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Faida tra collettivi a San Lorenzo: ma non siete tutt* antifascist*?

by Sergio Filacchioni
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San Lorenzo

Roma, 12 mag – Per anni, la sinistra universitaria ha taciuto o minimizzato episodi di intolleranza e prevaricazione provenienti da collettivi radicali che operano indisturbati negli atenei italiani. Ora, a subire quella stessa intolleranza, sono proprio alcuni dei loro esponenti. È quanto denunciato pubblicamente da Sinistra Universitaria, che riferisce di un’aggressione avvenuta nel quartiere San Lorenzo di Roma a opera di attivisti appartenenti a Cambiare Rotta, Osa e Rete dei Comunisti.

Rissa tra collettivi antifascisti a San Lorenzo

La frattura, interna all’area progressista, non è di poco conto. Secondo quanto raccontato in una nota diffusa sui social, il confronto avrebbe assunto toni violenti: insulti, spinte, urla, fino a comportamenti apertamente sessisti. Il tutto nel contesto di una semplice uscita serale, a margine di un’attività di campagna referendaria assieme al comitato “5 Sì Lazio”. Perché è importante parlarne? Perché questo episodio mette in luce un fatto a lungo ignorato: anche a sinistra esistono tensioni, contrasti profondi e, talvolta, atteggiamenti apertamente intimidatori. Non si tratta semplicemente di una lite tra “compagni” – come qualcuno preferisce ridurre – ma di un dissenso reale, con radici culturali e politiche tutt’altro che conciliabili: da una parte chi gioca a fare il democratico, dall’altra chi custodisce un’impostazione rigida, chiusa, spesso autoritaria nei metodi. Il deputato Giovanni Donzelli (FdI) ha parlato di “università trasformate in ring”. Una semplificazione utile a fini politici, forse, ma che rischia di non cogliere il nocciolo della questione: il progressivo logoramento del confronto politico negli ambienti universitari, sempre più ridotto a scontro di potere tra gruppi autoreferenziali. A pagarne il prezzo non sono solo i militanti coinvolti, ma l’intera comunità studentesca, ostaggio di dinamiche paralizzanti, dove la violenza – verbale o fisica – prende il posto dell’elaborazione culturale. E mentre le sigle si accusano a vicenda, resta una domanda di fondo: che credibilità ha una cultura politica che non riesce nemmeno a garantire rispetto reciproco al proprio interno? Non siete – letteralmente – tutt* antifascist*?

L’inclusività è linciaggio

Cosa ci dice la faida di San Lorenzo? Che evidentemente c’è un’identità, un’appartenenza, che nemmeno loro sono disposti a diluire nel neutro linguaggio dell’inclusività: i collettivi più radicali si sentono in aperta rivalità con le organizzazioni di sinistra più istituzionalizzanti. E quando la conta dei voti inizia a pesare sulle rendite di posizione, scatta il riconoscimento: noi non siamo come loro. In fondo basta una divergenza tattica o una candidatura fuori linea, e la retorica dell’accoglienza lascia spazio al livore organizzato. Ecco cos’è l’inclusività, quando smette di essere parola d’ordine e diventa prassi: un linciaggio di gruppo. Ma almeno fateci il favore di non chiamarvi squadristi tra di voi. Dai video emersi dell’accaduto si vedono solo antifascisti allo specchio. Perchè in fondo, la verità è semplice: tutto questo “antifascismo” da salotto non è altro che il paravento dietro cui si nascondono giochi di potere e ambizioni personali. La sinistra universitaria, come tutte le frange di un’ideologia che non ha più nulla da dire, non è altro che una macchina per l’esclusione e il controllo. L’inclusività, quel feticcio da predicare a ogni angolo, si trasforma ogni volta che serve in un’arma di linciaggio contro chi osa mettere in discussione il dogma. E alla fine, è proprio questa coerenza ideologica che la sinistra ha ormai perso: non è più una questione di lotta politica, ma di difesa a oltranza del proprio orticello di potere. E se l’intolleranza si fa violenza, la retorica progressista non fa che legittimarla. Perché il progressismo, oggi, non è altro che il modo elegante di dire “stai zitto e allineati”.

Sergio Filacchioni

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