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Genova, il Pd evoca i cadaveri appesi: l’odio antifascista sdoganato in Aula

by Sergio Filacchioni
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Genova

Genova, 17 set – Dopo l’assassinio di Charlie Kirk e la gioia esibita da certa sinistra sui social, il clima di odio antifascista è arrivato fino dentro le istituzioni italiane. È successo a Genova, dove in consiglio comunale un esponente del Partito Democratico, Claudio Chiarotti, si è lasciato andare a una frase che sa di minaccia e di rivendicazione storica: «Vi abbiamo già appesi una volta per i piedi», urlata alla capogruppo di Fratelli d’Italia Alessandra Bianchi.

A Genova l’odio antifascista entra in Aula

Il contesto è emblematico. L’opposizione aveva chiesto un minuto di silenzio per ricordare Kirk, assassinato il 10 settembre alla Utah Valley University. Una richiesta di civiltà e rispetto, respinta dalla maggioranza di sinistra. Poco dopo, la vera faccia di quell’“antifascismo democratico” si è mostrata in tutta la sua brutalità: l’evocazione di corpi appesi a testa in giù, come nel dopoguerra, come monito verso chi non si allinea. Di fronte allo scandalo, il sindaco Silvia Salis ha preso le distanze e lo stesso Chiarotti ha abbozzato delle scuse. Ma la toppa è stata peggiore del buco: «Rivendico il mio essere antifascista», ha dichiarato, confermando che non si è trattato di una scivolata casuale, ma di un riflesso ideologico. Le opposizioni parlano di «parole violente e vergognose, incompatibili con le istituzioni». Bianchi ha denunciato «un clima di intolleranza legittimato dalla sinistra», mentre anche Noi Moderati e Italia Viva hanno sottolineato la gravità di un linguaggio che abbatte ogni soglia di parvenza democratica.

Il prodotto logico di un antifascismo rituale

In fondo, quel che è accaduto ieri in consiglio comunale a Genova non è un incidente isolato: è il prodotto logico di un antifascismo rituale che ormai non riconosce più l’avversario, ma lo identifica come nemico assoluto da umiliare o minacciare. Quando il consigliere Pd Claudio Chiarotti urla «vi abbiamo già appesi per i piedi una volta», non è semplicemente una boutade fuori posto, ma l’emergere di un immaginario che riproduce il linguaggio della guerra civile, che alimenta l’odio e rende normale l’oltraggio istituzionale. Chi chiede rispetto – come l’opposizione che ha sollevato la richiesta di un minuto di silenzio per Kirk – viene respinto, non tanto nei suoi argomenti, quanto nel suo diritto di esistere politicamente. E quando la maggioranza “si dissocia”, lo fa come se ammettesse una “caduta di stile”, non come se riconoscesse un deficit etico: il problema non è che si sia superata una soglia, ma che quella soglia da anni è stata smantellata.

L’identità verace della sinistra

La vera questione quindi non è se Chiarotti debba dimettersi o se la sindaca Salis debba dissociarsi: il punto è che l’antifascismo istituzionale vive di odio e non può farne a meno. Non è un principio di libertà, ma un fondamentalismo politico che sopravvive solo evocando cadaveri e nemici da appendere. Non è inciampo retorico, è l’identità verace della sinistra che emerge quando è globalmente messa all’angolo.

Sergio Filacchioni

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