Roma, 14 nov – La notizia è semplice: la maggioranza ha cambiato linea. Dopo aver escluso con decisione l’ingresso dell’educazione sessuo-affettiva alle scuole medie, la Commissione Cultura della Camera ha approvato un emendamento che la reintroduce anche per gli studenti di 11 e 12 anni, con l’unica condizione del consenso preventivo dei genitori. Una retromarcia rapida, quasi fulminea, che ha spiazzato sia la base governativa sia chi aveva salutato la prima versione del testo come un argine culturale chiaro.
Parlare di sessualità non è mai neutro
Il nuovo impianto prevede lezioni sul corpo umano e sulla dimensione affettiva dell’età evolutiva. Ma la discussione non ruota attorno ai contenuti tecnici — fisiologia, biologia, prevenzione — bensì al loro quadro concettuale. Perché parlare di sessualità non è mai neutro. Significa sempre veicolare un’idea di persona, di identità, di relazione e di ruolo sociale. Lo dimostra il fatto che, negli ultimi anni, la materia è stata sistematicamente proposta attraverso progetti scolastici incentrati sulla decostruzione degli stereotipi di genere, sul linguaggio inclusivo e su una lettura post-identitaria della sessualità. È questo che alimenta le perplessità: non la lezione di anatomia in sé, ma ciò che negli ultimi anni è arrivato nelle scuole con la stessa etichetta. Non è un mistero che buona parte dei progetti già attivi nei nostri istituti non si limitino a spiegare come funziona il corpo umano, ma presentino un’idea precisa di “educazione alle relazioni”, basata su contenuti prodotti da organismi e realtà esterne al sistema scolastico italiano (OMS e UE in testa). Un modello già definito altrove, che entra nelle classi non attraverso una discussione pubblica, ma tramite corsi extracurriculari, sportelli e interventi di associazioni convenzionate. Le stesse che sono insorte negli ultimi giorni, prima dell’inversione a U di Valditara.
La sinistra continua a dettare le regole
L’emendamento approvato, quindi, riapre una questione che il testo originario aveva tentato di chiudere: se non esiste un modello italiano autonomo, ogni volta che si introduce la materia si reintroduce anche la cornice culturale che l’ha accompagnata finora. E il “consenso informato” non risolve il problema: sposta la responsabilità sulle famiglie (come se queste fossero depositarie automatiche di valori “per bene”), rischia di dividere le classi in “figli di reazionari” e “figli del progresso”, e non modifica di fatto la natura dei contenuti che entrano con il paravento istituzionale della “neutralità” . Questa vicenda conferma una dinamica che, nell’istruzione, si ripete da anni. La sinistra continua a dettare il linguaggio, le parole chiave, il perimetro concettuale delle politiche educative, anche quando è minoranza. La destra governa ma non propone un modello alternativo, limitandosi a correggere, frenare o modificare in corsa ciò che trova già impostato. Il risultato è una scuola sospesa fra slanci e contrordini, dove la formazione dei ragazzi non nasce più da un progetto culturale chiaro ma da compromessi tattici.
La visione che non c’è
È bene chiarire, però, che neppure la contropoposta iniziale del ministro Valditara – quella che riduceva l’intervento scolastico a una mera educazione anatomico-fisiologica – avrebbe risolto il nodo di fondo. Di fronte a questa incertezza, la domanda è inevitabile: quale idea di uomo e donna vogliamo che la scuola trasmetta? In assenza di una cornice formativa nazionale chiara, il vuoto verrà puntualmente riempito dai materiali prodotti da altri soggetti, spesso portatori di un modello antropologico già definito da molto tempo. Perché educare non significa solo spiegare come funziona il corpo, ma indicare un significato, un orientamento, un senso di responsabilità. E su questo terreno ogni retromarcia rischia di essere imperdonabile.
Sergio Filacchioni