Roma, 16 sett – «Non siamo pronti né ad un attacco russo né ad un attacco di un’altra nazione». Guido Crosetto, ministro della Difesa, si è espresso senza giri di parole a margine della presentazione a Roma del tour mondiale dell’Amerigo Vespucci. Un’ammissione pesante che ha il merito di mettere l’opinione pubblica di fronte ai fatti: vent’anni di tagli agli investimenti militari hanno reso l’Italia incapace di affrontare qualunque minaccia esterna, e il divario non si recupera in uno o due anni.
Crosetto parla chiaro, ma non dice tutto
Crosetto ha inoltre sottolineato come il nostro Paese sia «tra i primi contributori sul fianco est della Nato», ma al tempo stesso costretto a non dimenticare il fronte sud, con i rischi che provengono dall’Africa e dal Mediterraneo. L’Italia, ha chiarito, non ha la possibilità di pesare come una grande potenza: non possiede risorse naturali abbondanti, non dispone di una macchina militare significativa, né di una forza economica tale da incidere sullo scenario globale. Può contare solo sulla propria credibilità internazionale, che il ministro rivendica «altissima e fortissima». Ma resta il dato politico: «Avere una difesa in grado di assolvere al proprio compito non è una scelta di natura politica, è un prerequisito di sopravvivenza di una nazione». In realtà sì, è una scelta politica. Probabilmente il Ministro avrebbe voluto dire “di natura ideologica”, nel senso che la sicurezza nazionale dovrebbe essere guidata da una pragmatica e lucida strategia che non si lascia influenzare da umori e isterie. Ma il senso si capisce, inutile fare le pulci alle parole.
L’Italia è impreparata soprattutto politicamente
In ogni caso, se l’Italia è impreparata, non è soltanto a causa dei bilanci. È impreparata soprattutto perché non possiede una classe dirigente consapevole del significato delle parole e della portata delle sfide. Il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, commentando le dichiarazioni di Crosetto, ha detto di condividere l’idea di maggiori investimenti in difesa, ma ha ribadito che per la Lega la priorità è la sicurezza nazionale e la difesa dei confini. Tradotto: non i droni russi che violano lo spazio aereo europeo, ma gli sbarchi dei migranti. Dall’altro lato, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni sembra più interessata a fare l’alfiere di Trump e MAGA che a un vero discorso di sovranità europea: in passato lodava la Brexit come «una scelta coraggiosa che l’Italia dovrebbe seguire» e, dopo l’occupazione russa della Crimea, chiedeva all’Unione di togliere le sanzioni a Mosca. Per carità, “chi non cambia mai idea non cambia mai la storia“, ma questo è più che altro un indizio sulla volubilità delle nostre classi dirigenti. Quanto all’opposizione, è quella che sta messa decisamente peggio: quando Elly Schlein ha definito «invasione criminale» l’aggressione russa all’Ucraina, dal palco della festa del Fatto quotidiano è stata subissata di fischi da una platea che evidentemente preferisce parlare di “operazione speciale” o “denazificazione”.
Sentinelle dell’Est, ma scoperti in casa
Dal canto suo Crosetto non si limita a denunciare la mancanza di risorse: invita a «pensare alla difesa in modo diverso rispetto agli ultimi vent’anni». Dopo la fine della guerra fredda, ha spiegato, era logico ridurre le spese militari, allora superiori al 2% del Pil. Ma è stato un errore scendere sotto una soglia minima che garantisse la sopravvivenza dello strumento militare. Ora il gap va colmato «in modo razionale, serio, efficiente ed economico», e va fatto presto. Il Ministro, parlando al forum “Defence Procurement: la prospettiva nazionale per una difesa europea”, ha ribadito che «la difesa, in questo mondo, è diventata centrale». Il mondo non si confronta più sui livelli di benessere, ma sulle risorse naturali e sugli equilibri di potenza. «Oggi parliamo di droni e nessuno ne parlava fino a qualche anno fa», ha detto Crosetto, invitando a investire ogni euro in ciò che sia davvero utile e non in apparati obsoleti. Nel frattempo, l’Italia ha aderito alla nuova missione Nato “Sentinella dell’Est”, con l’invio di due caccia Eurofighter, in linea con Francia, Germania, Danimarca e Regno Unito. Una scelta di continuità atlantica, che però non cancella una profonda contraddizione: un Paese che partecipa alle operazioni della Nato ma che, nelle parole del suo stesso ministro, non sarebbe in grado di difendersi da un attacco.
Breve storia dell’impreparazione
In Italia è mancata, negli ultimi ottant’anni, una vera cultura della difesa. La sconfitta militare nella Seconda Guerra Mondiale (ecco: potremmo iniziare col nominarla così invece di “liberazione”) e le illusioni coltivate nel dopoguerra – la convinzione che la protezione americana sarebbe stata eterna e che le guerre sarebbero rimaste confinate in altri continenti – hanno prodotto un Paese convinto che la sicurezza fosse un problema sempre “altrove”. Nel tempo, questo atteggiamento si è tradotto in una costante ritrosia ad investire nello strumento militare, mascherata da pacifismo cattolico o movimentista e da un calcolo politico miope: nessun governo, di qualunque colore, ha mai voluto rischiare consenso aumentando le spese per la difesa. Così, mentre la Nato già dal 2014 fissava l’obiettivo del 2% del Pil, Roma continuava a rinviare, oscillando tra promesse solenni e statistiche creative. Il risultato è che oggi, nel pieno di un ritorno della guerra in Europa e con scenari globali sempre più instabili, paghiamo il prezzo di decenni di illusioni: debolezza militare, opinione pubblica disinformata e una classe politica che preferisce perpetuare l’equivoco piuttosto che assumersi la responsabilità di una svolta reale.
La responsabilità manca ancora di più delle armi
Le parole di Crosetto, insomma, sono vere e incomplete allo stesso tempo. Siamo impreparati non solo per la carenza di investimenti, ma perché da vent’anni la politica italiana, di maggioranza come di opposizione, è incapace di elaborare una visione seria della difesa e della sicurezza nazionale. Con un governo diviso tra nostalgie sovraniste filo-russe e sudditanza all’agenda americana, e con un’opposizione intrappolata nel disfattismo, la consapevolezza e la responsabilità mancano ancora di più delle armi.
Sergio Filacchioni