la filosofia di Bacone? A ben vedere, l’accusa di sofismo che egli rivolge ad Aristotele sembra piuttosto ritorcersi contro di lui. Il sofista, infatti, è colui che, attraverso l’arte retorica, mira a far accettare tesi assurde, senza indagare la vera struttura del reale. L’esempio del bambino e dell’adulto può essere valido solo in parte per spiegare le dinamiche storiche, ma non nei termini proposti da Bacone. Procediamo con ordine: cos’è, in fondo, un bambino? È un essere dotato della potenzialità di diventare adulto, la cui esistenza è resa possibile dall’unione dei suoi genitori. Prendendo come riferimento un individuo qualunque, osserviamo che a quarant’anni egli è più sapiente di quanto non fosse a dieci, e a settanta lo sarà ancora di più. Tuttavia, fin dalla nascita, quel bambino possedeva già in sé le potenzialità che lo avrebbero portato a diventare un adulto e un anziano. Uno sviluppo sano dell’infanzia conduce logicamente a un essere umano capace di accedere a gradi sempre più alti di conoscenza e azione, ciascuno dei quali orientato verso un fine specifico. Ogni fase della vita ha il proprio scopo: a trent’anni l’uomo è nella condizione ottimale per essere padre, combattere e educare; a sessanta, per sostenere la famiglia e la patria con la saggezza e l’esperienza. Quando pensiamo all’uomo, dunque, impliciti sono tutti i momenti che ne definiscono l’esistenza.

Potenza e atto secondo Aristotele

Bacone, a quanto pare, ignorava – o deliberatamente ometteva – che questo stesso problema era già stato posto e risolto da Aristotele. Centrale nel suo pensiero è il concetto di potenza e atto: la potenza è la capacità di un ente di diventare qualcosa di determinato, l’atto è la realizzazione compiuta di quell’ente. Il seme, ad esempio, ha in sé la pianta in potenza, mentre la pianta è il seme in atto. Restando nell’ambito della vita, il feto è vita in potenza; il bambino, vita in atto. A sua volta, il bambino è adulto in potenza; l’uomo cresciuto, adulto in atto. Un adulto non ancora genitore è padre in potenza; un giovane padre in atto è nonno in potenza. È da questi presupposti che Aristotele distingue il “prima” e il “dopo” secondo una duplice prospettiva: logica e temporale. Temporalmente, il bambino viene prima dell’adulto, e ciò induce molti a credere che il tempo generi evoluzione. Ma logicamente, è l’adulto a venire prima: poiché il bambino è destinato a diventare adulto, quest’ultimo ne è condizione di possibilità. Senza il concetto di adulto, non si comprenderebbe neppure l’infanzia. Gli enti, quindi, non seguono un’evoluzione casuale, ma un processo ciclico orientato al compimento della propria natura. A conferma di ciò, basta riflettere sull’agente della vita umana: per nascere, un bambino necessita di due genitori adulti che abbiano già raggiunto la maturità sessuale e intellettuale. Questi, evidentemente, sono più sapienti del neonato proprio perché hanno completato una parte maggiore del loro sviluppo.

La compresenza degli elementi del divenire

I genitori, pur non essendo più bambini, restano figli dei propri genitori. Essere padre o madre non annulla l’essere figli: ci si prende cura dei propri genitori anche da adulti, così come si cresce il proprio bambino. Il nonno, simbolo di saggezza, incarna tutte le fasi: è stato figlio, padre, marito, ed è ora nonno. Nessuna di queste funzioni cancella l’altra; al contrario, l’infanzia, se ben vissuta, trova la sua consacrazione nell’età adulta. Un bambino cresciuto bene sarà un buon uomo. Dunque, la verità non è figlia del tempo, ma il compimento dell’ente, la realizzazione della sua entelechia. Il tempo non è che la misura dello sviluppo del divenire, che l’uomo – in quanto essere finito – non può cogliere nella sua totalità. Ma il tempo, in sé, è una convenzione: senza divenire, non ci sarebbe tempo. E il divenire è continuo, inarrestabile. Le manifestazioni del molteplice che osserviamo nel mondo sono già contenute in potenza nell’Infinito. “Prima” e “dopo” sono soltanto tappe diverse di uno stesso essere. La vita stessa lo dimostra: il bambino è già adulto, genitore e nonno in potenza. Questi sono i principi che ne definiscono lo sviluppo. Ecco perché la società avrà sempre bisogno di bambini, giovani, adulti e anziani. Senza l’uno, l’altro non potrebbe realizzare la propria funzione. Questo ciclo è per natura destinato a rinnovarsi.

