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Legge sul nucleare: la chiave per l’indipendenza energetica nazionale nel macrocontesto europeo

by Patrizio Podestà
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Roma, 15 ott – Dopo l’approvazione preliminare del 28 febbraio e l’ok da parte delle regioni del 12 agosto, lo scorso 2 ottobre il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera definitivo al testo del DDL Nucleare, che ora passerà in Parlamento per la prima lettura alla Camera dei deputati.

Un disegno di legge, che segna una svolta nella politica energetica italiana: dopo i referendum abrogativi del 1987 e del 2011 – avvenuti nel corso della radiofobia post Chernobyl e Fukushima – si riapre uno spiraglio per l’indipendenza. Se venisse ratificato dal parlamento, il DDL Nucleare delegherebbe il Governo a emanare entro dodici mesi i decreti legislativi necessari alla disciplina della produzione di energia nucleare, che in tutto il mondo si avvia verso il processo di fusione.

Un’inversione di tendenza

Il testo mostra un cambiamento radicale nella concezione della politica energetica nazionale: dopo anni di terrorismo psicologico sui fantomatici “effetti catastrofici” dell’energia nucleare, finalmente si ricomincia ad analizzare questa tecnologia da un punto di vista pratico. L’energia viene dunque posta come pilastro della sovranità nazionale, sottolineando l’importanza della sicurezza negli approvvigionamenti, della decarbonizzazione, della continuità nella fornitura di energia e la sostenibilità dei costi per famiglie e imprese. Il nucleare – di produzione italiana, si intende – è considerato come uno degli strumenti fondamentali per garantire stabilità, competitività e autonomia strategica. Posti di lavoro, benessere, energia a basso costo: sono solo alcuni degli effetti positivi che avrebbe una riconversione energetica al nucleare.

Non siamo nuclear-free

Nonostante l’abbandono del nucleare nel 1987 dopo Chernobyl, l’Italia ha continuato a importare energia prodotta da centrali atomiche estere – da Francia e Svizzeraabrogando definitivamente nel 2011 le norme che consentivano quelle ultime produzioni interne di energia nucleare. Di fatto, quindi, siamo tutt’ora completamente dipendenti dalla produzione di energia da nazioni confinanti. La domanda da porre ai no-nuke, dunque, è la seguente: un problema ad un reattore a Berna, a Tricastin o a Cruas, in che senso dovrebbe essere meno pericoloso per l’Italia di uno a Caorso, a Latina, a Trino Vercellese o a Garigliano?

L’energia importata è spesso la stessa a quella producibile un impianto italiano, ma ha un prezzo maggiorato rispetto a quella prodotta in un impianto italiano. Le conseguenze sono logiche: aumento dei costi energetici, maggiore dipendenza dai combustibili fossili – anch’essi importati.

Tornare potenza

Il rilancio del nucleare – integrato alle non bastanti fonti rinnovabili e ai combustibili fossili – trasformerebbe l’Italia da spettatrice a protagonista della “Grande Transizione Energetica”. La domanda globale di energia – +50% entro il 2050, stando agli esperti – l’instabilità geopolitica e la dipendenza dalle importazioni impongono una trasformazione urgente del sistema energetico, come ha dimostrato il recente conflitto russo-ucraino. In questo contesto, il nucleare è stato inserito nella tassonomia verde dell’Unione Europea per gli obiettivi ambientali – per via delle ridotte emissioni di CO₂ – di autonomia produttiva.

Non solo ambiente

La ripartenza nucleare non è solo legata alla questione ambientale. Rientrante nel novero delle grandi opere strategiche, è il trampolino di lancio nell’ottica della stabilità dei costi di produzione e sviluppo nazionale.

Soprattutto nel Nord, motore industriale d’Italia e del Sud Europa, le centrali nucleari aiuterebbero a migliorare la qualità della vita, vista la bassissima produzione di CO₂ per kWh rispetto a gas e carbone. Per quanto riguarda la filiera legata all’energia nucleare europea – riguardo progettazione e costruzione di centrali, smantellamento delle scorie e combustibile – la produzione resterebbe prettamente interna alle nazioni europee senza dover ricorrere a ingerenze esterne.

I dati

Siamo di fronte a una forte crescita dell’energia nucleare in tutto il mondo, con 437 centrali in 32 paesi, le quali producono ben il 10% dell’elettricità globale. Sono Stati Uniti, Francia e Cina a guidare per numero di reattori, mentre l’Ucraina e la Slovacchia hanno le maggiori quote di elettricità da nucleare.

In Europa, nonostante la retorica sulle rinnovabili, è il nucleare è la prima fonte green con 100 reattori attivi, pari al 21,9% dell’elettricità prodotta, davanti a eolico, idroelettrico e solare. È impossibile, dunque – a meno che non si parli per pregiudizio – prescindere da un tale pilastro strategico continentale.

I nuovi reattori EPR2 francesi sono i più all’avanguardia in Europa, e seguono progetti in Finlandia, Svezia, Polonia, Romania e Paesi Bassi.

Verso la fusione

Con i reattori di terza generazione e, quelli modulariAMR ed SMR – la ricerca si avvicina alla fusione. La necessità di un mix energetico rende urgente una strategia autonoma. Stando ai dati del PNIEC – ripresi in una magistrale dispensa del prof. Gian Piero Joime pubblicata su Il Secolo d’Italia – un mix equilibrato di rinnovabili, gas e nucleare coprente dall’11 al 22% della produzione elettrica, permetterebbe di raggiungere la decarbonizzazione nell 2050, data ultima fissata dall’Unione Europea per il Net-Zero.

Italia faro d’Europa

L’Italia in questo senso può farsi avanguardia europea nel settore: la sua posizione strategica nel Mediterraneo la renderebbe un polo di importanza vitale per la transizione economica del sud del continente. Italia che, nonostante l’abbandono decennale dell’energia nucleare, non ha rinunciato alle competenze industriali, scientifiche e alla rete di imprese e centri di ricerca già esistenti. Ne è un esempio la centrale termonucleare SOGIN “Arturo” di Caorso (PC) – un tempo la più potente d’Italia –, un gioiellino che è oggi un importante esempio di ricerca nel campo e il cui reattore è sede di visite da parte di esperti e tecnici internazionali. Secondo alcune stime, senza la chiusura la sola “Arturo” avrebbe potuto generare energia pulita per 60 anni per un milione di famiglie. L’impianto è accessibile tramite visite guidate, più di recente (gennaio 2025) anche da figure della politica come il senatore Carlo Calenda, noto sostenitore di un riapprovvigionamento nucleare.

La ricerca e l’appoggio politico

ENEA, CNR, RSE, ISIN e SOGIN sono gli enti che operano nella ricerca, coordinandosi con sette università italiane che offrono corsi di ingegneria nucleare. L’Italia è eccellente anche nella ricerca Euratom, partecipando a più di metà dei progetti. Abbiamo tutte le competenze per ricostruire la filiera nucleare europea. Dovremo investire tempo, risorse e pazienza – non mancheranno ostacoli culturali e burocratici, provenienti dalla solita sinistra dei “no – ma il nucleare di nuova generazione sta tornando a crescere, e guadagnano notorietà anche i progetti divulgativi a riguardo. Sono sempre di più le organizzazioni politiche – da CasaPound, al centrodestra, ad Azione – che parlano di una riconsiderazione della questione nucleare. La proposta di legge sul nucleare rientra nel risveglio che anche i Paesi europei, pur più cauti, stanno riconsiderando e rappresenta una svolta epocale per la politica energetica italiana, verso un’indipendenza inserita nel macrocontesto europeo.

Patrizio Podestà

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