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Decreto flussi: l’invasione legalizzata che piace a tutti

by Sergio Filacchioni
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Decreto flussi

Roma, 30 giu – In un Paese con milioni di disoccupati, salari stagnanti, e un tasso di natalità ai minimi storici, il governo ha deciso di importare mezzo milione di lavoratori stranieri nei prossimi tre anni. È questo, in sintesi, il contenuto del nuovo decreto flussi in via di approvazione da parte dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. Un provvedimento presentato come tecnicamente neutro, ma che in realtà porta con sé scelte politiche ben precise, e tutt’altro che innocue.

Decreto flussi: scelta ideologica non necessità

La logica dichiarata è quella della “programmazione”. Si tratta cioè, nelle intenzioni, di regolamentare gli ingressi invece di subirli. Ma i numeri parlano da soli: 500.000 nuovi ingressi regolari in tre anni, a cui vanno sommati gli arrivi irregolari e quelli già presenti sul territorio. Il risultato è un incremento massiccio della presenza migrante che, lungi dal risolvere i problemi strutturali dell’Italia, rischia piuttosto di aggravarli. Sul piano economico, l’impatto è evidente. In un mercato del lavoro segnato da precarietà e sfruttamento, l’arrivo di manodopera a basso costo finirà per comprimere ulteriormente i salari e aumentare la pressione su settori già fragili. Il sistema dei servizi – dalla sanità alle case popolari – sarà messo ancora più sotto stress. E mentre si invoca la formazione e l’impiego delle “competenze straniere”, si continua a ignorare il potenziale inespresso della forza lavoro italiana, soprattutto giovanile.

Il diktat immigrazionista padronale

Il decreto, inoltre, segna un passaggio politico non trascurabile. Invece di discutere la questione in Parlamento, si affida tutto a un atto amministrativo, che rende strutturale una scelta ideologica: quella dell’immigrazione come necessità. Una narrazione ormai trasversale, che unisce l’establishment economico (Confindustria in testa), la sinistra progressista e, sempre più spesso, anche partiti del centrodestra. Dal “ci pagheranno le pensioni” al “ci servono lavoratori”, il passo è stato maledettamente breve. Perchè se il governo è cambiato, il diktat immigrazionista no: ora si dirà che l’Italia ha bisogno di immigrati per non fermarsi. Ma il dato reale è che questo modello non ha mai funzionato: non ha rilanciato l’economia, non ha risolto la crisi demografica, non ha garantito integrazione. Ha prodotto invece frammentazione sociale, marginalità, tensioni etniche e una crescente disaffezione verso la politica.

Uscire dalla logica delle quote

Esattamente due anni fa, su queste colonne veniva posta una domanda “retorica”: “cosa c’è di più pericoloso di una Ong che va a prendere i migranti sulle coste?”. La risposta rimane la stessa, ovvero: il Governo e la Confindustria che vanno a prenderli a casa. Perchè il decreto flussi istituzionalizza formalmente una sostituzione etnica (e tecnica) degli italiani, e ammicca alle agende della sinistra. Una sinistra mai stata così consenziente con un decreto che tutto sommato piace. Scordatevi pure le barricate come sul ddl sicurezza e le pagliacciate in aula con la bandiera palestinese. Appare evidente che l’unica strada percorribile è quella che esce dalla logica delle “quote” (la versione padronale e destro-liberista dell’immigrazione) per tornare a immaginare una Nazione che investe su se stessa, sul suo popolo, sulla propria identità. Un’idea semplice, sempre rivoluzionaria.

Sergio Filacchioni

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