La virtù dei migliori

Poiché il fine di ogni uomo è sempre lo stesso, il concetto di “migliore” e “peggiore” va inteso in relazione alla finalità e all’archetipo, non al tempo. Non si può dire che un adulto sia migliore di un bambino solo perché è più sapiente: per giudicare bisogna confrontare ciò che è compiuto con ciò che è parimenti compiuto. La virtù si misura nella capacità di adempiere al proprio fine: un guerriero virtuoso è colui che ha vinto battaglie, ha protetto la patria, ha obbedito. Un buon genitore è tale in base al risultato dell’educazione impartita. Ecco una prova concreta dell’assurdità della tesi baconiana: non ha senso confrontare le nostre azioni con quelle degli antenati; dobbiamo piuttosto chiederci se stiamo assolvendo alla nostra funzione, oggi.

Noi e gli antichi

Si potrebbe obiettare che il ragionamento di Bacone ha valore nella misura in cui i moderni, avendo più eventi alle spalle, dispongono di un patrimonio conoscitivo superiore. Ma ciò è vero solo in parte. Con il tempo si acquisiscono nuove conoscenze, ma se ne perdono altre. Inoltre, come abbiamo visto, le generazioni si succedono come tappe di uno stesso principio. Se un’epoca dispone di più opere letterarie o filosofiche, ciò costituisce un vantaggio solo se quelle opere servono da strumenti per una conoscenza più profonda. Conta la qualità, non la quantità: le opere sono manifestazioni particolari di principi immutabili. Ogni epoca affronta sfide nuove, ma gli archetipi risolutivi restano invariati. Ogni scoperta non è altro che una nuova formulazione di un principio eterno. Ciò che conta, quindi, non è “quando” si vive, ma “come” si affrontano le sfide. Per questo si torna sempre a studiare i grandi del passato: più un’epoca è in crisi, più si rifugia nella memoria. I grandi sentimenti e le grandi azioni nascono o da un orgoglioso spirito di rinnovamento – proprio di civiltà sane, che si pongono il fine di essere degne dei loro antenati – oppure da un vuoto esistenziale che genera nostalgismo, nichilismo, rifiuto del presente. Non è il tempo a stabilire chi è migliore, ma la capacità di aver assolto al proprio dovere nel modo più alto.

Contro l’errore contrario

Da queste considerazioni emerge un’altra verità: è erronea anche l’idea opposta, secondo cui la storia sarebbe un processo di decadenza inarrestabile, dove il prima è sempre superiore al dopo. Poiché “prima” e “dopo” sono concetti relativi, è possibile che vi siano figli migliori dei loro padri. Così fu, ad esempio, la generazione eroica del fascismo, rispetto a quella dell’illuminismo e del liberalismo, se seppe cogliere con più verità i principi spirituali. Ogni autentico rinnovamento, anche se nasce in opposizione alla generazione precedente, ha bisogno di radicarsi in principi antichi. Questo fu il caso del fascismo, che seppe coniugare aspirazioni futuristiche con il richiamo a epoche gloriose e a miti fondanti. Ogni rivoluzionario puro si ispira a grandi modelli, e questi appartengono al passato storico e mitico. Mito e storia, per un uomo integro, sono strumenti di riconnessione alla verità più alta, alla dimensione spirituale dell’uomo.

Ferdinando Viola

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