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Gasparri, il ddl sull’antisemitismo e la scuola del pensiero unico

by Sergio Filacchioni
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Roma, 19 ott – Dopo la Lega, anche Forza Italia decide di giocare la partita del moralismo progressista, con il disegno di legge presentato da Maurizio Gasparri “per il contrasto all’antisemitismo”. Ma dietro la facciata umanitaria si nasconde qualcosa di molto più profondo: l’estensione della definizione IHRA di antisemitismo – già oggetto di forti critiche in ambito accademico e giuridico – al piano penale e scolastico.

Gasparri gioca la carta moralista

Una definizione che non si limita a condannare l’odio verso gli ebrei, ma che equipara la critica allo Stato d’Israele alla discriminazione razziale. In altre parole, chi contesta il sionismo o mette in discussione la politica di Tel Aviv potrà essere trattato come un istigatore d’odio. Il DDL, ora in discussione alla Commissione Affari Costituzionali del Senato, obbliga tutte le istituzioni pubbliche, comprese scuole e università, ad adottare la definizione IHRA come criterio ufficiale. Introduce corsi di “sensibilizzazione”, doveri di condotta, e perfino sanzioni disciplinari per i docenti non allineati: dalla censura alla sospensione fino a sei mesi. È la rinascita di una pedagogia del conformismo a cinque anni dall’Era Covid, che mira a disinnescare il dissenso e rendere il dibattito storico e politico sterile.

La memoria che diventa dogma

Il punto più critico è la modifica all’articolo 604-bis del codice penale, che lega la nozione di antisemitismo alla “negazione del diritto all’esistenza dello Stato di Israele”. Si tratta di una formulazione inedita, che introduce nel diritto italiano la tutela di uno Stato straniero come soggetto morale intoccabile, e che rischia di criminalizzare la libertà di espressione e di ricerca. È paradossale che proprio chi, negli anni, ha denunciato l’imposizione del “politicamente corretto”, oggi si faccia promotore di un dispositivo repressivo che sembra scritto nei laboratori culturali della sinistra liberal. Il mondo dell’istruzione sarà il primo banco di prova: la scuola come laboratorio di una vera e propia “rieducazione democratica”, dove il dissenso diventa sospetto e la memoria si trasforma in dogma.

Un’arma nelle mani della sinistra

Il nodo più pericoloso del DDL Gasparri, come già abbiamo osservato in merito al decreto sicurezza, è la discrezionalità interpretativa che affida alle scuole, alle università e alla magistratura il compito di stabilire cosa sia o non sia “antisemitismo”. Una definizione così ampia e ambigua, unita al potere disciplinare interno, finirà inevitabilmente per colpire chiunque rappresenti una voce non conforme, e in primo luogo il mondo identitario. In un contesto dove un cartello diventa oggetto di un’indagine della digos, dove un volantinaggio viene riportato come “incursione fascista” o una conferenza su Mazzini viene bollata come “odio”, la nuova norma fornirà una base legale per escludere, sospendere, censurare le realtà studentesche di destra radicale. Tutti quei movimenti culturali e studenteschi che contestano la narrazione unica su storia, geopolitica e appartenenza. In pratica, l’arma giuridica del DDL diventa uno strumento nelle mani di una sinistra che occupa saldamente le leve di comando dell’apparato repressivo.

Un copione già visto

Nel 2020, il pretesto era la salute pubblica: mascherine, Dad e distanziamento sociale. Oggi, sotto la bandiera dell’antisemitismo, si ripete lo stesso schema: conformare, controllare, contenere. Cambiano le parole d’ordine, non la sostanza. Anche allora si accusavano i contrari di essere irresponsabili o estremisti. Il DDL Gasparri segna una nuova linea rossa: non più la salute, ma la memoria come strumento di potere. Chi difende la libertà di parola e di pensiero deve dirlo con chiarezza, anche a costo di restare isolato: perché il silenzio di oggi è la censura di domani.

Sergio Filacchioni

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