Roma, 17 ott – In un Paese come il nostro, tra i più vecchi al mondo, secondo solo al Giappone per età media, i giovani sono un oggetto misterioso, una rarità da osservare sorpresi, quasi con snobistica condiscendenza, a cui di volta in volta si affidano speranze messianiche o la colpa di tutti i mali. A correnti alternate, generazioni perdute dietro lo schermo dei cellulari o artefici di nuova umanità. Insomma, i giovani non si capiscono e per questo si parla di loro fin troppo. Una distorsione a cui non sfugge Alessandro Baricco, che, in un articolo molto ripreso, dipinge le proteste per Gaza come un modo dei più giovani per farla finita col Novecento, con le sue guerre, i suoi nazionalismi, la sua violenza, i suoi imperialismi, la sua volontà di potenza.
Baricco, i giovani, e Gaza
Per Baricco quella su Gaza non è più una “scelta politica”, ma addirittura una linea di faglia, lo scontrarsi di due diverse visioni del mondo, del Novecento con la sua “desolante epica guerriera” e la civiltà digitale dei più giovani. In altri termini, “È diventata una mossa mentale in cui una certa umanità ha preso distanza da un’altra, rivendicando una propria idea della Storia e richiedendo indietro il mondo a chi glielo stava scippando”. Il ritratto di questi giovani scesi in piazza per affermare una nuova idea del mondo non è poi così lusinghiero. Baricco li descrive come superficiali, apatici, immersi in un “letargo politico”, semplicemente “non interessati”, anzi i cui unici interessi politici sarebbero quelli macchiettistici del cambiamento climatico e dell’identità di genere. Così le manifestazione per Gaza sono per Baricco una sincera sorpresa, anche se non risparmia qualche frecciatina: “Poi, un giorno, te li ritrovi in piazza, quattro gatti, con quella bandiera di una terra lontana di cui, obiettivamente, non sapevano quasi nulla”. Numero e ignoranza a parte, questi giovani hanno almeno una qualità positiva, quella di arrivare prima: “Oggi che centinaia di migliaia di persone, in tutto il mondo, scendono in piazza con quella bandiera addosso, bisogna ammettere che quei ragazzi erano un quarto d’ora davanti a tutti: e adesso è molto, davvero molto importante capire in cosa hanno anticipato gli altri”. Insomma, la scenetta del vecchietto che chiede al nipotino di spiegargli come funziona qualche strano marchingegno tecnologico fattasi teatrino politico.
L’illusione di un mondo post-storico
Ma cos’è questa cosa su cui i più giovani avrebbero anticipato tutti? Il rifiuto del Novecento. Scrive Baricco: “C’è una falda, e noi ci abitiamo giusto sopra. Da una parte la terra emersa del Novecento, con i suoi valori, i suoi principi e la sua storia tragica. E dall’altra un continente, ancora spesso sommerso, che sta staccandosi dal Novecento, spinto della rivoluzione digitale, motivato dal disprezzo per gli orrori passati e diretto da un’intelligenza di tipo nuovo”. Proprio perché ci troviamo in una fase intermedia, con il Novecento “entrato in agonia”, questo starebbe tentando una sorta di violento colpo di coda. Così riemergono i suoi tratti salienti: “il culto dei confini, la centralità delle armi e degli eserciti, la religione del nazionalismo”. Una sorta di evo oscuro pronto a inghiottire tutto. Curiosamente Baricco non se ne esce con il solito allarme fascismo, affidando questo ruolo praticamente a tutto il Novecento. Al contrario, i giovani sarebbero insorti contro questo “gorgo primitivo”, scegliendo il nuovo continente, quello della civiltà digitale. Gaza è solo un simbolo, l’immagine dell’orrore di quello scatenamento di violenza e guerra. I giovani sarebbero scesi in piazza per riprendersi il proprio futuro. Qui sta tutta l’incomprensione di Baricco per quello che accade. Lo scandalo per Baricco non è il ritorno del Novecento, ma il ritorno della storia – con la sua conflittualità che è anche apertura sul mondo. Quello che prospetta per i giovani è un sogno irenico, una desertificazione dell’agire, appunto l’uscita dalla storia.
Quale futuro per la civiltà digitale?
L’orizzonte di Baricco è quello dell’ultimo uomo, lo stesso orizzonte verso cui vorrebbe che i giovani si muovessero. Anche quanto scrive riguardo i benefici del digitale è figlio di questa visione, con tutta la serie di banalità, frasi fatte e ambiguità che ne deriva. Così abbiamo “un mondo immensamente più liquido, più trasparente, in cui muri e confini perdono di consistenza”, una circolazione delleinformazioni più libera ma “senza cautele”, e accelerazioni continue. Per Baricco la civiltà digitale dovrebbe essere usata “per sfilarsi via per sempre dai nostri errori”, che, ancora, è un modo edulcorato per dire di sfilarsi da quell’unico errore che è la storia, con le sue altezze, i suoi pericoli, la sua imprevedibilità. Ma proprio la civiltà digitale rischierebbe di produrre, per una strana eterogenesi dei fini, l’effetto contrario: “Le rivoluzioni, è inevitabile, producono spettacolari contromovimenti di cui non sempre si può controllare il design. Quella francese del 1789, per dire – una rivoluzione che ha cambiato mezzo mondo – rimbalzò in una turgida acrobazia il cui kitsch è splendidamente riassunto nel quadro di Ingres dedicato a Napoleone imperatore”. E continua, “Tra la presa della Bastiglia e quel quadro passarono 17 anni. Gli stessi che sono passati dalla presentazione del primo iPhone alla vittoria di Trump alle presidenziali del 2024”.
Verso il nulla
Nel discorso di Barricco non c’è quindi solo una strana tartuferia, per cui ci si complimenta con i giovani che vogliono scendere nell’agone, conquistare il palcoscenico della storia, per poi buttarli fuori, fargli credere che il paradiso sia altrove, in un mondo post-storico e senile, cioè dove siamo già. C’è qualcosa di più. Il riferimento alla rivoluzione è emblematico, viene esalto il momento puramente caotico, del “gruppo in fusione”, distruttivo, massificante, ciecamente violento, per certi versi ancora impolitico, informe, quello che porterà al Terrore e alla ghigliottina, ma non si vuole che questo si faccia atto, si faccia ordine, che si dia cioè una forma e una legittimità superiore, in altre parole, che sorga un Napoleone. Insomma, la rivoluzione non deve portare a nulla. O, meglio, deve portare nel nulla.
Michele Iozzino